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La repressione è dappertutto, ma … il caso Turchia
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Articolo di Redazione
23 gennaio 2019 12:36
 
Erdogan censura la stampa e chiude in carcere gli oppositori. Ma molti Turchi resistono al clima di paura e simpatizzano almeno di nascosto coi coraggiosi che si azzardano ancora a criticare il regime.
Di recente un sondaggio per strada ha acquistato la massima popolarità in Turchia. La reporter chiede ai passanti se la AKP [il partito di Erdogan] perderà voti alle elezioni. Un uomo, senza parlare, unisce i polsi e li tiene così davanti alla telecamera. Questo gesto, traducibile con “Se dico quello che penso, mi arrestano”, riassume in 15 secondi il clima di paura che c’è nel Paese.
Questo è quanto appare nella strada.

E ora veniamo ai media. Il presidente dello Stato Erdogan controlla quasi tutti i media. Quasi tutte le emittenti trasmettono in diretta i suoi discorsi. Parecchi giornali escono con gli stessi titoli a caratteri cubitali. I giornalisti che non ubbidiscono sono in carcere o in esilio. E tuttavia ci sono un paio di emittenti che il governo non ha ancora sotto controllo. Una di queste è FoxTV. Il conduttore Fatih Portakal (nella foto) ha informato il mese scorso sulle proteste in Francia e contestualmente ricordato come siano difficili le proteste in Turchia, aggiungendo: “E se almeno una volta dimostrassimo pacificamente contro il rincaro dei prezzi, quante persone scenderebbero in strada nonostante la paura?”.
Subito dopo il presidente dello Stato ha minacciato il conduttore, il cui nome Portakal significa “arancia”: “Ecco che arriva un’arancia o un mandarino, e chiama la gente in strada. Conosci i tuoi limiti! Sennò dal popolo ti prendi un colpo sul collo!”. Il procuratore della repubblica ha condotto immediatamente delle indagini contro Portakal per “istigazione a commettere reato”. E le autorità competenti (RTÜK) hanno bloccato lo show per tre giorni, perché “ha ridestato sentimenti di odio nella società”, e hanno appioppato all’emittente una multa (sui 165.000 euro).
Anche Halk TV, un’emittente sulla linea del partito di opposizione CHP [Partito Popolare Repubblicano], si sottrae al diktat di Erdogan.
Ultimamente in un popolare talkshow erano ospiti due famosi comici. Il settantaseienne Metin Akpinar ha detto: “Se non creiamo una democrazia, il capo, come in ogni fascismo, viene probabilmente appeso per i piedi, o muore avvelenato in una segreta”. Mujdat Gezen, 75 anni, ha criticato Erdogan perché rimprovera sempre la gente: “Erdogan, ascolta. Conosci una buona volta i tuoi limiti: non devi mettere alla prova il nostro patriottismo!”. Ma il monopolio dei rimproveri in questo Paese ce l’ha Erdogan. Il giorno dopo egli tuonò che gli “artisti presuntuosi” avrebbero dovuto rispondere adesso davanti alla giustizia, avrebbero “pagato per quello che avevano detto”. Il procuratore della Repubblica prese queste parole come un ordine. La mattina dopo la polizia era davanti alla porta dei due comici, già la domenica furono sottoposti a interrogatorio. Ad ambedue fu proibito di lasciare il Paese. Gli avvocati di Erdogan fecero intervenire l’autorità radiotelevisiva, perché gli artisti avrebbero “incitato alla rivoluzione”. La suddetta autorità inflisse il divieto di andare in onda per cinque trasmissioni e una multa di circa 13.000 euro. Se si ripete una simile imputazione, le due emittenti sono minacciate dalla chiusura.
Gli avvenimenti delle ultime settimane mostrano chiaramente l’innalzamento della dose di repressione del regime.

Ma c’è anche questo dato di fatto: quando Fatih Portakal è tornato in trasmissione, è schizzato in vetta alla classifica dei cento programmi più visti. Anche se, quando ne viene richiesta l’opinione, tiene la bocca chiusa, la gente sostiene, guardando silenziosamente proprio quelli che si azzardano ad aprirla la bocca. I media propagandistici di Erdogan, invece, calano ogni giorno nel favore della popolazione. Un sondaggio dell’istituto Konda dimostra che il tasso dei lettori di quotidiani è precipitato negli ultimi dieci anni dal 61 al 27 percento. Per esempio, la tiratura di un giornale ben determinato è calata da un milione di copie a meno di centomila, da quando si trova sotto il controllo del governo. Cala anche l’indice di ascolto dei telegiornali. Al contrario, il numero di coloro che utilizzano media sociali relativamente liberi è cresciuto, in dieci anni, dal 38 al 72 percento. Il ministero dell’Interno ha reso noto di aver istituito, come contromisura, delle pattuglie cibernetiche attive ventiquattr’ore su ventiquattro e di aver fatto passi legali contro 110.000 account. Solo recentemente sono state avviati accertamenti contro il direttore generale della banca HSBS, perché cinque anni fa aveva condiviso un video, in cui Erdogan viene deriso.
Secondo il rapporto del “Comitato per la protezione dei giornalisti” CPJ, nel 2018 la Turchia continua a essere nel mondo il Paese con il numero più alto di giornalisti incarcerati. Dalla sua elezione a presidente dello Stato sono state fatte indagini contro 69.000 persone per offese a Erdogan.
Così si presenta la Turchia prima delle elezioni amministrative del 31 marzo.

(Articolo di Can Dündar, dal quotidiano “Die Zeit” n. 3 del 12 gennaio 2019)
 
 
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