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Rimborsi per estinzione anticipata di finanziamenti: la 'Sentenza Lexitor'
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Articolo di Anna D'Antuono
1 aprile 2020 0:03
 
Lo scorso 11 settembre la Corte di Giustizia Ue ha depositato la Sentenza C-383/18 (c.d. Lexitor) con cui, pronunciandosi sull'art.16 della Direttiva Ue 48/2008, ha sancito il diritto del consumatore, in caso di richiesta di rimborso anticipato del credito, di vedersi rimborsare la quota-parte non goduta di tutti i costi. Tutti, e non solo quelli recurring connessi all'intera durata del rapporto di credito, bensì anche gli oneri up-front, quelli volti a remunerare attività destinate ad esaurirsi con la stipula del contratto e non dipendono dalla durata del finanziamento.

Quali sono le caratteristiche delle due tipologie? Nell'ottenere un prestito, non si è soggetti al pagamento dei soli interessi ma anche ad una serie di oneri quali le spese di istruttoria, i costi della pratica e quelli relativi all'incasso della rata. Non solo: sono presenti, a seconda dei casi, incorporate nelle spese di istruttoria oppure appositamente indicate, le provvigioni dell'intermediario del credito. Ed è soprattutto quest'ultima voce ad elevare di molto il costo per il cliente: basti pensare che si può arrivare anche ad un terzo della somma richiesta. Nasce da ciò l'enorme differenza tra il Tan, tasso annuale nominale, ossia il tasso di interesse che viene applicato al finanziamento, ed il Taeg, tasso annuo effettivo globale, che racchiude le spese da sostenere quando si chiede un finanziamento, perché include anche quelle accessorie. Il grosso problema per il settore intero nasce proprio qui. Le spese iniziali appartengono alla categoria up-front, ed ora vanno in proporzione restituite in caso di estinzione anticipata.

A cosa è dovuta l'interpretazione della Corte di Giustizia Ue? Alcuni commentatori pongono in risalto la babele linguistica citata nella sentenza: “Un'analisi comparativa delle diverse versioni linguistiche dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 non permette di stabilire la portata esatta della riduzione del costo totale del credito prevista da tale disposizione”. In sostanza, per non perdersi dietro decine di traduzioni ed interpretazioni, i Giudici avrebbero optato per la soluzione più agevole. Le cose non stanno così, come si legge appresso. I punti 31 e 32 esprimono concetti molto forti: “L’effettività del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito risulterebbe sminuita qualora la riduzione del credito potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi presentati dal soggetto concedente il credito come dipendenti dalla durata del contratto, dato che (...) i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla banca e che la fatturazione di costi può includere un certo margine di profitto”. Ancora, “Limitare la possibilità di riduzione del costo totale del credito ai soli costi espressamente correlati alla durata del contratto comporterebbe il rischio che il consumatore si veda imporre pagamenti non ricorrenti più elevati al momento della conclusione del contratto di credito, poiché il soggetto concedente il credito potrebbe essere tentato di ridurre al minimo i costi dipendenti dalla durata del contratto”.
Non manca la “solita” asimmetria tra le parti. Al punto 33, infatti, la sentenza afferma: “il margine di manovra di cui dispongono gli istituti creditizi nella loro fatturazione e nella loro organizzazione interna rende, in pratica, molto difficile la determinazione, da parte di un consumatore o di un giudice, dei costi oggettivamente correlati alla durata del contratto”.
Altro che tagliare corto per non perdersi nelle traduzioni!

Il pronunciamento ha immediatamente provocato enormi preoccupazioni nei vertici di banche e finanziarie come pure in tutti i soggetti intermediari, e nel contempo acceso speranze presso una vasta platea di loro clienti. Se la restituzione dei costi recurring di un prestito può valere alcune centinaia di euro, infatti, per gli oneri up-front si entra nell'ordine delle migliaia. L'impatto sui bilanci è quindi potenzialmente destabilizzante.

In Italia, la casistica è disciplinata dall'articolo 125-sexies del Testo Unico Bancario che riconosce ai consumatori in caso di rimborso anticipato del prestito il “diritto ad una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”. La Banca d’Italia è intervenuta a precisare tramite le Disposizioni di trasparenza del 29 luglio 2009, più volte integrate fino agli “Orientamenti di Vigilanza in materia di cessione del quinto” del 30 marzo 2018, di cui parleremo in seguito. In base a tutto ciò, la giurisprudenza ed i Collegi dell'Arbitro Bancario Finanziario riconoscevano ad oggi il diritto del consumatore di vedersi restituire, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, per la quota non goduta, gli oneri correlati ad attività destinate a svolgersi nel corso del rapporto (costi recurring) ma non quelli imputabili a prestazioni concernenti la fase delle trattative e della formazione del contratto (costi up front).

