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Quegli antisemiti ossessionati da Soros
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Articolo di Redazione
4 novembre 2018 16:58
 
 L’attacco del 27 ottobre contro una sinagoga di Pittsburgh è, con 11 morti, l’attentato antisemita coj più morti nella storia degli Usa. Numerose voci si sono levate per denunciare il clima di odio dovuto a Donald Trump, soprattutto nei suoi attacchi ossessionati contro George Soros, uno dei più solidi sostegni finanziari del partito democratico. “Quando si dice Soros, è una sorta di codice per indicare gli ebrei. Lo stesso quando si dice globalizzazione. Per questi motivi viene alimentato l’antisemitismo”, dice Joy Katz, scrittore ebreo di Pittsburgh. Maurice Samuels, professore a Yale, accusa Trump di “far rieccheggiare (o ritwittare) in modo continuo le teorie cospirazioniste di estrema destra, molte delle quali riguardano George Soros, come un simbolo molto pratico degli ebrei che controllano i mercati finanziari, la politica e la stampa. Una nozione importante dei discorsi di base dopo ‘I protocolli degli Anziani di Sion’”.
La denuncia ossessiva di Soros
Soros è stato il primo destinatario dei pacchi bomba che di recente sono stati inviati a varie personalità che hanno a che fare col Partito democratico. E’ il bersaglio di violente campagne mediatiche fatte da Trump accusandolo di incoraggiare i flussi di rifugiati verso gli Stati Uniti. L’assassino di Pittsburgh ha messo insieme la comunità ebraica che ha attaccato con la minaccia degli “invasori”, che secondo lui sarebbero stati i rifugiati. Ma è nel Paese di Soros, l’Ungheria, che gli attacchi più sistematici sono stati lanciati dal molto populista governo di Viktor Orban, al potere dal 2010. Nell’estate del 2017, dei manifesti giganti (vedi foto) sono stati affissi in tutto il Paese, con la foto del miliardario americano accanto ad una scritta: “il 99% degli ungheresi sono contro gli immigrati. Non lasciamo che Soros sia l’ultimo a ridere”.
L’ambasciatore di Israele a Budapest protesta contro una campagna che “che evoca non solo dei tristi ricordi, ma semina odio e paura”. Ma ci vorrebbe di più per dissuadere Orban: il 15 marzo 2018, in occasione della Festa nazionale, interviene contro “la rete delle ONG finanziate dagli speculatori internazionali, inglobata e incarnata dalla persona di George Soros”. Il primo ministro ungherese denuncia questa “rete internazionale strutturata come un impero” che si darebbe da fare per rimpiazzare con degli immigrati la popolazione di ceppo europeo. E fustiga “un avversario che è diverso da noi. Che non agisce apertamente, ma nascosto, non è chiaro ma tortuoso, non è nazionale ma internazionale, non crede nel lavoro ma specula coi soldi, non ha una patria perché crede che il mondo intero gli appartenga”. Col 48,8% dei voti per il suo partito alle legislative dell’8 aprile, Orban dimostra che affermazioni così virulente danno risultati elettorali. Poco dopo, Open Society, la fondazione di Soros, trasferisce a Berlino la gestione dei programmi che fino ad allora metteva in atto a partire da Budapest.
L’ora della verità per Netanyahu
Netanyahu si vanta di essere stato il primo dirigente a felicitarsi con Oraban per il suo recente successo elettorale. In precedenza aveva sconfessato le critiche alla campagna anti-Soros da parte del suo ambasciatore in Ungheria. E questo perché il primo ministro israeliano accusa il filantropo americano “di nuocere al governo israeliano democraticamente eletto finanziando alcune organizzazioni che diffamano lo Stato ebraico”. Open Society sostiene in effetti alcune organizzazioni israeliane di difesa dei diritti umani per le quali Netanyahu vorrebbe impedire iniziative e uso dei media. Il capo del governo israeliano ha anche ritenuto Soros responsabile, nello scorso aprile, del fallimento di un accordo per il trasferimento di “infiltrati” africani in Israele verso il Rwanda (il termine “infiltrati” indica ufficialmente in Israele gli immigrati illegali, essenzialmente originati dell’Eritrea e del Sudan). Netanyahu e Soros si sono anche ritrovati, nella politica americana, in campi diametralmente opposti, come quello del sostegno ad Obama contro McCain nel 2008, e poi Romney nel 2012, con il premier israeliano che si è preso la rivincita con l’elezione di Trump nel 2016. Su un piano anedottico, Yair Netanyahu, il figlio maggiore del primo ministro, aveva sollevato una polemica in Israele diffondendo nel 2017 una caricatura di Soros mentre teneva il mondo intero come esca di una canna da pesca.
Il capo del governo israeliano intanto, è stato particolarmente colpito dagli assassinii di Pittsburgh, commessi in quella Pennsylvania dove lui ha passato gran parte della sua adolescenza. Ha reagito subito e con una certa emozione a quanto accaduto, mentre ad agosto 2017, ci aveva messo tre giorni per reagire ai fatti antisemiti di Charlotesville. A maggio del 2018, in occasione del trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, aveva anche invitato dei predicatori americani che avevano diverse volte avuto posizioni antisemite. Un gesto che fa parte di una strategia di alleanza della destra estrema in Israele con una corrente evangelica dagli accenti messianici, corrente la cui crescita politica crea disagio nell’ambito della diaspora ebraica. La decisione del presidente Bolsonaro, appena eletto, di trasferire l’ambasciata del Brasile a Gerusalemme, non può che essere di conforto a questa strategia di Netanyahu. E’ quindi improbabile, anche dopo Pittsburgh, che il primo ministro israeliano cessi di perseguire Soros con la sua vendetta e di far riferimento, sul continente americano come in Europa, ai populismi aggressivi.

(articolo pubblicato sul quotidiano le Monde del 04/11/2018)
 
 
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