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Nel giorno in cui si ricordano gli innocenti infoibati, servirebbe anche il coraggio di fare i conti con la storia
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Articolo di Paolo Casalini *
11 febbraio 2018 11:48
 
 Settantasette anni non sono bastati al nostro paese per fare i conti con la sua storia. Andiamo di commemorazione in commemorazione a ricordare gli innocenti che furono uccisi in quella immane carneficina della guerra, mentre neppure nei licei si affronta compiutamente la storia recente del nostro paese, fermandoci spesso nell’approfondimento alla nascita del fascismo e aggiungendo poche pennellate di rito al secondo conflitto mondiale.
L’immane scempio di piazzale Loreto, fu in definitiva il miglior viatico possibile per poter scaricare sulla persona di Benito Mussolini la furia popolare, ma anche la ragione politica per cui in un Europa presto divisa in blocchi contrapposti, non fu mai realizzata quella Norimberga italiana che avrebbe riportato in testa al popolo italiano le sue responsabilità.
La mancata ‘Norimberga italiana’ ha inciso profondamente sia nella struttura dello Stato post-fascista, rimasto in gran parte immutato nel personale e nella mentalità, sia nella coscienza nazionale del nostro popolo che, a differenza di quello tedesco, sente molto meno il peso della responsabilità di aver scatenato la guerra a fianco di Hitler, delle leggi razziali, della persecuzione dei dissenzienti e degli oppositori politici.
Il nostro paese ha puntigliosamente evitato di fare i conti con la propria storia e in particolare con l’esperienza criminale della guerra di aggressione che abbiamo scatenato. Dobbiamo ricordarlo ai nostri giovani per capire il significato di certe commemorazioni: è stato il nostro paese a dichiarare guerra a Francia, Inghilterra e resto degli alleati, è stato il nostro paese ad invadere Jugoslavia, Grecia, Russia e Nord Africa. La nostra fu guerra di aggressione!
Il sostegno dato al movimento fascista dalla classe dirigente nazionale nel 1922, il consenso goduto dalla dittatura mussoliniana presso l’opinione pubblica fino alla disfatta militare, la questione dei crimini di guerra compiuti dal regio esercito durante le aggressioni coloniali in Africa e poi nei Balcani e l’impunità dei responsabili furono tutti temi completamente elusi dalla riflessione nazionale e sostanziarono quel processo di mancato rinnovamento culturale.
Il risultato oggi è che nel paese si fa molta fatica a ragionare sulle questioni relative ai crimini di guerra italiani perpetrati dal regio esercito e alle responsabilità del fascismo. In questo senso la consapevolezza italiana non si avvicina nemmeno lontanamente al cosiddetto “senso di colpa tedesco”. In Germania la costruzione di un monumento a un criminale di guerra sarebbe causa di una crisi politica e di provvedimenti durissimi nei confronti degli eventuali amministratori promotori dell’iniziativa. In Italia è stato inaugurato un monumento a Rodolfo Graziani e allo scandalo ha gridato quasi solo la stampa anglo-sassone, francese e tedesca. In Italia i nostri giovani nemmeno sanno chi fosse, come possono scandalizzarsi?
La guerra fredda rese impraticabile qualunque resa dei conti degli alleati con i criminali di guerra italiani. La nuova Italia era necessaria al blocco delle alleanze antisovietiche e per queste ragioni (avevano piena consapevolezza che la Guerra Fredda sarebbe stata combattuta anche sul piano ideologico e proprio su questo punto il personale ex-fascista dava garanzie di assoluta fedeltà anticomunista nel confronto con l’Urss) Usa, Gran Bretagna e Francia ritirarono le liste di criminali di guerra italiani che loro stessi avevano consegnato alla commissione delle Nazioni Unite. La Grecia, anch’essa inserita nel campo occidentale, siglò con Roma un accordo segreto nel 1948 che chiuse la questione non solo evitando richieste di estradizione ma avviando addirittura il rimpatrio degli italiani già condannati dal Tribunale di Atene. Togliatti chiuse il cerchio con l’amnistia generale.
A settantasette anni di distanza dai fatti e con tutti i protagonisti scomparsi per questioni anagrafiche, parlare di giustizia dal punto di vista penale è questione nemmeno proponibile. L’assenza di processi penali, (come dimostrò pienamente quello contro Adolf Eichmann), ha messo la sordina alla storia, davanti al cui tribunale però, non potremo sfuggire le responsabilità molto a lungo, anche solo per condannare quelle politiche di sterminio e guerra ai civili di cui anche gli italiani si macchiarono. Alle sacrosante rivendicazioni dei martiri italiani tutti: quelli massacrati durante l’occupazione nazifascista, quelli avvenuti nel lager di Birkenau, quelli seguiti alle rese dei conti successive da parte dei partigiani comunisti, quelli provocati dal desiderio di vendetta delle popolazioni che erano state sottomesse, bisognerebbe avere anche il coraggio di aggiungere le vittime che gli stessi italiani hanno provocato in Europa. In primis i morti provocati nella ex Jugoslavia.
Tra gli anni 2000/1, fu creata in un assordante silenzio, una commissione bilaterale composta da eminenti storici italiani e sloveni che dopo anni di lavoro stese una relazione di ricostruzione complessiva di tutti gli eventi occorsi sul confine orientale italo-jugoslavo. Si documentavano le tensioni del periodo liberale, le politiche aggressive del ‘fascismo di frontiera’ degli anni ‘20, i crimini di guerra italiani, le foibe e le violenze jugoslave verificatesi nel settembre ‘43 e nel maggio ‘45. Insomma, si ricostruiva l’interno quadro indicando anche le reciproche responsabilità. Manco un trafiletto in ottava pagina fu dedicato a questi lavori. L’operazione di rimozione storica continua ancora oggi, ovvero la rimozione delle responsabilità dal corpo sociale italiano, che come ogni rimozione che si rispetti, finirà per generare i suoi frutti marci.  
Nel 2009 per la prima volta l’ambasciatore italiano ad Atene, Giampaolo Scarante, ha reso ufficialmente omaggio alle vittime della strage di Domenikon, un eccidio di oltre 150 civili greci eseguito dalla divisione Pinerolo per rappresaglia dopo la morte di 9 militari italiani per un attacco partigiano. Dopo anni di silenzi e memorie omissive alcuni timidi passi sono comunque stati fatti. L’incontro di Trieste tra i tre presidenti italiano, sloveno e croato e la visita di Napolitano al Narodni Dom, incendiato dai fascisti nel ‘20, hanno segnato quantomeno una discontinuità nella nostra rappresentazione pubblica nazionale, che tuttavia non potrà continuare a lungo nella mistificatoria descrizione degli “italiani brava gente”.
Se non desideriamo piu’ fare un uso politico e strumentale del dolore, dobbiamo cominciare da una rivisitazione critica della storia nazionale e da una rilettura complessiva dei rapporti e dei conflitti intercorsi sul confine orientale tra Italia e Jugoslavia. Fino a che ci limiteremo a guardare l’istantanea di un solo momento dell’intera vicenda, escludendo tutto ciò che era stato prima (i crimini fascisti) e tutto ciò che fu dopo (l’impunità dei criminali), decontestualizzando il carattere di quel fenomeno di violenza che furono le foibe e che a loro volta non possono essere giustificate in alcun modo, resteremo sempre un popolo immaturo, che non ha il coraggio di affrontare le sue responsabilità neppure di fronte alla storia, mentre queste commemorazioni avranno sempre il retrogusto amaro della ipocrisia. 

* direttore di InformArezzo 
 
 
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