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Non soltanto appannaggio del cervello. Cooperazione nella memoria
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Articolo di Primo Mastrantoni
24 dicembre 2024 14:30
 
Al centro di numerose rappresentazioni teatrali e cinematografiche - la più famosa delle quali è il film "Lo smemorato di Collegno" (con Totò) - l'amnesia è stata l'argomento di un famoso caso mediatico-giudiziario del secolo scorso: un uomo privo di documenti ricoverato in un ospedale psichiatrico e rivendicato da due famiglie.

L'amnesia è un disturbo della memoria, una condizione neuropsichiatrica che determina l'incapacità di ricordare eventi passati. La funzione mnemonica si colloca nel sistema limbico: un insieme di circuiti neuronali, situato nel cervello che, però, non è l'unico depositario della memoria perché ci sono altri organi del nostro corpo che hanno una loro capacità di ricordare.

Nel XVIII secolo, lo psicologo tedesco Hermann Ebbinghaus documentò l'apprendimento massivo e distributivo (spazio di massa) con la  suddivisione del carico di conoscenze su più sessioni per  rendere la memorizzazione più facile, invece di tentare di apprendere tutto in una sola volta. Per ricordare bene, bisogna suddividere l'apprendimento in più sedute distanziate. In sintesi, per imparare e memorizzare al meglio una lezione o per prepararsi a un esame è conveniente dilazionare i tempi di studio.

Una ricerca pubblicata su "Nature Communications" rivela come alcune cellule non cerebrali hanno la proprietà di accumulare informazioni e quindi formare la memoria con un effetto a "spazio di massa", che è una caratteristica della facoltà di ricordare. 

Questa capacità è, ad esempio, presente anche nelle cellule renali e nervose.

Come sono riusciti gli scienziati a scoprire questa attitudine che un tempo si attribuiva solo al cervello?

Vediamo.
Insieme ai suoi collaboratori, il professore Nicolay V.Kukushkin, del  Centro per le scienze neurali, dell'Università di New York (Usa), ha scoperto un sistema ingegnoso per verificare l'attività mnemonica di cellule appartenenti ad organi  diversi dal cervello: il team di ricerca ha modificato geneticamente le  cellule, per metterle in grado di sintetizzare proteine fluorescenti, che si "illuminano" quando si attivano processi di memorizzazione, e le hanno sottoposte  a opportune stimolazioni. La risposta è stata positiva: la proteina ingegnerizzata si è illuminata. Le cellule, infatti, hanno attivato un "gene della memoria" che è lo stesso che si produce nel cervello quando elabora i ricordi. Se le stimolazioni sono più lunghe e intervallate (spazio di massa) la memoria si consolida più efficacemente, proprietà che si riscontra sia nelle cellule neuronali sia in quelle di altre parti del corpo umano. 
"Questa scoperta apre nuove porte per comprendere come funzionano i nostri ricordi e potrebbe portare a metodi avanzati per migliorare l'apprendimento e trattare i problemi della memoria" sostiene Kukushkin e allo stesso tempo suggerisce che "in futuro avremo bisogno di trattare il nostro corpo similmente al cervello, ad esempio, considerare che il pancreas ricordi i nostri pasti precedenti per mantenere sani livelli di glucosio nel sangue o considerare ciò che una cellula tumorale ricordi di un trattamento chemioterapico".

Possiamo, dunque, definire il corpo come un insieme di memorie depositate durante il periodo di apprendimento. Insomma, è tutto il nostro organismo che ricorda. Non è appannaggio del solo cervello.

(Articolo pubblicato sul quotidiano LaRagione del 24 dicembre 2024)
 
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