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Turchia, Erdogan e indipendenza dei media
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Articolo di Redazione
28 luglio 2017 17:32
 
 Lo scorso 5 luglio, il presidente dello stato turco Erdogan ha rotto il silenzio nei confronti della stampa tedesca, durato sei anni, e ha risposto alle domande del direttore di "Die Zeit“, Giovanni di Lorenzo [qui la traduzione italiana sul quotiiano La Repubblica del 7 luglio]
Adesso voi potreste pensare che l’embargo di sei anni avesse a che fare con la crisi delle relazioni col governo tedesco, ma non è così. Infatti, Erdogan non concede interviste neppure alla stampa turca. Per meglio dire: lui invita sul suo aereo soltanto “giornalisti” scelti personalmente e detta loro le sue dichiarazioni. E’ per questo che non incontra giornalisti come Di Lorenzo, che, quando Erdogan dice di non capire perché lo chiamano dittatore, gliene enumerano uno per uno i motivi. Già questo sarebbe un motivo per definirlo dittatore.
Quando Erdogan afferma, nell’intervista a “Die Zeit”, di non credere che in alcuna parte del mondo ci siano dei media indipendenti, questo fatto è la prova che egli vede tutti i media del mondo come la stampa fedele al regime creata personalmente da lui.
L’agosto scorso [2016] nella mia colonna su “Die Zeit” ho citato dei passaggi di un colloquio telefonico che Erdogan ha fatto, nella sua veste di Primo ministro, col redattore capo di un giornale. Nella registrazione trapelata Erdogan critica il titolo di un articolo a pag. 24 del giornale: “Come potete stampare un titolo siffatto? (…) Noi possiamo perseguire queste notizie dall’A alla Z!” La risposta: “E’ vero, naturalmente. E’ un nostro errore. Non accadrà un’altra volta”.
Chi è abituato a impartire direttive ai capi dei giornali e a ricevere come risposta “Agli ordini!”, è naturale che non creda ai media indipendenti.
Erdogan afferma che 176 dei 177 giornalisti incarcerati nelle prigioni turche lo sono con l’accusa di terrorismo. Fino all’anno passato io ero uno di loro. Ero accusato di terrorismo, perché avevo documentato che i servizi segreti di Erdogan fornivano illegalmente armi alla Siria. Per la precisione, avrebbero dovuto essere accusati lui e i servizi segreti quali occultatori di questa azione, e invece lui ha trascinato in tribunale quelli che avevano scoperchiato la faccenda. Un numero imprecisato di miei colleghi è dietro le sbarre, perché ha intervistato persone che il governo considera terroristi. Succede anche di peggio: diciamo che io sono stato condannato per terrorismo in base alla mia corrispondenza giornalistica. Ora, il giornale che mi intervistato, diventa automaticamente un “terrorista” E’ per questo che il numero degli incarcerati è così alto.
In modo sintetico un collega tedesco ha detto: “Cinque anni fa i diplomatici turchi in Germania chiedevano perché non diamo informazioni sulle scuole di Gülen. Adesso quegli stessi diplomatici ci accusano, in base ai nostri servizi giornalistici, di essere “gülenisti”.
Infatti, quando finì la sua collaborazione con Erdogan, Gülen fu dichiarato terrorista. Lo stesso vale per il capo del PKK Ocalan. Finché andavano avanti le trattative coi curdi, il governo teneva liste di attesa per le interviste a Ocalan, ma, quando interruppe le trattative, esso dichiarò “terroristi” i giornalisti che lo avevano intervistato. Per noi, che non possiamo affatto seguire il trasformismo del governo, questa è una situazione piuttosto difficile.
Spero soltanto che Erdogan, incontrando adesso un giornalista, che non pone domande servili, abbia imparato qualcosa sui media indipendenti e il giornalismo imparziale.

(Riflessione di Can Dündar -giornalista turco esule in Germania- pubblicata sul settimanale Die Zeit n. 29/2017 del 12 luglio 2017)
 
 
 
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