"Che relazione c’è tra quanto da me affermato e la
tua replica? Che c’entra il fare tanti figli con
l’operaio che guadagna poco? La coppia che fa tanti
figli è esclusivamente responsabile del risultato; possiamo
dire che l’operaio è responsabile del suo scarso
guadagno? E sarei io che faccio discorsi
assurdi?" In primo luogo, sono un convinto
sostenitore del più-che-proporzionale e non solo del
proporzionale, perché ritengo corretto che chi ha di più,
dia, in proporzione, più di chi ha di meno. E questo non
l'ho trovato nelle tue parole. Il livello di
scolarizzazione e di laureati nel Sud Italia è più elevato
che nel Nord Italia (parlo della popolazione giovane,
naturalmente). Questo perché l'attrattiva del
"lavoro subito" finito l'obbligo scolastico,
fa uscire molti giovani dal loro percorso. Giovani che
ritroviamo, magari, come operai in cg qualche anno più
tardi. Non dovremmo parlare di responsabilizzazione anche
qui? Non avrebbero avuto, magari, la possibilità di
migliorare il loro livello di istruzione e, quindi, magari
anche il loro livello di reddito (=capacità contributiva
futura)? Come vedi il nesso di causalità è presente anche
qui... E lo sconfinare nei discorsi assurdi lo si ottiene
solo perseguendo "follemente" il concetto di
libertà individuale e di autodeterminazione.
Mi
dispiace che, dopo tutto quello che ho scritto, che tu non
abbia ancora capito che il mio criticare la frase
"produrre braccia per i campi" è semplicemente
perché vedo un fatto di fondamentale importanza, per la
crescita dell'individuo, avere la possibilità di
procreare.
E mi dispiace altrettanto che tu non
abbia capito che con i miei interventi iniziali sono voluto
andare a rispondere alla domanda che da il titolo stesso
all'articolo. Ovvero che legiferare su questioni che
hanno rilevanza sociale è importante, che non significa
essere uno stato etico e sostituirsi alla capacità di
giudizio di una persona. E stare a dire "lo stato può
legiferare in quello che vuole perché non ha alcun limite
in tale senso" è un'ovvietà che non contribuisce
alla discussione. Legiferare su queste questioni è
importante, come è stato importante legiferare
sull'istruzione obbligatoria, sul diritto dei lavoratori
ecc ecc. Mi sembra assurdo che si consideri il procreare una
cosa privata, che non ha alcuna ripercussione sulla
società. E che sulla base di questo si invochi
l'autodeterminazione dell'individuo. Educare
alla responsabilità è anche far capire che le nostre
azioni hanno conseguenze, conseguenze che non sempre possono
essere ignorate o che sono di secondaria importanza,
reversibili. Penso che la diagnosi pre-impianto, invece,
vada nella direzione opposta, che suggerisce "non
importa in che situazione sei, noi ti possiamo assicurare al
meglio delle nostre possibilità, che tuo figlio non
tradirà le tue aspettative". Una sirena dal canto
pericoloso, e non solo per l'individuo ma per la
società stessa. Se non siamo in grado di difendere la
dignità di chi, pur non essendo nato, è "in
progetto", secondo me falliamo in un momento in cui la
nostra società "sta sviluppando le sue capacità
mentali" (rimanendo nella metafora a te cara). Non sono
estremista nel difendere la dignità di chi non è ancora
nato al pari di un già nato, ma, se posso capire
l'aborto per fini terapeutici, non mi sembra giusto
permettere distorsioni a 360 gradi. La questione, riguardo
la legge 40, sta nel determinare quali siano le finalità
diagnostiche e terapeutiche: e in questo senso che ti chiedo
se l'esempio "della donna che 'sogna' un
bel maschietto", proprio in virtù della soggettività
della gravidanza, non potrebbe essere considerato,
estremizzando, una finalità diagnostica, cioè di non
indurre nella donna quello stato di ansia che la porterebbe
poi a correre il rischio dell'aborto. Hai ragione,
non è limitando che si risolvono i problemi ma neanche
lasciare la porta di casa spalancata...
Hai anche
ragione nell'affermare che non conosco profondamente la
legge 40: non sono un giurista, non sono un avvocato e trovo
difficile, onestamente, districarmi nelle locuzioni oscure
dei provvedimenti legislativi. Eppure mi spieghi dove sto
suggerendo di procedere in una direzione in cui è già
stata dichiarata l'incostituzionalità? Riprendo i
tuoi punti (a cui mi rifaccio con fede cieca): - voglio
obbligare a portare a termine la gravidanza? - ho
sostenuto l'obbligo di impianto a prescindere delle
condizioni di salute della donna? - ho sostenuto
l'obbligo dei 3 embrioni? Ero a conoscenza
dell'intervento del TAR del Lazio sulle linee guida, ma,
pur nella mia ignoranza, questo mi sembra un intervento di
tutt'altro livello. In parole povere ha detto
"queste cose non puoi stabilirle nelle linee guida
perché lì non puoi essere più restrittivo che nella legge
stessa", giusto? Questo mi fa pensare che se fossero
state formulate all'interno della legge stessa, le cose
per il TAR sarebbero regolari, o mi sbaglio?
Ribadisci ancora questo punto della certezza matematica,
estrapolandolo, ancora una volta, dal contesto. Supponendo
la diagnosi pre-impianto, il medico espone alla
"candidata" mamma i rischi connessi sulla base
delle evidenze scientifiche. Se parlasse di, poniamo, 25% di
probabilità che effetto avrebbe questo numero sullo stato
della donna? E' noto, dalla psicologia, che non siamo in
grado, la maggioranza, di valutare correttamente il rischio
(è ieri che si parlava di come non siamo in grado di capire
una cosa semplice come il meteo?), quindi, proprio in virtù
della soggettività della scelta, non possiamo ignorare
questo fatto. E non nascondiamoci dietro un dito dicendo che
l'effettuare la diagnosi pre-impianto influenza in un
modo impredicibile, nella maggioranza, la decisione di
impiantare o meno. La risposta nella maggioranza dei casi è
"io non rischio", e si butta. Ma la domanda che mi
faccio io, e che ti ripeto per la seconda volta in questo
intervento, è "ma io non rischio di fare cosa? non
rischio la mia salute? o non voglio rischiare che mio figlio
sia diverso da come me lo immagino?". Mettere un
paletto su questo non mi sembra arbitrario, ne
giuridicamente insensato se, come tu hai detto, il principio
è di difendere la salute della donna, e io, nella
definizione di salute, non ci metto i desideri e le
aspettative. O, altrimenti, interveniamo anche su tutta
un'altra serie di campi. E sinceramente se stiamo a
discutere sul fatto "sostieni di parlare della legge
40, quando invece il divieto pre-impianto fa parte delle
linee guida" (se ho inteso bene le tue parole) allora
ricadiamo nell'italiota vizietto di cavillare sulla
forma per non discutere del contenuto. Ripeto, non sono un
giurista, mi interessa il contenuto e sta ad altri fare in
modo, se la posizione è condivisa, che la forma rispetti e
sia appropriata al contenuto. Dobbiamo mettere nella legge
il divieto della diagnosi pre-impianto invece che lasciarlo
nelle linee guida? Bene, se la maggioranza è d'accordo,
facciamolo...
