testata ADUC
La riforma dell’e-commerce europeo punta a un mercato più equo
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Redazione
6 settembre 2021 15:21
 
Nicola Piovani sostiene che la musica sia fatta di suono e di silenzio, di battere e levare. Un acquisto online, per certi versi, riposa sullo stesso equilibrio fra momenti di scelta e momenti di attesa i quali, se gestiti male o per nulla, soprattutto se attengono ai tempi successivi all’ordine ed al relativo pagamento, possono produrre ansie, domande e recensioni negative.

Se recentemente avete comprato un prodotto da un venditore cinese o presso un intermediario che l’ha importato da paesi al di fuori dell’Unione Europea e state dunque soffrendo ritardi e problemi o se i vostri beni risultano al momento essere fermi in dogana o è stato chiesto il pagamento di un dazio, allora dovete esserne consapevoli: siete incorsi nel delicato periodo di transizione successivo all’introduzione, lo scorso primo luglio, di una vasta riforma europea volta a regolamentare il commercio elettronico verso i consumatori finali e a contrastare le distorsioni di carattere fiscale che riguardano le vendite da Paesi extra-Ue non solo da parte di operatori cinesi, ma anche da parte dei cosiddetti venditori in dropshipping che, senza magazzino, si occupano di acquisire la vendita per lasciare la gestione della consegna ai propri fornitori.
Tale riforma è stata approvata sia per favorire il mercato comune rendendone omogenee le condizioni sia per contrastare le pratiche elusive delle importazioni da paesi extra-Ue che ammontano, secondo il Financial Times, a 5 miliardi di euro annui e che, secondo le stime, avrebbero potuto salire a 7 se non si fosse posta mano alla questione. In particolare, si è voluta contrastare la pratica di elusione dell’iva con la quale anche beni di maggior valore approfittano del VAT de minimis ovvero dell’esenzione dal pagamento dell’imposta e delle dichiarazioni doganali per i beni importati da paesi al di fuori della Ue, di valore inferiore ai 22 euro (detti small consignments) che, pur eccedendo tale somma, vengono spediti con l’indicazione di un importo differente e con l’indicazione generica “gifts” o “sample parts”.
La riforma fiscale dell’e-commerce europeo, come detto, affronta molteplici aspetti:
-mentre prima le soglie nazionali erano differenziate, dal primo luglio un venditore online europeo, qualora superi i 10mila euro annui di ricavi, deve in ogni caso adottare l’aliquota iva del paese di destinazione: al contrario, gli operatori che, per ragioni di dimensione o di vendite sporadiche all’estero, non raggiungono tale soglia, potranno continuare a vendere applicando l’iva del paese di origine;
-in alternativa, i siti e-commerce potranno registrarsi presso un portale elettronico, l’OSS (One Stop Shop), trasmettendo dichiarazioni iva trimestrali e fornendo comunicazioni dettagliate attraverso il sito dell’Agenzia delle Entrate. Pur trattandosi di una scelta facoltativa a cui possono ricorrere gli stessi i venditori extra-Ue, l’Oss pare essere l’opzione raccomandata dalla riforma entrata in vigore;
-come già anticipato, l’ICS2 (Import Control System 2), attivo fin dalla scorsa primavera, richiede che anche i beni di valore inferiore ai 22 euro siano definiti da un codice semplificato, una sorta di “canale verde” per facilitarne la verifica in dogana, ma proprio grazie a questo non sfuggano alle maglie larghe dei controlli a campione che hanno contraddistinto il sistema precedente;
-per le vendite realizzate in Europa e relative a beni oggetto di importazione, ad esempio dalla Cina, viene inoltre introdotto il meccanismo del IOSS (Import One Stop Shop) che appunto abolisce il VAT de minimis e la relativa esenzione per gli small consignments: l’acquirente pagherà l’imposta al momento dell’acquisto e il venditore la verserà nel Paese europeo in cui ha registrato la posizione;
