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Voli aerei e compagnie in crisi. Lo stato dell’arte di un Paese in ripresa?
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Articolo di Vincenzo Donvito
14 febbraio 2020 14:26
 
 Air Italy in liquidazione e, al momento, sembra intenzionata a comportarsi bene nei confronti dei suoi clienti che avevano già acquistato dei biglietti. Alitalia…. anche se l’informato medio immaginiamo si sia perso per strada nel comprendere lo stato dei fatti… Alitalia è e continua ad essere quella macchina succhia-soldi pubblici che tutti sanno o hanno capito che sia e, come se non bastasse, in periodo di presunta riabilitazione economica (così ci era stato fatto credere da governi e governi che l’hanno foraggiata) ecco che viene fuori uno “scandalo” di spese di rappresentanza (per usare un termine gentile e apparentemente neutro) da capogiro in cui sono coinvolti tutti gli attori dell’operazione di salvataggio. E per questo vettore, se qualche passeggero ha problemi, avere rimborsi anche per loro errori evidentissimi, è una sorta di Odissea.
Poi c’è il conto dei passeggeri negli aeroporti italiani (circa 195 milioni nel 2018, dati Enac) delle compagnie italiane (Alitalia, Air Italy, Blu Panorama, Neos, Air Dolomiti, Ernest, Mistral), 28.5 milioni nel 2018 (dati Aviation Industry) che tutte insieme non sono in grado di tener testa ai 37,9 milioni dell’irlandese Ryanair, in un contesto, sempre nazionale, di low cost che rappresentano il 51,3% del traffico. Tutto questo in un mercato internazionale (dati IATA di febbraio) in cui il traffico passeggeri nel 2019, rispetto al 2018, è cresciuto del 4,2%.

Insomma, decisamente un settore in crescita, quello del trasporto aereo. Qualunque investitore interessato crediamo che si butterebbe a capofitto in questo ambito. Certo, ci sono gli alti e bassi, come la crisi dei trasporti da/per Cina (e non solo) dovuta al coronavirus. Ma non crediamo di essere superficiali nel credere che si tratti, sempre e solo in termini economici, di “scosse di assestamento” che, passate, verranno dimenticate.
Le due maggiori compagnie italiane (Alitalia e Air Italy), invece sono una in liquidazione e l’altra in agonia in attesa del prossimo salasso dalle casse dello Stato. Torna tutto? Certo che no. Eppure in Italia le persone prendono l’aereo e tante compagnie non-italiane (Ryanair per tutte) vanno a gonfie vele. Quelle che vanno male sono quelle che sono controllate da capitali italiani (51% nel caso di Air Italy). Forse perché gli investitori italiani non sono capaci di far fruttare il proprio impegno economico e, magari, mettono i soldi e poi lasciano fare ad altri che, però, non avendo la cloche del comando, devono sottostare alle maggioranza del capitale italiano? Questo è il primo pensiero che ci viene in testa… anche perché non si capisce cosa potrebbe essere altrimenti: quindi solo incapacità manageriale nel muoversi in un mercato altamente concorrenziale e altamente in crescita. Ma da cosa nasce questa incapacità, visto che gli investitori italiani, in altri settori, non sono proprie degli incapaci (valga per tutti quello alimentare)? Non abbiamo risposte pronte in merito. Ma solo dubbi e domande.

Dal nostro osservatorio, però, non possiamo non rilevare un certo deficit di attenzione verso il consumatore (Alitalia è il massimo di questo deficit). Air Italy in liquidazione sembra che sia vittima proprio di questo, nonostante le sue aspirazioni di vettore internazionale a prezzi contenuti… ma, per l’appunto, aspirazioni, ché, per esempio, il traffico passeggeri su alcune rotte che Air Italy aveva scelto (Usa ed estremo Oriente) è tutt’altro che in crisi. Deficit che non solo ha portato molti viaggiatori a scegliere altri vettori, ma che è diventato tale per investimenti più attenti agli specifici interessi di bottega che non ai consumatori. Ultimo, e non secondario deficit, l’estremo costo del lavoro che (vettori aerei e non solo) devono sostenere rispetto alla normativa italiana: infatti, se vengono superati da vettori come Ryanair, è anche perché i costi del lavoro presso il vettore irlandese (che applica i parametri della sua isola, comunque Ue) sono più bassi.
E’ questo lo stato dell’arte di un Paese in ripresa?
 
 
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