Sinceramente non capisco le tue
frasi relative alla definizione di malattia. A parte
trovarle decisamente insensate, non mi sembra neanche che
possano influire sul resto della discussione, quindi
sorvoliamo...
Parli sempre di responsabilizzare e
non potrei essere più in sintonia con le tue parole. Eppure
trovo sempre pericoloso prima "liberalizzare" e
poi iniziare, forse, un'opera di responsabilizzazione.
Perché non cominciamo ora a responsabilizzare e
"domani" liberalizziamo legge 40? perché non
miglioriamo i servizi di supporto alla maternità e domani
discutiamo della legge sull'aborto? Perché non
sensibilizziamo ora la popolazione italiana sulla questione
risorse? Perché non diamo ora gli strumenti per
un'agricoltura intensiva ai paesi in via di sviluppo e
domani parliamo di denatalità? Dopotutto anche l'ordine
è importante.
Sbuffi (metaforicamente) nello
spiegare le tue intenzioni di "X al quadrato" e mi
vieni a fare l'analisi grammaticale della mia domanda
sull'attendibilità della diagnosi? Facciamo un po'
di analisi del periodo. Di cosa si stava parlando? Di
diagnosi pre-impianto che, sempre nell'ambito della
legge 40 in senso proprio, non può valicare i confini di
"diagnostica e terapia". E ci risiamo: quali sono
questi confini se non si riassumono nella salute della
donna? Non li vogliamo mettere nella legge? Va bene, ma, in
un'ottica di responsabilizzazione, che indicazioni
dovremmo dare alla responsabilità dell'individuo?
Bei discorsi sulla crescita economica: come non si
può essere d'accordo con la tua definizione? Il solo
svantaggio di tale definizione è che non è quantificabile
e, quindi, non stare a parlare di andamento aritmetico e
andamento geometrico: diventano solo concetti privi del
senso originario.
Perché deduco altro da quanto
scrivo? La risposta è molto semplice: perché una volta
stabilito un concetto come vero questo apre, direttamente,
altre porte. Rendere fumoso il campo di applicazione della
diagnosi pre-impianto apre, da un parte, a comportamenti
virtuosi ma, dall'altra, ai comportamenti assurdi e
deprecabili (anche giuridicamente, mi pare di poter dire)
che ti ho cercato di esemplificare con "il sesso del
nascituro".
Perché in Italia siamo a
crescita zero (sotto zero se non consideriamo il flusso
migratorio)? Quale politica di contenimento delle nascite è
stata fatta? Siamo più attenti e responsabili
all'equilibrio mondiale?
Eh già... mi hai
scoperto... sono a capo di una potente organizzazione che
sfrutta i "poveri bambini africani"... sapessi
quanti soldi sto facendo proprio ora che stiamo
discutendo! Io ho detto che il tuo promuovere un
controllo altrove è un modo "comodo" di
posticipare i problemi in casa, di permetterti di consumare
senza troppi ripensamenti i tuoi 10mila quintali di carne e
di non preparare la tua zuppa di legumi. Tu mi rispondi che
guadagno sulla pelle di deboli e miseri. Vedi qualche
differenza nelle due posizioni?
E consumare di
meno non è così facile. E' questo il problema, perché
se tu riduci i consumi qualcuno riduce i prezzi e la
produzione e questo significa ridurre popolazione
occupata..
Suggestiva la metafora della società
che, raggiunto il punto di equilibrio nella sua dimensione
fisica, sviluppa le sue capacità mentali. E come fai a
trovare strano che, in una società come quella italiana, i
servizi superano primario e industria?
17 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, volevo scrivere “popolazione X per 2” e ho
scritto “popolazione X al quadrato”. Penso che, dal
senso di quanto ho scritto, questo errore di scrittura
risulti evidente. Ovviamente, mi riferivo all’aspetto
numerico della popolazione e non alla nazionalità.
Ribadisco che per favorire il miglioramento delle
condizioni di vita e il superamento di fame e miseria
occorre un tasso di crescita economica ben superiore a
quello demografico. Una significativa quota della
popolazione mondiale soffre la fame e vive in condizioni
igienico-sanitarie terribili. La causa di ciò non è solo
la crescita demografica, ma anche questa concorre a
determinare questo risultato.
Scrivi: “Io parlo
di un modello di consumi e di servizi differente da quello
attuale, tu mi dici che per mantenere i tuoi consumi vuoi
precludere la crescita demografica di altri paesi”.
Interpretazione del tutto arbitraria che fai di quanto
asserisco. Ho criticato il modello consumistico, ho
scritto della necessità di migliorare i servizi preferendo
ciò ai contributi diretti (leggi bonus bebè o incentivi ai
figli italiani nati da italiani)… e tu dai questa
interpretazione del mio pensiero? Liberissimo di farlo ma è
una valutazione immotivata. Non voglio, per mantenere
il mio stato di vita, privare altri popoli di alcunché.
