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Stampa e Magistratura: intrecci e veleni a danno dei cittadini indagati
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Articolo di Nicola Cariglia
19 aprile 2021 15:05
 
Succede che a Roma una alta dirigente del Ministero dell’istruzione, sconvolta per un avviso di garanzia, si sia gettata dal secondo piano di un edificio e ancora lotti tra la vita e la morte. In questi giorni accade anche che l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali ( Fra) abbia reso noto un report sul modo in cui nei vari Paesi sono tutelati la presunzione di innocenza e i diritti correlati. E che tale report metta in evidenza, per quanto riguarda l’Italia una «sproporzionata attenzione» dei media alla fase istruttoria e alla fase iniziale del procedimento, quando i pubblici ministeri «hanno necessità di dimostrare la solidità dell’accusa e di sostenere il coinvolgimento dell’imputato nel caso». Mentre, al contrario, «gli imputati, spesso presentati come colpevoli dai media durante la fase delle indagini, non hanno l’opportunità di ripulire la propria reputazione se danneggiata poiché nessuna attenzione viene prestata al risultato del procedimento». Quanto denunciato dal report non fa notizia. Dovrebbe farla, invece, un episodio venuto a scuotere la calma piatta del mondo giornalistico.

Il direttore del Riformista, Sansonetti, ha denunciato di avere ricevuto più di venti tra querele e azioni civili da quando dirige il Riformista. E si è chiesto se si tratti di un evento non casuale ma, piuttosto, di precisa strategia per chiudere la bocca al giornale ed al suo direttore. In tal modo, Sansonetti ha ricevuto una gran massa di attestati di solidarietà dal mondo esterno al giornalismo, ma scarsa attenzione dall’ordine dei giornalisti. Di più: sentitosi chiamare in causa, il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Carlo Verna, ha replicato palesemente infastidito. Tanto che Sansonetti ha adombrato il sospetto che l’Ordine, invece di schierarsi a difesa della libertà di espressione del Riformista e del suo direttore stia dalla parte dei magistrati dalla querela facile. Per chi conosce un po’ le vicende, non proprio gloriose, degli ultimi trenta anni del giornalismo nostrano, è facile individuare oltre alle cose dette, un sottotesto ben più importante. Sansonetti è stato vicedirettore e condirettore dell’Unità nella stagione di Tangentopoli. Ma da quella stagione e dagli eccessi di una parte della magistratura, ha preso distanze ormai siderali. Infatti, fu il primo a denunciare l’esistenza di una sorta di club di direttori di giornali influenti che concordavano quotidianamente titoli e strategie per massacrare per via giudiziaria la classe dirigente di una parte mirata, e solo quella, della politica italiana. Come se non bastasse, Sansonetti ha diretto il Dubbio prima di approdare al Riformista: entrambi sono giornali “fuori dal coro” della tradizionale e diffusa soggezione della nostra stampa al “potere” giudiziario. Si tenga poi conto che Ordine dei giornalisti e Federazione della Stampa sono da tempi immemorabili vicini alla “sinistra giustizialista”, e le cose saranno ancora più chiare.

Dunque, da queste vicende emerge ancora una volta la cappa di piombo  dell’intreccio fra stampa e magistratura. La donna che sta lottando tra la vita e la morte ha compiuto il suo gesto dopo che la vicenda, ancora in fase di indagini preliminari, era stata “sparata” con grande evidenza dal giornale “La Verità”. Qualcuno che non doveva gliela aveva passata in violazione della legge, come regolarmente accade. E lo scambio di battute tra il direttore del Riformista e il presidente dell’Ordine dei giornalisti rivela quanto le complicità tra stampa e magistratura siano difficili da recidere. Ma nel campo della Giustizia qualcosa sta cambiando. L’ergastolo ostativo, ovvero il fine pena mai, era difeso a spada tratta dalla corrente più giustizialista della magistratura, ma è stato giudicato incompatibile con la Costituzione dalla Corte Costituzionale. E non sono più tabù i temi della separazione delle carriere e della abolizione dell’obbligo dell’azione penale. Niente cambia invece nel settore della stampa, felicemente adagiato nei suoi intrecci con i vari poteri: economico, politico, giudiziario. Ma in questo campo la soluzione è esclusivamente nello spirito critico dei lettori. I quali già hanno mandato segnali inequivocabili: le copie complessivamente vendute dai giornali italiani a gennaio 2021 sono 1 milione e 500 mila. Tre anni fa erano quasi 2 milioni e 200 mila. Una ventina di anni fa, oltre 5 milioni.
 
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