Nel dettaglio, il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario, nella decisione 6167/2014, aveva deciso che, in caso di estinzione anticipata del prestito:
(a) sono, in principio, rimborsabili, per la parte non maturata, le commissioni bancarie, così come le commissioni di intermediazione e le spese di incasso quote;
(b) in assenza di una chiara ripartizione, nel contratto, tra oneri e costi up-front e recurring, l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione,? al fine della individuazione della quota parte da rimborsare;
(c) l’importo da rimborsare è stabilito secondo un criterio proporzionale, ratione temporis, tale per cui l’importo complessivo di ciascuna delle suddette voci viene suddiviso per il numero complessivo? delle rate e poi moltiplicato per ?il numero delle rate residue;
(d) l’intermediario è tenuto al rimborso a favore del cliente di tutte le suddette voci, incluso ?il premio assicurativo.

Riguardo quest’ultimo punto, quello delle polizze abbinate, il diritto alla restituzione era stato sancito più volte dalla Cassazione, poi era arrivato il "Decreto Crescita", ovvero il Decreto Legge 179/2012 convertito dalla Legge 221/2012, all'articolo 22 comma 15-quater e seguenti a prevedere che nei contratti di assicurazione connessi a mutui e ad altri contratti di finanziamento, per i quali sia stato corrisposto un premio unico il cui onere è sostenuto dal debitore/assicurato, le imprese, nel caso di estinzione anticipata o di trasferimento del mutuo o del finanziamento, restituiscono al debitore/assicurato la parte di premio pagato relativo al periodo residuo rispetto alla scadenza originaria.

Per il resto dei costi connessi ai finanziamenti, il quadro descritto è destinato a mutare sin da subito ed a favore dei clienti.
Già il 4 dicembre 2019 la Banca d'Italia ha inviato agli intermediari una Comunicazione in cui afferma che “in base all'articolo 6 del Tub, le autorità creditizie esercitano i poteri loro attribuiti in armonia con le disposizioni dell’Unione europea, applicano i regolamenti e le decisioni dell’Unione europea e provvedono in merito alle raccomandazioni in materia creditizia e finanziaria”. Pertanto gli intermediari devono per forza di cose adeguarsi al nuovo quadro delineato dalla sentenza, ottemperando alle linee orientative indicate nella medesima Circolare nell'offrire i contratti di credito ai consumatori.
In relazione ai criteri di rimborso, viene indicato che con riguardo ai nuovi contratti di credito ai consumatori (inclusi quelli di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione), in caso di estinzione anticipata dovrà essere assicurata la riduzione del costo totale del credito includendo tutti i costi a carico del consumatore, escluse le imposte. A questi fini, gli intermediari potranno far riferimento anche alle buone prassi rese note dalla stessa Banca d'Italia in occasione dell'emanazione degli “Orientamenti di vigilanza” in materia di finanziamenti contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione, con riguardo alle indicazioni sull’opportunità di ricorrere a schemi tariffari che incorporano nel Tasso annuo nominale (il cosiddetto “Tutto Tan”) la gran parte o tutti gli oneri connessi con il finanziamento, incluso il compenso per l’ attività di intermediazione del credito.

Schemi tariffari che non prevedono l’applicazione di tariffe ulteriori rispetto al tasso annuo nominale assicurano infatti, in modo più agevole, che, in caso di rimborso anticipato, la riduzione del costo totale del credito tenga conto di tutti i costi del finanziamento.
La Banca d'Italia aveva infatti “anticipato” la sentenza Lexitor proprio nella Circolare di marzo 2018 sull'”Orientamento delle operazioni di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione”. Tra le buone prassi da seguire, infatti, vi è il suggerimento di incorporare nel tasso annuo nominale (Tan) gran parte o tutti gli oneri connessi con il finanziamento. Addirittura, il punto 16 prevede che “Tutti gli oneri incorporati nel tasso (Tan) sono sempre oggetto di restituzione in caso di estinzione anticipata a prescindere dalla loro natura”. Proprio ciò che la sentenza C-383/18 dispone.

Il punto focale è il passato. Per i finanziamenti già in essere -e, aggiungiamo noi, per quelli già estinti ma per i quali non è ancora intervenuta la prescrizione decennale- “gli intermediari sono chiamati a determinare la riduzione del costo totale del credito includendo tutti i costi a carico del consumatore, escluse le imposte. Quanto ai costi chiaramente definiti e indicati nei contratti come non rimborsabili in caso di estinzione anticipata del finanziamento (upfront), la Banca d’Italia rimette al prudente apprezzamento degli intermediari la determinazione del criterio di rimborso; dovrà in ogni caso trattarsi di un criterio proporzionale rispetto alla durata (ad esempio, lineare oppure costo ammortizzato). Resta ferma la facoltà per gli intermediari di ridefinire conseguentemente gli accordi con le reti distributive”. Queste indicazioni della Vigilanza non hanno però valore di natura imperativa, pertanto banche e finanziarie potranno non adeguarsi.