Ritengo che una politica di contenimento della crescita
demografica possa favorire il miglioramento delle condizioni
di vita. Ciò non significa “precludere la crescita
demografica di altri paesi”… certo, se siamo ancora
fermi all’idea che la crescita demografica sia un fattore
di crescita economica… beh allora si spiega quella frase
che tanto ti scandalizza: “produrre braccia per i
campi”! In tal caso, il tuo pensiero non rischia di dare
forza a quella frase? Non vedo alcuna ragione per
insistere con l’ostracismo verso una politica che,
attraverso sensibilizzazione e responsabilizzazione,
favorisca una procreazione più consapevole. Dove per
consapevole, anche questo mi sembra chiaro da quanto ho
scritto, intendo la cognizione di quanto sia impegnativo
mettere al mondo un figlio; significa gestire la propria
capacità procreativa anche in ragione delle proprie
capacità di assistere e mantenere un figlio. Significa che
è doveroso aiutare i più deboli e chi è nel bisogno, ma
è anche doveroso cercare di prevenire le situazioni di
difficoltà. Per esempio, maggiore educazione e informazione
sulla contraccezione può essere un modo per prevenire
l’alta natalità e, allo stesso tempo, prevenire aborti e
gravidanze indesiderate. O forse solo castità e continenza
sono mezzi leciti per limitare la crescita demografica?
Introduci nuovi elementi confusivi quando rispondi al
mio esempio basato su parità di reddito tra contribuenti
con e senza figli, facendo a tua volta un esempio basato su
capacità di reddito diverse. Chi ha mai affermato che non
sia giusto prevedere una contribuzione proporzionale alle
entrate? Ho testualmente scritto “I servizi sociali sono
pagati da tutti in base alle proprie capacità
contributive”. Che relazione c’è tra quanto da
me affermato e la tua replica? Che c’entra il fare
tanti figli con l’operaio che guadagna poco? La
coppia che fa tanti figli è esclusivamente responsabile del
risultato; possiamo dire che l’operaio è responsabile del
suo scarso guadagno? E sarei io che faccio discorsi
assurdi?
Consumi eccessivi di cereali e carne?
Quando scrivo della necessità di cambiare abitudini
alimentari, di avviare programmi di educazione alimentare,
quando scrivo che c’è chi muore di fame e chi muore di
sazietà, quando scrivo “di uno stile di vita in forza del
quale è più agevole cucinare una bistecca che preparare
una zuppa di legumi”… secondo te a cosa mi riferisco?
A già, dimenticavo: io voglio frenare la crescita
demografica degli altri per mantenere il mio stile di vita.
Tutto il mio argomentare mira a valutare ogni
strumento, rispettoso della dignità umana, che possa
favorire l’uscita dalla miseria, dalla fame… e uno di
questi strumenti è il contenimento della crescita
demografica. Qualificando questa possibilità come una
posizione cinica ed egoista, rischi di contribuire, ma sei
in buona compagnia (sono io che rappresento una esigua
minoranza), a perpetuare un modello di sviluppo che
genererà solo altra miseria.
LEGGE 40\2004
La legge 40 prevede l’accesso alla procreazione
medicalmente assistita “qualora non vi siano altri metodi
terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o
infertilità”. Non ho mai scritto che tale
limitazione (divieto di accesso alla fecondazione assistita
per le coppie fertili) sia giusta e sensata e neanche che
sia ingiusta o insensata. Ho svolto alcune
considerazioni sulle norme di legge; considerazioni che
trovano conferme nei pronunciamenti recenti e passati anche
della Corte Costituzionale. Questa legge è pessima e mi
sembra che pezzo dopo pezzo stia andando in frantumi.
Questo il quadro giuridico: > è incostituzionale
l’obbligo di portare a termine la gravidanza; > è
incostituzionale il comma 3° dell’art. 14 della legge 40
"nella parte in cui non prevede che il trasferimento
degli embrioni, da realizzare non appena possibile, debba
essere effettuato senza pregiudizio della salute della
donna"; > è incostituzionale l’obbligo di
procedere a un “unico e contemporaneo impianto comunque
non superiore a 3” embrioni (art. 14 comma 2° legge
40).
Affermi che stiamo discutendo della legge
40, ma non consideri il livello giuridico e le mie
osservazioni strettamente aderenti a questo quadro giuridico
e sposti l’attenzione su valutazioni etiche supponendo e
deducendo cose che non ho mai affermato. Sul piano
etico mi pongo a monte di tutto ciò dal momento che sono
contrario a ogni tecnica di fecondazione assistita e a ogni
terapia invasiva contro l’infertilità; ma questo vale per
me e non mi sognerei mai d’imporlo agli altri. Ho anche
aggiunto che “non mi appartiene la cultura che considera
“malattia” ciò che devia da un dato statisticamente
maggioritario”. Più chiaro di così? Devo tradurre?
Significa che, per esempio, non considero malattia un
qualsiasi cosiddetto “errore genetico”, al massimo lo
considero una distrazione della natura rispetto a ciò che
solitamente fa con le sue talvolta bizzarre leggi. Ho
affermato che non comprendo la ragione di vietare una
diagnosi pre-impianto (divieto che anche giuridicamente è
stato censurato). Affermo che se una diagnosi pre-impianto
è in grado di determinare in un soggetto la scelta di
sospendere l’impianto, è insensato provocare la
gravidanza per legittimare l’eventuale scelta abortiva. La
decisione della Corte Costituzionale di prevedere che non ci
sia pregiudizio per la salute della donna va esattamente in
questa direzione. Affidarsi per legge a un effetto
“salvifico” dello stato di gravidanza mi sembra una
ipotesi giuridicamente molto fragile e inconsistente,
proprio per il modo soggettivo e variabile di vivere la
gravidanza. Il principio giuridico di riferimento è
lo stato soggettivo della donna, il suo stato
psico-fisico. Non rileva giuridicamente né un elenco
di patologie per le quali si può accedere all’aborto, né
“l’assoluta certezza diagnostica”. Ho anche
ricordato che il divieto di diagnosi pre-impianto è
contenuto nelle linee guida previste dall’articolo 7 della
legge 40; queste linee guida sono state censurate dal TAR
del Lazio per eccesso di potere. La legge 40 infatti
non vieta gli “interventi aventi finalità diagnostiche e
terapeutiche” (art. 13 comma 2 e comma 3 lettera b).
Quindi, sostieni che discutiamo della legge, ma ignori
tutte le considerazioni che sulla legge ho espresso e mi
pare che ignori pure la legge. Confondi, per esempio,
la selezione a scopo eugenetico con l’accertamento
diagnostico. Sempre l’art. 13 della legge 40 recita che è
vietata “ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli
embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso
tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite
procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il
patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a
predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione
degli interventi aventi finalità diagnostiche e
terapeutiche, di cui al comma 2 del presente
articolo”. A te giungere a delle conclusioni.
