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Tortura. La situazione mondiale sta peggiorando
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Articolo di Redazione
5 ottobre 2017 10:55
 
  Per migliaia di persone rifugiate in Europa, la citta’ serba di Novi Sad e’ l’ultima fermata prima di arrivare al confine con l’Ungheria, oltre la frontiera dell’Unione Europea che permane militarizzata dopo che da due anni e’ cominciata la crisi dei rifugiati. Per la popolazione serba e’ la memoria viva degli ultimi bombardamenti della Nato contro il regime di Slobodan Milosevic, come ne sono testimonianza i ponti gia’ ricostruiti che, dopo 18 anni, accarezzano di nuovo il Danubio.
In questo scenario di violenza passata e presente, si e’ tenuta la settimana scorsa una conferenza sulla salute mentale, spostamenti forzati e minoranze etniche. Ad essa ha partecipato Jorge Aroche, presidente del Consiglio Internazionale per la Riabilitazione delle Vittime di Tortura (IRCT), un movimento di professioni della sanita’ di 170 centri in 74 Paesi che si prende cura di circa 100.000 persone ogni anno, secondo i dati forniti da loro stessi. Questo psicologo clinico australiano, che e’ migrato con la sua famiglia dall’Uruguay quando aveva 14 anni, e’ anche direttore di STARRTS, un servizio per la riabilitazione dei sopravvissuti dalla tortura, con sede a Sydney (Australia).
“La situazione della tortura nel mondo sta peggiorando”, dice Aroche in una pausa dell’incontro di esperti organizzato dalla Societa’ Internazionale di Salute e Diritti Umani (ISHHR) a Novi Sad. Secondo lui, i Paesi che hanno registrato migliorie negli ultimi anni sono nuovamente in calo. “E’ il caso di Turchia, Egitto e Messico, tra gli altri”.
Aroche intende che in questo calo svolge una certa funzione “un discorso populista molto nazionalista, che mediamente viene utilizzato per ottenere appoggio popolare”, e crede che discorsi come quelli di Donald Trump non aiutino. Il presidente statunitense ha sorpreso il mondo a gennaio giustificando l’utilita’ di questa pratica proibita. “Purtroppo non e’ l’unico”. “Molti governi che hanno un progetto per abolire la tortura hanno modificato le loro priorita’ ed ora sono piu’ preoccupati dei loro problemi interni, come il controllo delle frontiere”.
E questo nonostante ci siano molte note informative (come quello della senatrice Diane Feinstein, fatto circolare a dicembre del 2012 e declassificato a dicembre 2014 sul Programma di detenzione e interrogatori del Comitato di Intelligence degli Usa) sulla completa inutilita’ di questa pratica, al di la’ di considerazioni legali e morali. Il documento di Feinstein fa sapere che prima degli attentati dell’’11 settembre 2001 “la CIA era consapevole del fatto che gli interrogatori non davano risultati, se non false risposte”.
Di conseguenza, perche’ si continua a praticare la tortura? “E’ uno strumento di controllo sociale”, dice Aroche. Lo praticano i governi ma anche altri protagonisti del crimine organizzato o determinati movimenti che si contendono il potere. “Si ottiene l’esercizio del controllo attraverso il terrore, del sentimento di distruzione di umanita’ che produce la tortura. E’ una forma per intimidire la popolazione”.
L’opinione del presidente dell’IRCT coincide con le conclusioni del Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, che nel 2016 segnalava il fatto che entro 30 anni il problema avrebbe incrementato “la tolleranza verso la violenza politica e la tortura in nome della sicurezza nazionale”.
Che fare di fronte alla dimensione globale di questo problema e con le centinaia di migliaia di vittime che ne derivano ogni anno? Aroche sostiene che una delle sfide del trattamento sociosanitario alle vittime e’ quello di non demordere dalla denuncia pubblica della tortura. “Il movimento di riabilitazione non puo’ essere separato dalla prevenzione. Noi vorremmo vivere in un mondo in cui i nostri servizi non siano necessari, ma questo e’ abbastanza utopico al momento e ci sono sempre meno informazioni di quel che accade con le vittime, su come i sopravvissuti possono ricostruirsi una vita”, sottolinea facendo riferimento alle necessita’ di riabilitazione riconosciute dal Diritto internazionale.
“La riabilitazione e’ un ambito in cui sono necessari dei servizi specialistici. Purtroppo non lo si riconosce abbastanza e questo fa si’ che non sia offerto alla maggior parte delle vittime”. L’ultima assemblea generale dell’organizzazione che presiede, a dicembre del 2016, ha inviato una richiesta agli Stati perche’ si impegnino nel “diritto alla riabilitazione” e che con urgenza stanzino i fondi necessari per soddisfare questo diritto.
Ma il nostro esperto australiano non chiede aiuto solo ai governi. Chiede anche il rispetto per il lavoro umanitario e la salvaguardia dei membri dell’organizzazione. Circa due ogni tre persone sopravvissute alla tortura sono assistite dagli stessi Paesi dove sono stati torturati. Quanto denuncia Aroche e’ il fatto che molti addetti siano stati “attaccati dallo Stato o arrestati con diverse scuse, e questo perche’ stavano lavorando con persone che erano state torturate dal governo di quel Paese”.
L’IRCT promuove l’uso nei suoi centri del Protocollo di Istanbul, uno strumento di esperti creato dalle Nazioni Unite per un archivio delle persone sopravvissute alla tortura e a trattamenti inumani e degradanti. Nonche’ le conseguenze sanitarie e legali che vengono da questi abusi, e il disagio di coloro che li hanno perpetrati.
Prima della recente ondata di rifugiati in Europa, Aroche ricorda che quando si parla di milioni di rifugiati “dobbiamo intendere che ne e’ coinvolta un’ampia percentuale di persone che sono state torturate o che hanno subito dei traumi”. "Questi richiederanno servizi di riabilitazione specialistici per riacquistare il controllo sulle proprie vite e potersi inserire nella società che li ospitano e contribuirvi umanamente, socialmente ed economicamente”. Il suo centro in Australia e’ passato in 20 anni da una decina di addetti a 200, e’ si e’ trasformato in un referente internazionale nelle indagini, sviluppi e diffusione di tecniche innovatrici per la riabilitazione di traumi psichici.
Aroche ricorda che il processo di riabilitazione da un trauma e’ complesso, come l’integrazione in una nuova societa’, per gli sforzi che sono necessari per armonizzarsi ad una nuova cultura e creare nuovi rapporti sociali quando si proviene da una situazione di persecuzione tanto dannosa. “Queste persone hanno subito diverse perdite e lutti. Provvedere a dar loro servizi di riabilitazione e, secondo lui, il migliore investimento da parte delle societa’ per cercare di dar loro strumenti che possano garantire loro l’integrazione.
A partire dalla grave situazione della tortura nel mondo, Aroche, sempre prudente, difende un suo ottimismo basato su dati della realta’: “la gente comune, alla fine, condanna sempre la tortura”.

(articolo di Javier Garcia Pedraz. Pubblicato sul quotidiano El Pais del 04/10/2017)
 
 
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