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Hong Kong contro il nazionalismo
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Articolo di Redazione
18 giugno 2019 12:15
 
Le manifestazioni gigantesche che si tengono ad Hong Kong non solo un evento storico per l’ex-colonia britannica. Esse contraddicono brutalmente la logica identitaria – o nazionalista – che ci viene sempre più presentata come l’avvenire dell’umanità.
La crisi è stata provocata dall’adozione di una legge sull’estradizione (poi sospesa) che permetteva alla Cina continentale di far giudicare presso di loro persone arrestate sul territorio dell’isola (o delle isole). Gli abitanti di Hong Kong sono soddisfatti del proprio sistema giudiziario, ereditato dai britannici – e temono l’arbitrato dei tribunali cinesi, cosa che si può ben comprendere. Ma a pensarci, questo riflesso democratico rovina anche i cliché in vigore sull’intangibile sovranità delle nazioni e il carattere occidentale (per non dire neo-coloniale) dell’ideologia dei diritti umani.
Hong Kong è stata annessa all’Impero britannico a metà del XIX secolo dopo diversi “trattati contraddittori” scandalosamente imposti da Londra alla Cina grazie alla superiorità delle armi occidentali. Esazione tipica dell’imperialismo europeo in vigore all’epoca che, nel 1898, elargì alla Gran Bretagna un affitto di 89 anni su Hong Kong. Un secolo dopo, nel 1997, la democrazia britannica, ripresasi da lungo tempo dalla sua tracotanza coloniale, restituì alla Cina l’arcipelago della riviera delle Perle. Tranne che nel frattempo, la città aveva raggiunto un notevole prosperità, diventando uno dei principali centri finanziari e, soprattutto, era abituata a vivere secondo le regole del pluralismo e delle libertà pubbliche ispirate al sistema politico britannico.
Fu così trovato un compromesso, in nome di un principio che era al tempo stesso semplice e ibrido: "Un paese, due sistemi". Hong Kong tornò in Cina, ma mantenne il proprio sistema legale, che era molto più libero. In cambio, la Cina ha recuperato la difesa e la diplomazia ed ha ottenuto influenza, direttamente o indirettamente, sulla nomina dell'esecutivo di Hong Kong. Così, contrariamente alla logica o identità nazionalista, gli abitanti dell'isola hanno preferito i valori universali della libertà e dei diritti individuali - ereditati dal potere coloniale - alle usanze in vigore nel loro Paese. Mentre secondo il cliché del sovranista, avrebbero dovuto accogliere con fervore il loro attaccamento alla patria.
È questo equilibrio precario che la legge sull'estradizione ha messo in discussione: la Cina sembrava muoversi inesorabilmente verso l'annessione totale di Hong Kong. Prospettive che Hong Kong, più universalista della Cina su questo punto, rifiuta con orrore. Le manifestazioni hanno contato fino a un milione di persone (su 7 milioni di abitanti). Trasposta in Francia, una tale mobilitazione avrebbe gettato nelle strade circa 10 milioni di persone! Conclusione: i diritti umani non sono un'invenzione occidentale che mascherano un sistema di dominazione post-coloniale. Parlano a tutti gli esseri umani, siano essi asiatici, africani o europei, siano essi ex colonizzatori o ex colonizzatori.

(articolo di Laurent Joffrin, pubblicato sul quotidiano Libération del 18/06/2019)
 
 
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