Queste argomentazioni (e sentenze) non sono da te
condivise? Va bene, ho già scritto che rispetto il tuo
punto di vista, ma perché ti ostini a dedurre “altro”
da quanto scrivo?
Perché al mio indicare (su
tuo invito) alcune patologie per le quali c’è una buona
capacità diagnostica mi replichi chiedendo conferma a una
domanda? Vale a dire, mi chiedi: “Ho compreso bene?”
Infatti, scrivi: “Sono questi esempi di patologie
che possano portare rischi di salute per madre e bambino? Ti
capirei nel caso mi dicessi "è a rischio la
gravidanza" ma in un caso del genere...”. Non
mi hai messo in bocca parole che non ho pronunciato…
concesso. Diciamo che ho usato una formula sbrigativa
per non dilungarmi nella disanima del tuo testo.
Diciamo che hai supposto che le mie parole avessero un
significato completamente diverso da quanto ho espresso,
aggiungendo che mi capiresti se mi riferissi a una
gravidanza a rischio; questa ultima affermazione
implicitamente trasforma la tua prima domanda in una
affermazione per la quale chiedi conferma: “mi stai
dicendo che queste patologie possono portare rischi di
salute per madre e bambino? Ti capirei nel caso mi dicessi
è a rischio la gravidanza.” Così ho inteso le tue
parole e non mi sembra una interpretazione arbitraria, ma
direi abbastanza letterale. La tua domanda (indicami
delle patologie) verteva sulla “certezza assoluta” sulla
quale insisti (e non sulle patologie che determinano rischio
per la madre); infatti, scrivevi: “Perché non mi fai
un esempio specifico di patologia che può essere
diagnosticata con certezza assoluta prima dell'impianto?
Uno solo potrebbe bastare, ma se ne hai van bene anche due o
tre...”
Fuorviante discutere di una legge e
continuare a fare riferimenti a questa o quella patologia
come se esistesse un elenco di patologie per le quali si
può abortire o sospendere l’impianto. Ecco perchè
scrivo che te la canti e te la suoni da solo, che travisi le
mie parole… Non ho mai detto che ci siano patologie
per le quali è sensato o giusto procedere al rifiuto
dell’impianto o all’aborto; ho sempre insistito
unicamente sul principio cardine della nostra legislazione:
la soggettività della decisione di portare a termine una
gravidanza, la diversa tutela del già nato rispetto a chi
deve ancora nascere. Non è la patologia in sé che produce
rischio per la donna, ma va considerata la condizione
soggettiva della donna di fronte alla previsione
rappresentata dagli accertamenti diagnostici.
Il
rischio è “calcolato” dal medico, esposto al
“paziente” ma è sempre al paziente che spetta la
decisione. L’esempio sul sesso del nascituro è
ridicolo. Se una donna volesse abortire perché attende una
femmina e vorrebbe un maschio (o viceversa) dubito che
sarebbe così stupida da dichiararlo; al massimo simulerebbe
una situazione di ansia, paura, malessere, angoscia… una
qualsiasi cosa che le consentirebbe di accedere
all’aborto. Il rischio di uso distorto di una legge,
di una tecnica medica o qualsiasi altra cosa è sempre
presente; eliminiamo forse questo rischio con i divieti?
Credo che il modo più efficace sia informare,
sensibilizzare, vigilare… Se una coppia vive con
angoscia il rischio di avere un figlio con una determinata
patologia… cosa possiamo fare? Imporre per legge che deve
attendere la gravidanza per poi eventualmente abortire?
Consentire l’aborto solo in presenza di determinate
patologie? E non sarebbe questo un modo per affermare la
legittimità di quella che tu definisci eugenetica? A
me sembra che l’unica strada praticabile sia ancora una
volta affidarsi al “principio di responsabilità”, al
principio di auto-determinazione…. E’ questo un
risvolto del tema che pongo: la consapevolezza genitoriale.
Interveniamo forse per limitare la capacità
procreativa in funzione dei mezzi a disposizione di una
coppia? Se una coppia senza mezzi economici adeguati
decide di mettere al mondo 7 figli, non fa un uso disinvolto
della propria capacità procreativa? Nessuno (o quasi)
in questo caso afferma “cavolacci tuoi, potevi pensarci
prima!” Una concezione etica ritiene biasimabile il
desiderio di non avere un figlio con determinate patologie e
considera accettabile la totale libertà procreativa. Credo
che in entrambe le situazioni non si debba imporre per legge
qualcosa ma cercare di prevenire con l’informazione e la
responsabilizzazione. Una legge che fa propria una
determinata concezione etica è comunque un rischio da
evitare in una società pluralista. Esiste una sorta di
“presunzione” di maturità e responsabilità a senso
unico. Si presume matura e responsabile una coppia che
si sposa, che genera… per poi considerarla immatura e
irresponsabile quando divorzia, abortisce… Credo che
la libertà, qualsiasi forma di libertà, per essere goduta
pienamente richieda consapevolezza, educazione,
formazione… per sviluppare la responsabilità alla
libertà. Ciò vale anche per la libertà sessuale e
procreativa.
Cos’è per ma la crescita
economica? Cercherò di rispondere in breve.
Intendendo per economia l’utilizzo delle risorse per
soddisfare i bisogni dell’individuo, per produrre cose
utili (nel senso che sono richieste da qualcuno), possiamo
affermare che l’economia sia “la scienza della
scelta”: scegliere quali cose produrre e quali metodi
utilizzare. Le risorse sono ciò che si può usare per
produrre cose utili (beni). Attenzione: ciò che è
“risorsa” può essere anche un “bene”; l’acqua è
un bene ma è anche una risorsa. In una società
organizzata, per “crescita economica” intendo
l’insieme delle attività che promuovono la capacità di
valorizzare le risorse e il loro ottimale sfruttamento per
rispondere al meglio alla soddisfazione dei bisogni
individuali e collettivi. I primi beni utili da
produrre sono quelli alimentari; poi, servizi sociali per
promuovere la realizzazione dell’individuo; infine
arrivano i beni per il diletto e lo svago (i colori per
dipingere le caverne quando fuori c’è un tempo da
lupi). “Produzione” non è “creazione” ma
“trasformazione” di risorse in beni. Quando materia ed
energia sono state dissipate nella produzione, non si
possono più utilizzare. Potremo sfruttare ciò che rimane
della produzione (i rifiuti), ma impiegando nuova energia e
materia. Ne deriva che non è vero che più si produce e si
consuma, più si crea benessere. Infatti, da una parte
distruggiamo risorse e dall’altra distruggiamo utilità.
