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“E se si pensasse agli animali?”, un saggio per riprendere contatto con i non-umani
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Articolo di Redazione
5 novembre 2018 18:39
 
 Ufficialmente, l’uro si è estinto del XVII secolo. Il suo ultimo rappresentante, una femmina, sarebbe morto in Polonia nel 1627. Cacciato fin dal paleolitico, l’antenato selvaggio dei nostri bovini domestici era scomparso dal continente euroasiatico in virtù della deforestazione, della caccia e delle epidemie. A causa dell’addomesticamento, questa bestia è stata nello stesso tempo rimpiazzata da vacche d’allevamento sempre più standardizzate. Questi ultimi decenni, questa selezione permessa grazie allo sviluppo della zootecnia è andata sempre più avanti a svantaggio della diversità delle razze rustiche di un tempo. Ma dall’inizio del XX secolo, alcuni scienziati hanno, al contrario, intrapreso la ricostruzione dell’uro. Al punto da farne una nuova specie domestica. “Cerchiamo di ricostruire l’uro perché lo abbiamo eliminato? - si domanda oggi il veterinario François Moutou-. E’ una prova di rimorso, di compassione, di compensazione? E’ un modo di credere che le nostre tecniche, e presto le nostre biotecnologie, ci permetteranno di riparare tutto? Uro e bovini pongono alcune domande”.
Domande che, questo mammologo (ndr: veterinario dedito allo studio dei mammiferi) appassionato - è membro della Société française d’étude et de protection des mammifères (Sfepm) – pone insieme ad altre nel “Et si on pensait aux animaux?” (E se si pensasse agli animali), un saggio di attualità edito a fine ottobre. “Come proteggere efficacemente gli animali selvaggi e liberi?”, “come difendere e proteggere delle specie che sappiamo di sfruttare?”, “il nostro sguardo sul mondo animale è globalmente coerente?”: il suo lavoro chiaro ed efficace pone con calma questioni contemporanee che ora sono imposte agli esseri umani attraverso otto specie emblematiche (le balene blu per esempio) o insospettate (zanzare), ma tutte affermano che abbiamo perso il contatto con il mondo animale. E’ quindi urgente, dice Mouton, di ripensare le nostre relazioni complessive con i non-umani, la nostra coabitazione, perché sarebbe molto dannoso per noi come per loro vederli scomparire.
In questo contesto, non è necessario amare gli animali ma, almeno, di comprenderli e di rispettarli per poterli meglio aiutare e proteggere. “Che siano fenicotteri, merluzzi, elefanti o zanzare, se gli animali ci permettono di vivere meglio tra umani, allora potremmo essere in grado di vivere meglio con loro”, dice ancora questo epidemiologo con molta conoscenza della materia. Il suo richiamo, caratterizzato da importanti incontri in ambito naturale, con un pesce gatto per esempio, è un invito a mettersi nei panni dei non-umani, a guardarli e ad intravedere le loro intelligenze e le loro emozioni, anche se non è necessariamente molto confortante quando pensi a un pipistrello che dorme sottosopra. Ma qui si tratta di arricchire le riflessioni sui diritti degli animali, la conservazione o la sperimentazione animale.

“Et si on pensait aux animaux?”, di François Moutou, éd. Le Pommier, 2018, 288 pp., 20 euro.

(articolo di Florian Bardou, pubblicato sul quotidiano Libération del 05/11/2018)
 
 
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