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Storie ignobili di malagiustizia
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Articolo di Redazione
7 maggio 2021 11:21
 
Il viaggio che Ermes Antonucci ha meritoriamente voluto intraprendere, in queste storie di malagiustizia, cioè di innocenti maciullati dalla gogna mediatico-giudiziaria, è un viaggio nel dolore più profondo, cupo e disperante che a un essere umano possa occorrere di vivere.
L’innocente finito al laccio di un’accusa infamante quanto infondata incarna l’evento sociale che, da quando l’uomo esercita il raziocinio, è in cima agli incubi dai quali proteggere la comunità sociale.
Non a caso, prima che prendesse il sopravvento un’idea più strutturata e laica della giustizia penale, essa era affidata al ministero dei sacerdoti, interpreti del giudizio divino. Il terrore del giudizio ingiusto veniva esorcizzato dall’affidarsi al giudizio divino, certamente infallibile.
Affidato poi agli uomini il compito supremo di dire giustizia, il pensiero umano si è rimesso a un principio regolatore che non abbandonerà mai più, da Giustiniano fino ai giorni nostri, se non nei periodi più bui e infami della storia. In dubio pro reo viene sancito nel Digesto giustinianeo nell’Anno Domini 529, e sopravvive millecinquecento anni per incarnarsi, immutato, nel beyond any reasonable doubt che costituisce la regola probatoria fondativa dei sistemi penali nelle più evolute democrazie contemporanee.
Questo molto semplicemente conferma quanto dicevamo in premessa: la storia del pensiero umano è ferma nel considerare la condanna dell’innocente una prospettiva talmente estranea alla nostra stessa natura, da meritare senza esitazioni il prezzo dell’eventuale colpevole mandato assolto.
Il lucido, asciutto viaggio in queste dolorose vicende giudiziarie riesce a darci la misura, lacerante e quasi fisicamente insostenibile, della disumanità di una simile esperienza.
Essere raggiunti da un’accusa infamante segna già solo per questo la vita – personale, familiare, professionale – dell’innocente. Il proscenio mediatico di un tale evento si incarica di trasfigurare, senza possibile rimedio, quell’accusa di già in una sentenza di condanna.
Inutile avventurarsi in improvvisate psicoanalisi dei comportamenti sociali. Raccontare un misfatto allarma, spaventa, intriga e dunque attira come un magnete l’attenzione della pubblica opinione, che esige di essere rassicurata dalla individuazione del colpevole.
L’ipotesi accusatoria, soprattutto in società di debole cultura democratica, assurge a rango di giudizio attendibile e di già definitivo per il fatto stesso di provenire da un’autorità pubblica: se lo hanno arrestato, ci sarà una ragione. E tanto più vasta sarà la eco mediatica dell’accusa, tanto meno chi l’ha promossa sarà disposto a riconsiderarne il fondamento.
Il cappio si stringe intorno al collo del presunto colpevole con un doppio nodo scorsoio: la gogna mediatica da un lato, l’accusatore impegnato nella strenua autodifesa a oltranza, dall’altro. Non c’è scampo, fino a quando il presunto colpevole non avrà la ventura di incontrare un giudice indifferente all’una e all’altro: evento, purtroppo, nient’affatto scontato, e comunque quasi sempre drammaticamente tardivo.
Dobbiamo dunque disperare? Giammai. Dobbiamo soltanto comprendere che non vi sarà rimedio a questa inerzia se non si recupera finalmente un principio di responsabilità del magistrato per i suoi atti giudiziari.
Responsabilità almeno professionale, valutata cioè al momento degli avanzamenti di carriera. Oggi questo elementare principio è precluso da un sistema di valutazioni professionali positive al 99,6 percento, dunque inesistenti. La partita si gioca lì.
Un potere pubblico irresponsabile rappresenta un irrimediabile squilibrio democratico. Le testimonianze di queste dolorose storie di innocenti segnati dai morsi feroci della gogna mediatica siano lievito perché cresca una nuova consapevolezza sulla strada da percorrere per il loro riscatto.
(grazie a L'inkiesta)

Gian Domenica Caiazza, presidente Ucpi (Unione delle Camere Penali Italiane)
dalla prefazione a “I dannati della gogna – Cosa significa essere vittima del sistema mediatico-giudiziario”, a cura di Ermes Antonucci, Liberilibri, 2021, pagine 137, euro 13
 
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