La crescita economica è paragonabile alla crescita di
un organismo, di un bambino. Quindi, c’è crescita quando
c’è sviluppo. Ma lo sviluppo di un organismo non è
perpetuo; a un certo punto lo sviluppo è stazionario e
cresce la mente. Crescita qualitativa e non più
quantitativa (e se l’organismo cresce quantitativamente in
modo costante prima o poi va in sofferenza). Lo sviluppo
quindi diviene uno “stato stazionario” in cui crescono
le attività costruttive, quelle cooperative e culturali,
mentre i bisogni relativi al benessere materiale trovano il
livello si soddisfazione. Se ci scambiamo un euro
ciascuno di noi alla fine dello scambio possiede un euro; se
ci scambiamo un’idea ciascuno alla fine dello scambio
dispone di due idee.
Crescita economica è
portare a soddisfazione i bisogni materiali e promuovere lo
sviluppo qualitativo.
Il sistema
consumistico-produttivo, modello chiuso che corre tra
produzione e consumo, fortemente ancorato al PIL (misuratore
degli scambi), privilegia la produzione di merci e servizi,
stimolando stili di vita consumistici basati su un indotto
sentimento perenne di insoddisfazione. Anziché
ricavare soddisfazione dall’uso delle cose, ricaviamo
soddisfazione dal consumo delle cose: buttare cose ritenute
vecchie per far posto a cose nuove dalle capacità
fantasmagoriche che useremo più o meno come prima.
Questo sistema si basa sull’idea dell’inesauribilità
delle risorse e sulla presunzione della loro infinita
sostituibilità. Dal legno al carbone, dal carbone al
petrolio e poi all’energia nucleare e poi… si vedrà.
Tutto si riduce a una questione di tecniche da inventare. Ma
la tecnologia può sostituire una risorsa con un’altra ma
non può creare nuove risorse. Dunque, le risorse sono
limitate. Il consumo tiene in piedi la baracca?
E’ esattamente questo modello di sviluppo che critico e
considero deleterio. Mi viene in mente la fantastica
Leonia di Italo Calvino. Scrive Calvino: “più che dalla
cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate,
l'opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni
giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto
che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero
come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non
piuttosto l'espellere, allontanare da sé, il mondarsi
d'una ricorrente impurità.” Mi sembra un
efficace ritratto della nostra civiltà occidentale che è
divenuto modello e miraggio del mondo intero. Tutto il
mondo è proteso a sviluppare il modello economico
“occidentale”. In questo modello passa in secondo
piano la capacità di soddisfare i bisogni primari e,
conseguentemente, non ci si interroga a sufficienza sulle
risorse necessarie per la vita. C’è molta più
attenzione al petrolio che al pane. A me preme più il pane
del petrolio. Se prestassimo attenzione ai sempre più
frequenti segnali di degrado del nostro modello di sviluppo,
per esempio questa crisi che stiamo iniziando a vivere, ci
renderemmo conto di quanto questo modello sia pericoloso.
Nel voler credere che la degenerazione finanziaria sia
la causa di tutti i mali, c’è una forma di incapacità o
inadeguatezza a leggere gli eventi, tanto siamo vittime di
ciò che abbiamo creato. Perché non ci interroghiamo su
cosa ha reso possibile e necessario la
iper-finanziarizzazione dell’economia? Se il monte
dei debiti supera di gran lunga la capacità mondiale di
produrre ricchezza (in questo caso mi riferisco al PIL
mondiale, perché la ricchezza su cui si basa il nostro
sistema è data dalla circolazione del denaro e quindi dagli
scambi) non è forse un segnale che non c’è alcuna
crescita economica reale? Non a caso scrivevo che il
terremoto fa crescere il PIL: il PIL non considera
l’aspetto patrimoniale (i beni distrutti dal terremoto) ma
solo il valore degli scambi; ergo, i beni distrutti dovranno
essere sostituiti e da qui la crescita del PIL. In
questa ubriacatura della crescita ritenuta possibile
all’infinito abbiamo perso di vista che, sia come sia,
l’uomo ha bisogno di nutrirsi. Nell’impennata dei
prezzi che ha investito i beni alimentari non c’è forse
un segnale chiaro delle difficoltà di tenere il passo tra
domanda e offerta di cibo? No, ostiniamoci a vederci solo i
cattivi speculatori. Il nostro sistema distributivo e
il nostro sistema di vita genera sprechi (basti osservare
quanto cibo finisce nella spazzatura)… e non è anche
questo un segnale di quanta poca attenzione diamo alle
risorse vitali? Tanto quel che conta è consumare, quindi
chi se ne frega se quel che compriamo finisce in buona parte
nella spazzatura. Consumare per produrre, invece di
produrre per soddisfare dei bisogni.
Non cerco
di barare passando dal piano nazionale italiano o
occidentale a quello planetario o di determinate aree in
sviluppo. Le metto a confronto perché questi paesi
sono lanciati in una direzione di sviluppo che va proprio
nella nostra stessa direzione. In tutto il mondo si
sta alzando la scolarizzazione, la durata della vita,
l’industrializzazione, si stanno sviluppando i servizi
sanitari… Questo è un bene; ma non possiamo ignorare che
questo miglioramento planetario delle condizioni di vita ha
come primo effetto un giusto aumento dei consumi alimentari
e una modificazione profonda del sistema alimentare. A cosa
pensi che mi riferisca quando cito la quadruplicazione nel
mondo del consumo di carne in meno di mezzo secolo?