-ultimo, ma non meno importante, tassello della riforma: i marketplace saranno incaricati di svolgere il ruolo di sostituto d’imposta ovvero, per fictio iuris, si immagina che quando un venditore perfezioni una transazione grazie alle loro interfacce, essi comprino il bene per rivenderlo e siano quindi chiamati ad addebitare l’iva al consumatore e a versarla nel paese europeo in cui si sono registrati.
Riforma di armonizzazione interna all’Unione Europea, l’insieme di provvedimenti si assume dunque anche il compito di contrastare iniziative contrarie alla libera concorrenza: vendere online ricorrendo all’elusione dell’iva e non soggiacendo agli stessi adempimenti di certificazione, etichettatura e rispetto delle normative tecniche è infatti una pratica scorretta verso i concorrenti e mina alle basi la fiducia che sempre deve essere consolidata nel caso delle vendite a distanza.
Fra gli operatori del settore, alcuni si stanno chiedendo in particolare se tale innovazione determini la fine del modello del dropshipping, in particolare nel caso della collaborazione da parte di venditori europei con fornitori cinesi: anche in Italia molteplici sono oggi le possibilità di iniziare a vendere online, con un proprio sito o una vetrina su Amazon o sui social media, senza fare magazzino, ma servendosi del catalogo prodotti di fornitori che, su Aliexpress o in forma privata, può essere utilizzato per generare vendite lasciandone l’esecuzione al soggetto a monte.
Il modello, sia chiaro, non contiene in sé alcun elemento di illegalità: anzi, individuare un fornitore di nicchia con il quale costruire una relazione per valorizzarne l’offerta nel proprio mercato nazionale può essere una forma valida per intraprendere un progetto di vendita online. Operare come uno dei tanti affiliati di un dropshipper espone però ad alcune debolezze:
-il mancato controllo del prodotto, delle sue qualità, delle descrizioni che lo denotano online;
-il mancato controllo delle spedizioni con il rischio di essere soggetto a recensioni negative e a delicate attività di assistenza al cliente in caso di ritardi, danneggiamenti e difformità;
-le potenziali criticità che abbiamo affrontato, nel caso in cui l’iniziativa ricada nelle fattispecie che abbiamo affrontato.
«Probabilmente è ancora presto per trarre una valutazione sugli effetti di questa riforma. Di certo gli intenti della Unione sono chiari: la riduzione alle imprese degli oneri amministrativi che derivano dai diversi regimi iva e il contrasto alla crescente perdita di entrate legate a questa imposta» afferma Andrea Spedale, Presidente di Aicel Associazione Italiana Commercio Elettronico.
«Questi aspetti da un lato renderanno la transazione trasparente per il cliente che avrà la certezza del prezzo totale della transazione e non dovrà affrontare costi imprevisti al momento dell’importazione del bene nella Ue e, dall’altro, stabilizzerà il mercato eliminando la concorrenza sleale per via di vendite in regime di dropshipping di merce di origine extra-Ue con elusione dell’iva. Con questa riforma il dropshipping però non sarà smantellato: sarà la sua forma “selvaggia” a non avere vita lunga mentre si rafforzerà quello basato su un rapporto stretto con il fornitore così da offrire un servizio al cliente europeo».
I cambiamenti che abbiamo descritto fra i quali, non ultimo, il nuovo ruolo dei marketplace come soggetti chiamati ad addebitare e pagare l’iva, possono dunque essere visti non solo come un volano di maturazione del mercato comune digitale e di contrasto a pratiche illegali, ma anche come l’occasione per rendere più consapevoli i consumatori dei processi che regolano l’e-commerce e delle tutele disponibili nel momento in cui si ricorra a venditori professionali ed affidabili.
(Andrea Boscaro su Linkiesta del 04/09/2021)
 
CHI PAGA ADUC
l’associazione non percepisce ed è contraria ai finanziamenti pubblici (anche il 5 per mille)
La sua forza sono iscrizioni e contributi donati da chi la ritiene utile

DONA ORA
 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
AVVERTENZE. Quotidiano dell'Aduc registrato al Tribunale di Firenze n. 5761/10.
Direttore Domenico Murrone
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS