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Giochi di guerra e militarismo. Intervista a studiosa di scienze culturali
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Articolo di Redazione
7 dicembre 2010 17:15
 
Sabine Fruehstueck è esperta di scienze culturali e professoressa di iamatologia (disciplina che studia civiltà e cultura giapponesi, ndr) presso la University of California di Santa Barbara. Ora è a Vienna e Die Presse l'ha intervistata.

-Com'è che da iamatologa ha cominciato a interessarsi di giochi bellici e infanzia?
Il Giappone è un buon punto d'attacco poiché lì vengono prodotti molti dei videogiochi. La mia storia parte da lì: dalla guerra russo-nipponica del 1904. All'epoca i ragazzi della scuola primaria facevano le esercitazioni militari.
-I "war games" sono sempre più realistici. Portano al militarismo?
Non arriverei a tanto. Sicuramente i ragazzi imparano che uccidere le persone è una delle possibilità per trattare i conflitti. E molti dei percorsi cognitivi assomigliano alla guerra vera.
-Ma le persone che si divertono con i videogiochi non sono necessariamente le più violente.
I veri militaristi si trovano piuttosto nelle associazioni di tiro a segno o tra chi corre nei boschi. I ragazzini davanti al computer non ambiscono alla noiosa vita militare. Vogliono provare l'eccitazione che deriva dalla sua rappresentazione. E' una forma di divertimento, però di quelle che sottintendono il militarismo come una componente normale della nostra società. Si parla di "militainment".
-E' provato il legame tra tecnologia bellica e d'intrattenimento?
Sì. Ci sono Istituti di ricerca che progettano giochi al computer per il mercato del divertimento, che vengono usati anche nell'addestramento militare. Come alla University of Southern California. Sono finanziati in parte da Us-Army e in parte da Sony. Non è un caso... Questa comunanza tra sistema militare e industria del divertimento è da prendere sul serio. Lo considero un modo nuovo d'indurre le persone a credere che la guerra sia una via percorribile per risolvere i conflitti. E poi i giochi di guerra aiutano gli Stati a legittimare, di fronte all'opinione pubblica, le ingenti somme che spendono nell'apparato militare.
-Le risulta che in caso di guerra vera, sia il miglior guerriero chi si è trastullato in quei giochi?
Per quel che ho visto io, no. Ma è interessante constatare il parallelo tra militarizzazione dell'infanzia e il sistema militare sempre più "infantilizzato". Così, l'apparato militare Usa in Giappone ha pubblicato il fumetto Manga-Comic per spiegare la storia del patto di sicurezza col Giappone. E ora anche il sistema militare giapponese impiega figurine graziose come mascottes. Prima gli statunitensi li prendevano in giro, ora fanno lo stesso. In forma di racconto per bambini.
-Cosa c'è a monte di quest'evoluzione?
Molti Stati democratici devono fare i conti col fatto che nessuno s'interessa più alla vita militare. Sono pochi a voler entrare nell'esercito, e nemmeno a voler fare qualcosa che assomigli a un'azione bellica: per esempio volare con un aereo che supera la velocità della luce, come vien detto in una storia.
-Cos'è cambiato in questi ultimi decenni nei giochi di guerra?
Dopo la Seconda Guerra Mondiale molto è cambiato. Anche in Austria. Anziché giocare alla guerra e con i soldatini, negli anni sessanta si giocava a guardie e ladri o agli indiani. Il secondo mutamento è venuto con i videogiochi elettronici. La tv è invece meno importante essendo un medium passivo.
-Viceversa, i giochi nel cyberspazio sono interattivi. Nel "World of Warcraft", per esempio, le persone di varia provenienza si collegano per tutto il globo.
E in questo modo i giochi di guerra si sganciano dallo Stato nazionale. E' raro che si possa identificare esattamente un partner militare o un nemico definibile sul piano nazionale. In più, manca la disciplina fisica -una volta si giocava sui prati o nel bosco. Invece i videogiochi vanno bene per tutti, anche per chi è grasso e si nutre di schifezze.
-In tutto il mondo si mandano i ragazzi in guerra. Perché?
Già nell'Europa del diciottesimo secolo c'era l'idea che  i ragazzini fossero dei soldati particolarmente bravi: non conoscono la paura della morte e hanno una predisposizione pressoché naturale verso la lealtà. Questa era anche la vecchia immagine del bambino in quanto essere non ancora civilizzato: un selvaggio.
Oggi, invece, si discute della paura che i ragazzi incutono. Anche in relazione ai videogiochi. Pensiamo: Dio mio, magari il bambino afferra un'arma e uccide qualcuno!
-Cos'è che distingue le forme arcaiche -incluse le palline di gelatina colorata- dai giochi al computer?
Nei giochi di guerra di un tempo c'entravano il papà o il fratello che erano andati in guerra ed erano figure da emulare. I videogiochi non hanno più questa funzione. Uno non diventa il padre tanto ammirato. Si è subito eroi, nel momento stesso in cui il gioco comincia.

(intervista di Christoph Weinberger, pubblicata sul quotidiano Die Presse del 29/11/2010. Traduzione di Rosa a Marca)
 
 
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