Siamo d’accordo che è più difficile ed oneroso
combattere l’analfabetismo se la popolazione scolastica
cresce a ritmo sostenuto? La popolazione del Kenya (e
non è la situazione peggiore dell’Africa) inferiore a 15
anni è pari al 43% della popolazione totale. In Guatemala
siamo a quasi il 44%, in Messico al 31% (nel nostro paese
siamo al 14%); cosa significa in queste realtà combattere
l’analfabetismo e assicurare un sistema scolastico
decente? Molta gente muore di fame, possiamo però
consolarci affermando che la percentuale della popolazione a
rischio fame sulla popolazione mondiale è in diminuzione.
Se la popolazione mondiale fosse cresciuta meno, non
è ragionevole pensare che ci sarebbero stati meno morti per
fame e oggi avremmo meno persone a rischio morte per fame?
Perché mi attribuisci una concezione cinica dello
sviluppo? E’ esattamente il contrario. Mi sta a cuore che
nel mondo non si muoia più di fame o di TBC… ma mi sembra
che siamo sulla strada sbagliata.
Cambiare stile
di vita e abitudini alimentari? Significa consumare
meno, perché il consumo è due volte un costo: quando
compriamo e quando buttiamo. Significa produrre meno:
perché produciamo più di quel che serve e quando compriamo
paghiamo anche l’invenduto. Significa educazione
alimentare perché si muore e ci si ammala di sazietà.
Significa mangiare meno carne; perché l’eccesso di carne
fa male; produrre carne inquina e assorbe risorse
alimentari. La capacità di produzione alimentare è
limitata; la crescita di questa produzione trova dei limiti
oggettivi e difficilmente compatibili con le esigenze della
sicurezza alimentare e della tutela ambientale. Forse
troveremo nuove strade, forse colonizzeremo Marte…
Nell’attesa, riflettere sulla necessità o utilità di
varare politiche di contenimento della crescita demografica
a me non sembra una cosa sbagliata e neanche dettata
dall’egoismo personale. Non sto, infatti, proponendo la
sterilizzazione di massa e ho premesso che non considero
accettabili il corso seguito da Cina e India, come non
considero accettabile trasformare l’aborto in un mezzo di
pianificazione delle nascite. Propongo solo educazione,
informazione, sensibilizzazione.
Non ho
certezze assolute, ma constato ancora una volta che va bene
tutto, criticare il capitalismo, la globalizzazione, le
politiche rosse, nere e bianche, la speculazione… ma
appena si accenna al tema demografico si scatena il più
classico dei copioni e chi propone questo tema è subito
etichettato come egoista, sfruttatore, affamatore…
Chi lancia queste accuse non si rende conto che, per le
medesime argomentazioni che usa, può essere il bersaglio di
queste stesse accuse. Per esempio, potrei affermare
che chi si oppone al controllo demografico ha interessi
egoistici che consistono nel vivere agiatamente organizzando
la carità, la cooperazione, le iniziative umanitarie,
trasformando la povertà e la miseria in un business, che
consente di lucrare sulle condizioni di debolezza e miseria,
perpetuate per impedire l’emancipazione di intere
popolazioni: una nuova forma sofisticata di schiavismo e
colonizzazione. Se avessi utilizzato queste
argomentazioni, come tu hai fatto a ruoli invertiti, credi
che saremmo andati molto avanti nella discussione?
15 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Credo che qui chi sta giocando con il senso delle parole e
delle argomentazioni altrui non sono io. E credo che che chi
sta ricorrendo a suggestive locuzioni di grande impatto ma
prive di qualsiasi significato sia tu. Ad esempio "la
popolazione X" che diventa popolazione X al
quadrato"... cosa la popolazione Etiope che diventa
popolazione Etiope al quadrato? O forse intendi
numericamente? E quindi una popolazione di 1.000 individui
diventa di 1.000.000 individui? Sono sempre più convinto
che il tuo parlare di andamenti di crescita non sia
collegato ad una precisa coscienza critica del loro
significato. E quadratura numerica è un altro esempio,
naturalmente...
Se non sbaglio, la legge 40 di
cui qui si sta discutendo qui non prevede la possibilità di
accedere alla fecondazione assistita a coppie fertili. Non
è un cantarla e suonarla da solo, è un voler verificare
dove portano le tue considerazioni "logiche" (come
tu le chiami) in termini di risvolti etici. Mi sembra di
poter dire che saresti favorevole all'idea di accesso
alla fecondazione e alla diagnosi pre impianto anche a
coppie non sterili e provo a partire da questo assunto. Come
definire il rischio? Secondo quali parametri? Lo si vuole
regolamentare? Se sì, si ricade nei "paletti"
legislativi che vogliamo evitare, nel regolamentare la
capacità clinica di giudizio del medico. Quindi supponiamo
che in un'ipotetica riforma della legge si adotti una
generica definizione di "rischio" valutabile dal
medico. E come la mettiamo se (è un esempio assurdo, ma la
realtà di tutti i giorni mi ha insegnato che anche i casi
più assurdi si verificano) un medico giudicasse a rischio
una gravidanza la cui madre ha espresso un chiaro e deciso
desiderio di aver solo una femmina (o un maschio) e che
dichiara di voler abortire se il sesso del nascituro non è
quello atteso. Che decisione, in coscienza, dovrebbe
prendere il medico? Verificare pre-impianto il sesso del
nascituro? Dopotutto iniziare la gravidanza e doverla poi
magari interrompere è un rischio clinico oggettivo (la cui
quantificazione dipende da molti fattori)... Oppure: la
sindrome di Down è un rischio consistente in gravidanze
dopo i 35 anni ma si può verificare, più raramente, anche
in gravidanze a 20-25 anni. Perché una coppia 22enne non
potrebbe ricorrere alla fecondazione assistita per
assicurarsi che il futuro figlio non sia affetto da tale
sindrome? Non ti sembrano, queste, distorsioni a cui il
mero procedere logicamente (secondo la logica del
"tutto mi è possibile") può portare? Ti è
chiaro il mio ragionamento e la sua pertinenza alla
discussione?
