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Omicidio compassionevole, la legge britannica deve cambiare
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Articolo di Redazione
4 dicembre 2010 9:59
 
Quando Lord Falconer of Thoroton istruirà la sua prossima commissione sul suicidio assistito, c'e' un aspetto delle leggi riguardanti l'eutanasia che dovrebbe affrontare con una certa urgenza. E' un aspetto che emerge da una sentenza d'appello dello scorso 12 novembre concernente un caso che, da ogni punto di vista, è una tragedia.
Questi sono i fatti. Un giovane uomo viene portato all'ospedale; durante il tragitto, lo sportello dell'ambulanza si apre e l'uomo viene sbalzato fuori. Soffre danni catastrofici alla testa e finisce in coma profondo. All'ospedale viene sottoposto a due operazioni salvavita per alleggerire la pressione sul cervello, operazioni che sfigurano gravemente l'uomo.
La madre si convince che il figlio non riuscirà mai più a riprendersi e che l'unico modo per porre fine alle sue sofferenze è porre fine alla sua vita. Così prova ad ucciderlo con una iniezione di eroina. L'uomo viene rianimato; la madre viene arrestata e incriminata per tentato omicidio. Un anno dopo, a seguito di un peggioramento delle condizioni di salute del figlio, la madre fa un secondo tentativo. Questa volta ci riesce.
Non poteva esserci alcuna difesa possibile contro l'accusa di omicidio, visto che certamente lei intendeva uccidere il figlio. Ma la natura del suo caso costringe la Corte d'Appello ad una delle più difficili decisioni mai prese, come hanno ammesso gli stessi giudici. Per la legge [...], la Corte era obbligata a infliggere un minimo di 15 anni di prigione prima che la madre potesse chiedere la libertà condizionata. Doveva poi prendere in considerazione tutte le aggravanti -molte delle quali, come il grado di premeditazione, erano presenti nel caso di specie. D'altra parte, doveva esaminare anche le attenuanti, e in particolare "la convinzione del reo che l'omicidio era un atto di compassione". Come possono questi fattori conciliarsi tra di loro, quando sono due facce della stessa moneta?
Nel processo di primo grado, il giudice ha fissato una sentenza minima di nove anni. La Corte d'Appello, con una decisione esemplare, ha ridotto il termine minimo a cinque anni, stabilendo che quando un omicida crede veramente che il suo crimine sia un atto di compassione, le aggravanti devono essere ignorate.
Questo caso -il primo che riguarda il mercy killing su cui la corte si è pronunciata- solleva due questioni di grande importanza. La prima, ha davvero senso ciò che la Corte chiama "un regime di sentenze minime obbligatorie" per omicidio, visto che c'era questo tipo di dilemma? I casi di omicidio, più di ogni altro caso, dipendono dalle specificità fattuali concrete. Non sarebbe meglio lasciare al giudice la decisione sulla sentenza minima? Il Parlamento dovrebbe continuare a stabilire le sentenze massime, come ha sempre fatto, ma non dovrebbe essere coinvolto nelle sentenze minime.
La seconda questione è qualcosa su cui la Corte non ha potuto fare niente. Anche se ha ridotto la carcerazione minima da nove a cinque anni, è stata costretta a confermare la sentenza originale all'ergastolo. Ma quel è la ragione di tutto questo? La madre non commetterà un altro omicidio. Non è stata dissuasa dalla prospettiva di essere condannata a vita. E quasi sicuramente sarà rimessa in libertà condizionata dalla Commissione di sorveglianza dopo cinque anni. Quindi condannarla ad una sentenza che durerà per il resto della sua vita è una barbarie.
L'ergastolo obbligatorio per omicidio è sconosciuto in altri Paesi. Distorce la legge e dovrebbe essere eliminato. Non ha alcuno scopo, visto che i giudici continueranno a comminare l'ergastolo quando devono; ma non dovrebbe essere imposto per legge. Già diversi presidenti della massima istanza giudiziaria britannica, tra cui Lord Lane, Lord Bingham e Lord Woolf, si sono detti favorevoli a eliminarlo. Non richiede intense consultazioni, risolverebbe immediatamente i problemi che sorgono nei casi di omicidio compassionevole, e aprirebbe la strada ad una più radicale riforma della normativa sull'omicidio di cui abbiamo molto bisogno.

(Editoriale a firma di Lord Anthony Lloyd, ex membro della corte suprema britannica, pubblicato sul quotidiano The Telegraph)
 
 
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