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Su twitter il falso e' piu' forte del vero
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Articolo di Redazione
9 marzo 2018 18:27
 
 Su Twitter, il falso va piu’ veloce, piu’ lontano, piu’ forte rispetto al vero. Un po’ come gli sportivi doppati ai giochi olimpici. In che termini? Umore da tecnofobia paralizzato da un computer? Professore di italiano esasperato nel vedere i propri alunni sul loro portatile durante l’ora di lezione? Niente di questo. Dimostrazione accademica, pubblicata nell’ultima edizione della rivista “Science”, una delle piu’ quotate nei centri scientifici e che dedica di solito le sue pagine alla fisica, alla chimica, alla biologia o alle geo-scienze. Ma raramente alle scienze sociali. Sulla sua prima pagina si legge: “come la menzogna si propaga: sui social media, le notizie false ammazzano la verita’”.
Questa affermazione e’ la conclusione di un trio di ricercatori del MIT (Massachussets Institute of Technology), che lavorano al famoso Medialab. Conclusione raggiunta in seguito ad un’indagine pr i casi meno gravi. Il loro corpo di indagine? Non meno di 126.000 storie diverse, che si sono diffuse su Twitter tra il 2004 e il 2017 (solo in inglese, il corpo e’ dunque per molti ristretto solo agli Usa, che e’ uno dei limiti dello studio). Delle storie ri-twittate da tre milioni di persone almeno 4,5 milioni di volte.
Storie verificate una ad una. Da sei organizzazioni specializzate nel fact-checking e da degli studenti, e quindi l’accordo sul carattere vero o falso -o parzialmente vero o parzialmente falso- di ogni storia si situa tra il 95 e il 98%. Anche se degli "studi specifici” c’erano stati in materia (la scoperta del bosone di Higgs o le polemiche dopo l’attentato della maratona di Boston), e’ la prima volta che un approccio quantitativo e’ statistico viene utilizzato. Questo permette di domandarsi se, e come, il falso e il vero sono differentemente diffusi e quali siano i fattori del giudizio umano suscettibili di spiegare queste differenze. Per Divina Frau-Meigs, professore alla nuova Universita’ di Paris-Sorbonne, si tratta di “un lavoro solido, irreprensibile sul piano statistico, effettuato con molte precauzioni scientifiche e che si e’ avvantaggiato di un accesso ai dati di Twitter, fatto che i ricercatori domandavano da diverso tempo. Il protocollo che hanno messo a punto puo’ di conseguenza essere utilizzato per altre lingue”.
Robot più efficienti ma equi
Forte di questo corpo, i tre ricercatori (Sinana Aral, Deb Roy e Soroush Vosoughi) hanno studiato la diffusione di queste storie. I risultati principali fanno preoccupare. Le notizie false sono diffuse piu’ velocemente, piu’ a lungo, piu’ profondamente e piu’ largamente che non le vere. Le “cascate” di ri-twit fanno intervenire piu’ persone, e questo porta altri ri-twit, facendoli diventare piu’ “virali”. Quelle piu’ diffuse riguardano la politica. I picchi di falso corrispondono alle campagne elettorali degli Usa nel 2012 e 2016, con 45.000 “cascate”. Seguono poi le “leggende metropolitane”, quelle sulle questioni economiche, poi la scienza, il divertimento e infine i disastri naturali. Al contrario di quanto credono numerosi commentatori, i robot sono sicuramente piu’ efficaci per propagare delle notizie ma si rivelano equi nella distribuzione di falsi e delle cose vere. E’ quindi la decisione e l’intervento umano che permettono ai falsi di prevalere sul vero.
Un risultato rude, dice Mathias Girel, docente di filosofia all’Ecole Normale Supérieure, che su questo ci dice: “se accettate di stare al gioco di Twitter, giocate secondo delle regole dove il falso prevarra’ spesso in quantita’ sul vero”.