Non ho messo parole in bocca a
nessuno ma, spiegami, se la diagnosi di queste patologie non
è finalizzata alla decisione di procedere o sospendere
l'impianto a che cosa è finalizzata? Quindi in cosa
sbaglio a ritenere che tu pensi che sia possibile che
un'ipotetica aspirante madre possa decidere di
sospendere l'impianto a seguito di una diagnosi positiva
all'Anemia Falciforme? Dove ho mai scritto che tu
ritieni sensato non procedere all'impianto? Una cosa
positiva dei forum è che il testo rimane scritto, nel bene
e nel male, e questa volta dimostra come tu stia cercando di
manipolare le mie parole. Quello che sto ripetendo da
molti interventi è che: - se si ragiona con la logica
"stretta" sull'opportunità di compiere una
data azione allora non c'è alcun limite
nell'operare se non il fatto che sia o non sia
materialmente possibile; - che una tale assenza di
limite non è, secondo me, accettabile; - che il
posizionamento di tale limite può essere oggetto di
dibattito (ma non la sua presenza, come vuol fare intendere
l'articolo); - che il posizionamento attuale di
tale limite nell'istanza rappresentata dalla diagnosi
preimpianto è, secondo me, sostanzialmente corretto; -
che si vuole "giustificare" l'introduzione
della diagnosi preimpianto adducendo la motivazione di
ridurre i rischi clinici della gravidanza quando, invece, si
vogliono tutelare i desideri di selezione del figlio futuro
(i fattori di rischio di tutte le malattie genetiche sono
accertabili pre concepimento per l'ereditarietà
mendeliana o per determinate condizioni generali degli
individui, se una coppia non ci sta ad assumersi questo
rischio ha sempre l'alternativa di non procreare);
- che detesto il veder manipolati i fatti al fine di
raggiungere scopi non dichiarati (questo della fecondazione
assistita ne è un esempio, ma possiamo anche menzionare la
questione ricerca sulle staminali o, più in generale, la
sottrazione di fondi alla ricerca che è stata operata sotto
il nome di "lotta alle baronie"); - che la
questione di ricerca libera sulle staminali embrionali è
solo un pretesto per favorire i brevetti delle grandi
multinazionali farmaceutiche a discapito della salute
pubblica. (Rabbrividiresti se vedessi i dati sui brevetti
"preventivi" di "principi attivi" che
vengono annualmente depositati, nonostante non se ne sia
dimostrata l'efficacia e di cui magari non si riuscirà
mai a dimostrare nulla. Il ragionamento è: intanto
mettiamolo al sicuro, se si scopre che fa qualcosa, tanto di
meglio.)
Una piccola analisi della fondatezza del
pensiero di Malthus dal punto di vista matematico, che non
pretende di essere esaustiva ma che spero possa meglio
illustrare i tuoi errori di comprensione. Siamo entrambi
d'accordo sul fatto che la popolazione cresce in modo
esponenziale con una certa ragione (1+q) dove q è il
normale tasso di crescita che misuriamo nelle statistiche
descrittive demografiche. Supponiamo, senza pretesa di voler
migliorare le condizioni di vita della popolazione, che
vogliamo mettere a equilibrio la crescita della popolazione
e la disponibilità di risorse alimentari. La disponibilità
di tali risorse è proporzionale a A(t)*R(t) dove A(t) è
l'area impiegata al tempo t e R è il rendimento
impiegato al tempo t (in un modello semplificato, ma quale
modello non lo è per sua stessa definizione?). Come hai ben
notato tu sull'area non è possibile intervenire più di
tanto per la finitezza del pianeta che abitiamo. Quindi,
anche supponendo di impiegare tutta l'area impiegabile,
a un certo punto dobbiamo intervenire sul rendimento. E se
supponiamo A(t)=A una costante (pari, appunto, all'area
impiegabile) ne consegue che il rendimento deve avere un
andamento esponenziale per garantire l'equilibrio (mi
ripeto, sto sviluppando un lower-bound alla velocità di
crescita dell'andamento, se vogliamo migliorare le
condizioni di vita la crescita dovrà essere "più
veloce"). Infatti il limite per t che va infinito di
P*(1+q)^t / A * R(t) è 1 se e solo se R(t):=(1+q)^t.
Malthus non credeva che il rendimento potesse essere così
veloce (e nemmeno io lo credo) ma è stato smentito dalla
rivoluzione industriale che *momentaneamente* ha consentito
al rendimento (e, in parte, all'area) una crescita
vertiginosa ma che, purtroppo, *non* è stata esponenziale
sul lungo periodo (e che non può essere mantenuta ora dal
punto di vista tecnologico).
Hai sempre
menzionato crescita economica e hai sempre chiarito la
distinzione tra "qualità della vita" e PIL. Ma
quando parli di andamento della crescita economica oggi, se
non ti riferisci alla crescita del PIL a che cosa ti
riferisci? Che cosa sta crescendo in modo aritmetico? Cioè,
per te, cos'è "crescita economica"?
Cosa intendi per "i consapevoli fanno pochi
figli"? Consapevoli di cosa? Della crescita demografica
globale? O, semplicemente, in un'ottica di mantenimento
del proprio stile di vita e di crescita continua dei propri
consumi, fanno i conti con il proprio reddito e decidono di
non aver figli? L'attuazione di una politica per
favorire la denatalità, secondo me, è spesso un alibi
"culturalmente altolocato" per scaricare sui paesi
in via di sviluppo quello che è un problema di un consumo
eccessivo in casa nostra.
D'accordissimo a
considerare gli andamenti su scala globale che secondo te
sono quelli che contano, ma non barare e resta ancorato a
tale dimensione planetaria. - In tale ottica credi che
fra 40 anni il numero di 25enni che studiano (prendo per
buoni i tuoi dati che non ho modo di verificare) sarà il
triplo che ora? Ciò come si concilia con i tagli ai
finanziamenti all'università (non ci sono molti
studenti delle medie ancora ripetenti a 25 anni, quindi sono
tutti universitari) che stanno avvenendo in Italia come
altrove? O ai tassi di analfabetismo sconcertanti di certe
regioni dell'Africa? - E' un dato riferito al
mondo intero o a qualche realtà più sviluppata? Se è un
dato generale mi sembra che sia compatibile con la crescita
demografica complessiva (si è triplicato il numero di
persone e triplicheranno anche i numeri di studenti
universitari). - In Italia superiamo i 70 anni di
aspettativa di vita. Ma cosa c'entra con la crescita
vertiginosa dei paesi in via di sviluppo dove
l'aspettativa è ben più bassa? Abbiamo un ingresso nel
mondo del lavoro a 30 anni in Etiopia? :-) Se questo
non è barare... o dobbiamo sfavorire la natalità italiana
per far fronte a flussi in entrata sempre più
consistenti? Mi ripeto: è solo un modo, malizioso o
no, per cercare di far ricadere altrove i nostri ritmi
forsennati.
