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In Turchia la fede è in calo… nonostante Erdogan abbia deciso di tirare su una ‘generazione religiosa’
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Articolo di Redazione
28 gennaio 2019 12:13
 
Recep Tayyip Erdogan nel 2012, quando era ancora premier, in un discorso tenuto davanti alla gioventù del partito, annunciò il suo scopo finale: “Tireremo su una generazione religiosa”.
Alle discussioni ribatté: “Nessuno si può attendere da noi che tiriamo su una generazione di atei”. Il suo sogno lo espresse delineando “una gioventù impegnata per la sua religione, la sua lingua, la sua scienza, il suo onore, la sua famiglia, il suo odio e il suo cuore”. Di tutto ciò nella memoria rimase soprattutto la parola “odio”.
Da allora sono passati sette anni. Recentemente, l’istituto di demoscopia KONDA, nel suo studio intitolato “Che cosa è cambiato in dieci anni”, ha messo a fuoco anche la religiosità e si è arrivati a un risultato sorprendente: in Turchia la religiosità sta calando.
E questo nonostante lo scopo dichiarato di tirar su una “generazione religiosa”. E nonostante la pressione fanatico-religiosa sulla società.
Nonostante un crescente insegnamento religioso a scapito della laicità, nonostante un presidente dello Stato che si presenta col Corano, e benché un rigido conservatorismo abbia sotto controllo la società, la religiosità – soprattutto nella gioventù – perde lentamente terreno.
Secondo lo studio citato la percentuale di coloro che si definiscono “religiosi” è calata negli ultimi dieci anni dal 55 percento al 51 percento, e oggi solo il 10 percento si dichiara osservante rispetto al 13 percento di dieci anni fa.
In modo ancora più forte ha sorpreso l’aumento degli atei trattati ancora oggi come criminali. Nell’era del governo AKP [il partito di Erdogan] si è triplicato il numero di coloro che si definiscono “atei”, raggiungendo il 3 percento. La percentuale di donne, che portano il velo, il “turbante” diventato simbolo dell’Islam politico, è calata dal 13 al 9 percento, in moschea ci va oggi un po’ più di gente, ma solo il 65 per cento digiuna, mentre prima era il 77 percento. La contraddizione degli ultimi due dati si basa probabilmente sul fatto che essere visti a pregare in moschea ha ancora un certo ritorno sul piano sociale ed economico.
Bisogna ricordare che non è semplice rispondere di “no!” alla domanda “Lei, è religioso?”. Vi renderebbe sospetti agli occhi del governo e rappresenterebbe un vero rischio. E’ anche sotto questo aspetto che vanno viste le risposte.
Gli esperti valutano i dati come la risposta di una gioventù che, nonostante l’intenzione dello AKP di tirar su una “generazione religiosa”, è aperta alla vita moderna. Questa reazione si rivela anche nella base conservatrice. La resistenza esercitata universalmente nel mondo islamico, specialmente in Iran, contro la pressione fanatico-religiosa, viene alla luce anche in Turchia. Soprattutto i giovani, che hanno familiarità con le innovazioni del nostro tempo, si oppongono all’essere costretti in degli stereotipi.
In Turchia la laicità sta compiendo il suo esame più difficile. E’ malmessa, ma sempre viva. Se cresce la pressione della religione, il suo valore, la sua necessità, diventano tanto più evidenti.

(Articolo di Can Dündar, dal settimanale “Die Zeit” n. 04 del 19 gennaio 2019)
 
 
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