Per Frau-Meigs, questa prima apertura di Twitter mostra che le piattaforme (Twitter, Facebook,…) hanno compreso che corrono un rischio commerciale -la solo cosa che realmente temono- se esse diventano complici, nell’opinione pubblica, della diffusione di informazioni soprattutto false. Facebook e’ gia’ “il maggiore diffusore di fake news” sottolinea questo membro del gruppo di esperti sulle fake news formato dalla Commissione europea a novembre scorso.
Il costo democratico del falso
Alcuni dati illustrano le scoperte dei ricercatori. In media, ci vuole sei volte di tempo in piu’, rispetto ad un falso, che un vero arrivi a 1.500 persone. E il vero ha bisogno di un tempo venti volte maggiore perche’ sia ri-twittato per dieci volte. La profondita’ delle cascate del falso sono molto piu’ importanti di quelle del vero: l’1% di cascate di falsi piu’ diffusi si propaga rapidamente verso 1.000/100.000 persone. I ri-twit di false informazioni sono in media molto piu’ numerosi di quelli delle informazioni vere. Il “virale” -quando la diffusione di una informazione ha un successo grazie ad ogni notizia “connessa” iniziata grazie ad un ri-twit- caratterizza il falso, mentre il vero si diffonde piano piano. La palma va alle false informazioni politiche: sono le piu’ virali (con le leggende metropolitane), coinvolgendo 20.000 persone tre volte piu’ velocemente rispetto alle altre categorie di false informazioni, che raggiungono 10.000 persone.
Il falso prevale sul vero su tutti i meccanismi di amplificazione nella diffusione sui social media: I dati statistici della diffusione del falso e del vero potrebbero creare sconforto negli scienziati che hanno dato vita al web, che vedono in questi programmi che mettono internet a disposizione della maggior parte di persone, un formidabile strumento di diffusione della cultura e del sapere, la messa a disposizione di tutto l’esistente della biblioteca dell’Umanita’.
La diffusione del falso sulle reti sociali non e’ un problema di sesso degli angeli. Puo’ costare molto caro (130 miliardi di calo in Borsa dopo un twit menzognero sullo stato della salute di Barack Obama nel 2013). Puo’ provocare reazioni sociali o politiche di grande ampiezza in caso di crisi economica, di disastro naturale, di situazioni pericolose e piu’ in generale per ogni dibattito pubblico che pesi su una decisione politica. Non solo, sottolinea Divina Frau-Meigs, “l’effetto massiccio della diffusione del falso, e’ di diffondere un dubbio generalizzato sull’informazione, le istituzioni democratiche, le conoscenze scientifiche… Se tutto e’ falso, inclusa la scienza, ne abbiamo visto un risultato con i dibattiti sulle vaccinazioni e sul clima. Non poter piu’ dare fiducia ad un’informazione vera, genera un’atmosfera malsana, suscettibile di minare ogni progetto democratico che presuppone una fiducia”. Diventa cruciale determinare se le reti sociali che accelerano la diffusione delle informazioni -false o vere che siano- favoriscono una o l’altra di queste categorie. “Smettiamo di giocare agli apprendisti stregoni”.
Il falso sarebbe nuovo e sorprendente
Ma perche’ il falso prevale sul vero? Considerato che i robot non sono sensibili alla verita’ -diffondono meccanicamente sia il falso che il vero- perche’ gli umani (in media) sembrano preferire i falsi rispetto al vero quando decidono di prestarsi alla diffusione? Il lavoro del trio permette di eliminare numerosi ipotesi. I twittatori che preferiscono il falso al vero non sono su Twitter da molto tempo. Non seguono altri account twitter. Non hanno dei “followers”. Non producono dei twit… È anche il contrario che è vero in ogni caso, per i twittatori che preferiscono quello vero. In altre parole, la dinamica della rete sociale sarebbe piuttosto a favore del vero.