E non lo faranno di sicuro. Non solo per l'ammontare da restituire sui finanziamenti in essere, ma anche e soprattutto per quelli già estinti. La prescrizione del diritto al rimborso, infatti, interviene solo dopo che sono decorsi dieci anni a far data dall'estinzione. Si tratta di una potenziale voragine di bilancio, tale da poter comprometterne la stabilità.

Sull'efficacia della sentenza riguardo contratti stipulati prima di essa non ci sono pareri concordi. Da un lato, se il giudice nutrisse dubbi sulla portata e sull’efficacia temporale della sentenza nell’ordinamento interno, dovrebbe o potrebbe (secondo i casi), interpellare di nuovo la Corte europea in base all’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. E nel frattempo sospendere il giudizio. Non si può però non tenere conto che la Corte di Cassazione ha chiarito come l'efficacia vincolante delle sentenze della Cge per il giudice nazionale, si estenda anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza stessa.

Soprattutto, queste vertenze sono per lo più destinate a finire non davanti ad un Giudice, bensì ad essere sottoposte ai sette Collegi dell'Arbitro Bancario Finanziario. E' infatti sin troppo facile supporre un “assalto” anche di molto superiore rispetto a quello registrato negli ultimi anni, condotto da vere e proprie organizzazioni commerciali che, dopo essersi procurati in diversi modi, leciti e meno leciti, liste di clienti finanziati, li contattano per proporsi, facendo anche leva sul fatto che statisticamente una gran fetta di prestiti viene estinta in anticipo. L'attività dell'Abf, quindi, è destinata ad ingolfarsi come e peggio di quanto accaduto negli anni passati.
Dopo la sentenza Lexitor sono apparsi due pronunciamenti, di segno opposto.
Il Tribunale di Napoli, Seconda Sezione Civile, nella sentenza 10489 del 22 novembre 2019 ha ritenuto che la sentenza interpreta la Direttiva Ue 2008/48, non l’articolo 125, comma 2 Tub applicabile in questo caso, né l’articolo 126-sexies Tub utilizzato per interpretare l’articolo 125 comma 2. Inoltre, secondo il Giudice, la Direttiva Ue 2008/48 non ha un’efficacia diretta nei rapporti tra privati (efficacia orizzontale), bensì solo nei rapporti tra lo Stato ed i suoi cittadini (efficacia verticale).

Al contrario, il Collegio di Coordinamento dell'Arbitro Bancario Finanziario, con la decisione 26525 dell’11 dicembre scorso, si è espresso a favore dell'efficacia orizzontale, ritenendo che la Direttiva vada interpretata nel senso che tutti i costi del credito (iniziali e recurring) sono soggetti a riduzione in caso di estinzione anticipata- Riconosce che l'Abf, similmente ai giudici nazionali, è vincolato dalla decisione della Corte e, differentemente da quanto statuito dal Tribunale di Napoli, ribadendo il primato del diritto europeo, ritiene che la norma di attuazione nazionale (articolo 125 sexies Tub) debba essere letta in modo conforme alla sentenza della Corte, operando quindi nei rapporti orizzontali di prestito tra clienti e banche. In assenza di un criterio normativo, il Collegio ha deciso secondo equità riguardo le modalità di calcolo, individuandole nella riduzione progressiva.
Riguardo la retroattività, il Collegio è favorevole alla tesi pro-consumatore e ritiene la sentenza applicabile a tutti i ricorsi, salvo la compiuta prescrizione decennale.
In poche parole, il Collegio di Coordinamento dell'Abf ha spianato ai clienti la strada per ottenere i rimborsi.

Immediatamente dopo, con la Decisione n. 26525 del 17 dicembre 2019, lo stesso Collegio di Coordinamento dell'Abf ha sancito alcuni principi che limitano la possibilità di avvalersene in base al 'ne bis in idem', ossia non si può decidere di nuovo su un oggetto già giudicato. Questi sono:
- “La ripetibilità dei costi up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, purché preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda”.
-“Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring”.
- “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring” .
Dalle decisioni appare evidente la volontà di limitare l’arrivo di ricorsi. La prima impedisce di presentare un nuovo reclamo all’intermediario per integrare la domanda in base al nuovo evento. La seconda e la terza evitano che precedenti ricorsi incentrati sui soli costi recurring vengano ripresentati per le spese up-front.

Cosa succederà ora? La partita non è agevole. Le associazioni di settore, consapevoli del pericolo, hanno richiesto interventi normativi che possano eliminare, o ridurre, gli effetti sui contratti in essere e quelli passati. La Banca d'Italia, però, afferma di dover sottostare alle decisioni della Cge. Non è difficile ipotizzare che il campo di gioco si sposti in Parlamento, dove però il rischio di emanare una norma contraria ai principii dell'Unione Europea è molto elevato.
 
 
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