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La pensione a 67? Ma ben volentieri!
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Articolo di Redazione
23 novembre 2010 20:42
 
Lavorare fino a 67 anni - per molti è un incubo. Non per tutti: c'è una nuova generazione di vecchi che ha ancora voglia di partecipare. Anche in campo professionale.
Dietrich Wagner, 66 anni, è divenuto un simbolo suo malgrado. E ne conserverà le tracce per tutta la vita. La sua fotografia, che lo ritrae con lo sguardo di fuoco, è diventata emblema della protesta contro Stuttgart 21 (il progetto di ricostruzione della stazione ferroviaria di Stoccarda e conseguente distruzione del grande parco in mezzo alla città che ospita alberi secolari e alcune specie protette di animali, ndr). Accanto a scolari, studenti, giovani famiglie che marciano nella capitale del Baden-Wuerttemberg per gridare la loro contrarietà al progetto, quest'autunno spicca la presenza di molte teste grigie.
Studiosi e giornalisti discutono di questo ritorno dei manifestanti -di coloro che si oppongono a ogni cambiamento o degli spiriti rivoluzionari che lottano contro il potere dello Stato.
In realtà sono qualcosa di più: sono l'espressione visibile di una nuova consapevolezza di sé degli ultrassessantenni, sostiene il famoso gerontologo Andreas Kruse di Heidelberg.
"L'attuale generazione dei 60-70enni non è equiparabile a quella degli anziani delle generazioni precedenti". Questi sono cresciuti in un contesto culturale diverso, in situazioni sociali ed economiche differenti. Sono nati subito prima o nel bel mezzo del miracolo economico tedesco, e hanno vissuto le prime rivolte giovanili degli anni cinquanta così come le dimostrazioni e le assemblee degli anni sessanta. Anche chi non marciava con gli altri, ha assorbito quel che veniva messo in discussione della società di allora.
I rappresentanti di coloro che sono nati in quegli anni si considerano parte di una generazione che vuole continuare a esserci, dicono le ricerche di Kruse. La rappresentazione classica di chi va in pensione e si ritira nel privato, per molti di loro è terrorizzante, e sono in diversi a essere affascinati dall'idea di poter continuare a lavorare anche dopo i 65 anni. E quando il datore di lavoro accompagna alla porta il neopensionato, questi si può sempre rivolgere altrove. "L'impegno sociale e civile aumenta", osserva Kruse. Con la generazione attuale l'immagine della vecchiaia cambia radicalmente. Aggiunge: "Giovane età significa libertà tardiva".
"Will you need me, will you still feed me, when I'm sixty-four" canticchiavano nel 1967 i giovani spensierati insieme ai Beatles. Oggi hanno 64 anni. E come hanno cambiato la società di allora, possono fare altrettanto oggi. "Non è che uno arrivato ai 60 o ai 70 anni diventi improvvisamente un'altra persona", nota Kruse.
Restare giovani col lavoro
Cos'è allora che confligge con il lavorare più a lungo? Da anni si discute di portare l'età pensionabile a 67 anni. Per molti è un incubo pensare di dover lavorare più a lungo. Ma dev'essere per forza sempre così? Una nuova generazione di anziani potrebbe rallegrarsi di mantenere il posto ancora per un po' di anni. Giacché lavoro significa anche avere un ruolo attivo nella società e fare qualcosa di costruttivo.
Agli scettici, il responsabile dell'Istituto del Futuro, Andreas Steinle, fa notare che l'attività prolungata offre delle chances. "La potenzialità di restare giovani mediante il lavoro, ancora non è ben percepito". Perciò sollecita un'adeguata cultura del lavoro e sostiene che il mondo economico dovrebbe sforzarsi di più per incentivare l'attività degli anziani.
Intanto si notano le prime tendenze verso una durata più lunga nel mondo del lavoro. Naturalmente bisogna che le imprese vogliano davvero lavoratori più anziani e non li releghino tra i vecchi. Ma anche qui emerge un nuovo modo di pensare, come dimostra l'ultimo rapporto che la Ministra del lavoro, Ursula von der Leyen, ha presentato giorni fa al Governo. Vi si dice che le opportunità per gli anziani sono migliorate. La crescente carenza di lavoratori specializzati induce infatti le imprese a ricorrere sempre di più agli anziani, tanto che la loro quota oggi è doppia.
"Aumenta l'impegno dei vecchi"
Lavorare più a lungo -per molti oggi non è più un problema. Soprattutto tra i pensionati culturalmente meglio attrezzati -medici, manager, maestri artigiani- anche in qualità di esperti, poiché vogliono trasmettere il loro sapere ai giovani, talvolta in cambio di un compenso minimo. Fanno da consulenti ai nuovi imprenditori oppure offrono i loro servigi nei Paesi in via di sviluppo.
Ciò coincide con le osservazioni del gerontologo Kruse, che tra l'altro dirige la Commissione per gli anziani del Governo. "I vecchi vogliono trasmettere le loro esperienze". E il comportamento dei senior non è affatto egoista, sostiene il sociologo Klaus Schoemann del Jacobs-Zentrum per l'apprendimento permanente. "Con l'invecchiare spesso si sviluppa una prospettiva di più lungo termine - i pensionati vogliono creare qualcosa che rimanga e da consegnare alle generazioni successive". Lo scenario dell'orrore di una repubblica di pensionati, con i vecchi che vivono alle spalle dei giovani, sembra per lo meno esagerato.
La vecchiaia non equivale alla perdita delle capacità cognitive e dell'impegno, dicono i ricercatori. Nel mondo degli attori e dei musicisti questo cambiamento è in atto da un bel po'. Marius Mueller-Westernhagen, 61 anni, è appena stato in tournee; a fine ottobre Annette Humpe del Duo Ich+Ich ha festeggiato il suo sessantesimo compleanno e ha proposto un paio di canzoni nuove. Le attrici Iris Berben, 60, e Hannelore Hoger, 68, possono esibire il loro rapporto d'amore persino in un programma popolare come Samstagabend-Unterhaltung, ciò che non sarebbe stato possibile alle loro due colleghe della generazione precedente, Inge Meysel e Heidi Kabel.
La società che invecchia non significa affatto la riduzione delle capacità innovative, giura Kruse. Non esiste alcuna prova scientifica che lo dimostri. "Sperimentiamo invece esattamente l'opposto".
Le prime generazioni a essere realmente coinvolte in un'uscita ritardata dal mondo del lavoro sono le persone nate negli anni cinquanta e sessanta. Molte di loro frequentavano l'università negli anni settanta e ottanta -all'epoca degli studenti bighelloni, quando la laurea la si rimandava volentieri ai trent'anni. Per queste generazioni, anche le altre tappe della vita si sono dilatate: il matrimonio, la nascita del primo figlio. Dunque, andare in pensione più tardi diventa per loro una semplice conseguenza.

(articolo di Lisa Erdmann, pubblicato su Der Spiegel del 22-11-2010. Traduzione di Rosa a Marca)

 
 
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