Al contrario, quando il trio si concentra sulla probabilita’ che una falsa informazione sia ritwittata rispetto ad una vera, la prima lo e’ al 70% in piu’. Per gli autori, una delle caratteristiche che facilitano la ripresa del falso, e’ che si tratta nuovo -o almeno quello percepito come tale, visto attraverso l’analisi di un sottocorpora che permette di misurare il tempo tra l’esposizione ad un twit che diffonde la notizia per la prima volta e un ri-tweet. Un'analisi rinforzata da quella delle parole legate agli emoticon nei ri-twit, mostra che il falso e’ piu’ spesso legato al sentimento di sorpresa ma anche al disgusto del vero. Ma i tre ricercatori non vogliono andare molto oltre con l’elaborazione di una spiegazione a questo uso della rete sociale che favorisce il falso. E’ li’, dice Divina Frau-Meigs, che bisogna “tornare alla sociologia, passare alle interviste qualitative, studiare questa propensione a diffondere il falso come un ‘comportamento a rischio’ tra gli altri”.
Per Mathias Girel questo approccio non e’ sufficiente, in particolare per esaminare la responsabilita’ sociale delle imprese private che distruggono la circolazione delle informazioni sul web. Nella “ingegneria della rete sociale -sottolinea questo specialista della costruzione sociale dell’ignoranza- alcuni aspetti apparentemente tecnici devono essere presi in considerazione. Immagina di non poter condividere informazioni senza commentare un po', o senza dire se lo consideri come vero, falso o dubbioso; o essere informato se il contenuto condiviso è falso… Twitter interviene in quel momento e poche persone si preoccupano di correggere le informazioni condivise tre mesi fa. Il rifiuto di un "servizio post vendita" di informazioni che sono state diffuse è parte della post-verità, ma questo atteggiamento può essere incoraggiato o scoraggiato dalla forma di scambi, dai pulsanti disponibili, dalle notifiche, dagli avvisi. Tutta questa ingegneria è stata ottimizzata per aumentare le entrate commerciali delle piattaforme, non per promuovere il vero a spese del falso".
La questione delle fake news
I tre ricercatori hanno esplicitamente scartato il termine “fake news” in virtu’ del suo uso massiccio da parte degli attori politici per indicare non delle informazioni false… ma quelle diffuse dai loro avversari, siano essere vere o false. Raccomandano quindi di non utilizzare l’espressione nell’ambito di lavori accademici dove sono gli scienziati che devono determinare se l’informazione diffusa sia vera o falsa e non i politici.
Gli autori non si illudono sulla confidenza verso i media tradizionali la cui credibilita’ e' collassata in Usa nel 2016… ma lo spegano con una dicotomia radicale nella popolazione. Se il 51% dei cittadini si dichiarano “Democratici”, hanno ancora confidenza nei media tradizionali, solo il 14% di quelli che preferiscono i “Repubblicani” lo fanno (si osserva la stessa opposizione in confidenza verso i climatologi sul riscaldamento climatico, qualunque sia il livello di studio). Essi contraddicono l’analisi degli autori dell’articolo di ricerca, sul ruolo dei bots (i robot delle reti sociali), individuandoli tra il 9 e il 15% dei conti attivi su Twitter, e 60 milioni su Facebook. Attribuendo loro un’azione sostanziale nell’ambito della campagna elettorale del 2016 in Usa. Tuttavia, riconoscono che la misura dell’impatto delle fake news viene valutato come impossibile. Di colpo, si pongono la domanda: cosa fare per “creare un ecosistema e una cultura dell’informazione che valorizza e promette la verita?”.
L’individuo, la scuola, l’impresa...
