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Il genero invece che la burocrazia. Sull’amore-odio che lega Trump ed Erdogan
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Articolo di Redazione
8 novembre 2019 9:51
 
 La settimana scorsa [intorno al 16 ottobre], nel bel mezzo della crisi siriana, ero a Washington. Quando udii il discorso di Trump in Texas, vidi in lui Erdogan. Lo stesso talento agitatorio, lo stesso linguaggio discriminatorio, lo stesso stile ingiurioso, lo stesso odio per i media. Intolleranza contro ogni opposizione e tutti quelli che sono diversi. Una vantazione imballata in bandiera, nazionalismo e fede: “Io sono il più grande”. Uno stile politico polarizzante, che si appoggia più sulla provincia che sulle metropoli, più sulle persone poco istruite che sulle persone che hanno studiato. Un atteggiamento che corrisponde meno a un uomo di Stato, ma piuttosto a un amministratore delegato. Una mentalità del “basta” quale è propria delle personalità autoritarie. L’avversione nei confronti del lavoro di gruppo, l’incapacità di imparare di più, l’abitudine a aggirare la burocrazia e preferibilmente a lavorare coi propri generi …
I due uomini legati l’un l’altro da un rapporto di amore-odio hanno cambiato nell’ultima settimana il destino del Vicino Oriente; Trump con il ritiro di soldati dalla Siria, Erdogan entrando nel Paese. Nessuno dei due ha chiesto consiglio a qualcuno. Il primo ha diretto le cose con i suoi famosi tweet, il secondo con la sua retorica nazionalista. Negli Stati Uniti le istituzioni, che lì sono ancora vive rispetto alla Turchia, si sono fatte valere: il Congresso, il Senato, i media, la magistratura e la società civile non vogliono lasciare a nessuno il potere assoluto. In Turchia, al contrario, chi si oppone alla guerra si è visto esposto all’accusa di tradimento e alla indignazione di Erdogan.
A Trump, tuttavia, questa indignazione non è interessata. Il presidente USA ha colpito Erdogan con tweet, dichiarazioni e lettere. Ha minacciato non solo di distruggere l’economia turca, se superava i confini concordati in Siria, ma ha scritto inoltre una lettera tremenda che contraddice ogni prassi diplomatica: “Non faccia il duro! Non faccia il matto!”. Erdogan, che nel Paese manda immediatamente in prigione tutti quelli che si azzardano a fare molto meno, ha incassato in silenzio l’offesa di Trump. Perché le indagini avviate negli Stati Uniti avevano portato alla ribalta il suo patrimonio e quello della sua famiglia.
Ma il silenzio di Erdogan non ha impedito che Trump sia diventato in Turchia oggetto di odio. La stessa cosa ho osservato io negli Stati uniti rispetto a Erdogan. Nelle ultime due settimane c’è stata una gara tra l’antipatia per Trump in Turchia e l’antipatia per Erdogan negli Stati Uniti.
Ma com’è la loro situazione nel loro Paese?
Da qualche tempo Trump è occupato con il tentativo di Impeachment del Congresso. Dopo la risoluzione di ritirarsi dalla Siria, che ha sollevato critiche nel Pentagono, nel ministero degli Esteri e anche nel suo stesso partito, la procedura ha ripreso impulso. Per quanto riguarda Erdogan, è il contrario: dopo che ha perduto Istanbul, adesso, con la decisione di invadere la Siria, è riuscito a fermare il salasso del suo potere, che aveva avuto una accelerazione con la sconfitta elettorale. E’ riuscito a disgregare l’opposizione, a ritardare la fondazione dei nuovi partiti dei suoi ex compagni di strada, a stabilizzare il suo dominio solitario, a creare un clima da stato di emergenza e a nascondere la crisi dell’economia dietro le grida di guerra.
Frutto velenoso di questo amore-odio è che l’uomo di punta in Siria, come anche nel Vicino Oriente, resta Putin – e inoltre la liberazione delle bande dell’ISIS che erano state tenute faticosamente sotto controllo nelle prigioni dai Curdi. Si aggiunge ancora la profonda frustrazione dei Curdi, che si sentono traditi, e la loro ricerca di nuovi alleati. Gli effetti di questi sviluppi li avvertiremo per davvero nei prossimi decenni.

(Articolo di Can Dündar su “Die Zeit” n. 44/2019 del 23 ottobre 2019)
 
 
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