Rafforzare la capacia’ critica degli individui? L'idea sembra buona. E viene messa in opera dai “fact-checkers”. Ma si scontra con la nostra tendenza alla pigrizia intellettuale. Ognuno di noi preferisce indirizzarsi verso le informazioni che diano conforto ai nostri pregiudizi e idee consolidate piuttosto che verso quelle che sarebbe poco confortevoli perche’ le contraddicono. In pratica, questo non funziona bene. Gli autori propongono di dirigersi piuttosto verso un’educazione piu’ in generale sulla ricezione critica di ogni informazione, ad un’analisi della sua credibilita’, fin dall’insegnamento scolastico. Un sforzo di lungo termine la cui efficacia e’ da dimostrare. Ma difficile da contestare l’interesse di programmi scolastici dedicati a questa “educazione ai media”, di cui Frau Meigs sottolinea il carattere primario. Si potrebbe aggiungervi che i nostri manuali e programmi scolastici non riescono a capire la differenza tra una credenza o un'opinione e una conoscenza acquisita attraverso il metodo scientifico di esplorare il mondo. O tra una “informazione istantanea e una conoscenza”.
Chiedere alle piattaforme (Facebook, Twitter, Google) di farsi carico di un'azione contro le fake news? Siccome il loro modello economico (super efficace per portare soldi ai loro fondatori) verte sulla pubblicita’, bisogna che le contromisure che si oppongono alle fake news non siano troppo poco redditizie per loro. Al momento, solo delle azioni isolate (chiusura dei conti, algoritmi modificati per raggruppare una “qualita’” di informazione) sono presi in considerazione. Il tutto nella piu’ completa opacita’. Gli autori quindi sollecitano il GAFA a collaborare con degli accademici per studiare l'argomento, fornendo loro dati sul funzionamento delle reti.
Per Divina Frau-Meigs il soggetto principale e’ l’opposto. Queste piattaforme devono “riconoscere che sono de facto dei media e quindi devono sottostare a delle regole tipiche del settore dell’informazione per i cittadini negli spazi pubblici di una democrazia e non del solo diritto commerciale che esse rivendicano”. In breve, si tratta di non concentrarsi a fare appello al senso civico e alla responsabilita’ sociale dei dirigenti del GAFA, bisogna “vincere una battaglia giuridica sul loro statuto”. Diventati editori di media, Facebook o Twitter devono assumersene le responsabilita’, ivi comprese quelle davanti alla giustizia. E permettere ai ricercatori di svelare le conseguenze in termini di qualità dell'informazione degli algoritmi di ricerca e di classificazione (e renderli così pubblici ad ogni cambiamento) o di decifrare come i meccanismi della concorrenza in Rete, o la monetizzazione, giocano a favore del falso contro il vero.
… lo Stato e la stampa
E da qui la terza idea, un intervento dello Stato. Con la legge o dei regolamenti. Nel momento in cui il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato una legge per reprimere e punire le fake news, soprattutto in periodo elettorale, l’argomento e’ vivo. Attenzione, dice Frau-Meigs, a non trasformare l’esigenza di qualita’ dell’informazione in nuovi poteri di censura per un potere politico. Mathias Girel aggiunge: “un filtro puo' anche servire a zittire uno che lancia degli allerta o un oppositore politico”.
In fondo, dice il sociologo dei media, la lezione di queste vicende e‘ che “l’informazione gratuita non esiste. Certo, ci si puo’ immaginare delle azioni di moderazione delle reti sociali, creare delle postazioni di mediatori online. Ma per essere informati, i cittadini devono poter contare su una stampa pluralista, e su giornalisti numerosi, liberi e ben informati, che facciano le necessarie inchieste”.
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Attenzione, dice il filosofo, a non trasformare il desiderio espresso dagli autori di questo articolo in un puro incantesimo dall'ingenuità sociale: “Fare il punto sull’economia dell’informazione, in particolare fare pressione sui titoli di stampa che dipendono dai flussi che vengono dalle reti sociali, non e’ ragionevole… come lasciare questa questione nelle mani dei GAFA”.

(articolo pubblicato sul quotidiano le Monde del 09/03/2018)
 
 
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