Se i conticini vuoi farli bene falli
bene fino in fondo. Se io guadagno 200000eur l'anno non
pago 10 volte le tasse di chi guadagna 20000eur l'anno
ma di più (Berlusconi non vorrebbe così ma per ora non mi
sembra che sia cambiata la cosa). E se stiamo a considerare
il dato assoluto è ancora peggio. Eppure la qualità dei
servizi che ricevo non cambia: anzi, magari mando i miei
figli a una scuola privata pagando due volte, per la
pubblica di altri, e per la privata dei miei figli. E'
forse ingiusto il criterio del "più che
proporzionale"? Allora, oltre a chi fa molti
figli, responsabilizziamo anche l'operaio che guadagna
poco, che magari è in cg, a guadagnare di più cosicchè
possa maggiormente contribuire... che discorso assurdo che
stai facendo!
Io parlo di un modello di consumi e
di servizi differente da quello attuale, tu mi dici che per
mantenere i tuoi consumi vuoi precludere la crescita
demografica di altri paesi. Siamo basati sul consumo? Beh,
l'assegno pro-bebè è un modo per sostenere i consumi
di una famiglia che per un periodo li avrebbe ridotti, e
visto che consumare è il modo di tenere in piedi la
baracca... Se mi stessi parlando veramente di un
progresso sostenibile avresti criticato la crescita
esponenziale del consumo pro-capite di cereali e di carne (e
non mi dire che un consumo così sostenuto è indispensabile
alla sopravvivenza). Perché non tassare chi compra più di
una certa quantità pro capite di prodotti alimentari?
Come vedi tu vuoi mantenere inalterato il tuo status quo e,
parlando di finitezza di risorse, vuoi tagliare lo sviluppo
demografico di altri. Perché non dare gli strumenti di
crescita alimentare anche ad altri? Checché se ne dica, in
Etiopia, dove la percentuale di addetti del primario è
elevatissima (un altro esempio di come confondi i dati di
alcuni paesi come la percentuale di occupati nei servizi in
Italia e l'omologa Etiope, quando ti fa comodo usi il
dato italiano e poi fai riferimento ai tassi di crescita
demografica del continente africano), più nati vuole dire
più bocche ma anche più braccia per lavorare... Perché
non esportare lì con ricadute lì (e non qui) metodi
avanzati di agricoltura? A chi giova l'instabilità
politica della regione? E non mi dire che la tua ultima
frase vada nel senso di invertire la nostra tendenza... hai
ben in mente un piano per sfavorire la natalità e ne hai
descritto responsabilità, effetti attuali e scenari futuri.
E in una frase dici che "non sarà in ogni caso
sufficiente a garantire una inversione del trend se non
cambiamo abitudini alimentari e stili di vita"... cosa
vuol dire?
Nessun corso accelerato. Semplicemente
intervengo nella discussione con l'umiltà di meglio
comprendere anche le ragioni che mi vengono poste innanzi.
Questo significa anche che informarsi a lato della
discussione. Non ho forse individuato correttamente la base
delle tue argomentazioni? Se invece tu non credi che la
discussione possa essere fruttifera anche dal lato tuo...
buon per te che già conosci perfettamente la situazione e
che hai certezze assolute a riguardo (ma cosa dicevamo a
proposito di certezze assolute? forse chi crede di averle è
solo abbastanza stolto da non accorgersi che non può
averle).
14 aprile 2009 0:00 - Sergio
Un piccolo approfondimento sul tema demografico.
Lo sviluppo delle capacità industriali e della tecnologia
ha nel corso del XX secolo indotto molti a ritenere che non
ci fossero più limiti allo sviluppo del genere umano e che
presto fame, carestie, miseria… sarebbero state un triste
ricordo.
Se è vero che le capacità produttive
sono notevoli, e dipendono in larga misura dalla volontà
umana, la stessa affermazione non può essere fatta per le
risorse alimentari che hanno un limite oggettivo nel
pianeta.
Le risorse del pianeta non sono
infinite e per l’alimentazione umana servono territorio,
acqua, energia.
Malthus analizzò la relazione
tra crescita demografica e disponibilità di risorse
alimentari (per inciso, non apprezzo le sue ipotesi di
soluzione, ma l’analisi è ancora di grande attualità).
Possiamo, infatti, produrre quel che vogliamo ma
non possiamo mangiare ogni cosa che produciamo. La
vera ricchezza, la crescita economica non può prescindere
dalla capacità di produrre risorse alimentari.
Malthus riteneva che se la popolazione raddoppia in un arco
di 25 anni è possibile che nello stesso periodo riesca a
raddoppiare anche la produzione agricola; ma mentre non
c’è impedimento a un ulteriore raddoppio della
popolazione nei successivi 25 anni (abbiamo dunque
quadruplicato in 50 anni), c’è un serio dubbio che la
produzione possa anch’essa raddoppiare. Perché ciò
si verifichi occorre un aumento del territorio da destinare
all’agricoltura, alla pastorizia e all’allevamento di
bestiame. Il territorio è limitato e un uso intensivo
riduce la produttività. La forza generativa ha una
progessione molto più veloce della capacità di produrre
viveri. Da qui la rappresentazione matematica di
questa valutazione ricorrendo alla figura geometrica (o
esponenziale) per la crescita demografica (2-4-8-16…) e
aritmetica per la crescita delle risorse alimentari
(1-2-3-4…), ma il principio può essere applicato a ogni
crescita economica. In sostanza, mentre la crescita
demografica è, in assenza di ostacoli (guerre,
carestie…), caratterizzata da una crescita basata su un
quoziente costante (nell’esempio il quoziente è 2) cioè
un rapporto costante tra un numero e quello che lo precede;
la crescita delle risorse alimentari è aritmetica, basata
su una differenza tra un numero e il precedente.
Rapporto contro differenza. Si tratta di una
rappresentazione schematica che considera la dinamica
interna a ciascun tipo di crescita, senza condizionamenti
esterni. La conclusione di Malthus era che la
fecondità non produce automaticamente progresso economico.
La valutazione delle necessità alimentari deve
tener conto anche di un accrescimento del consumo, dal
momento che obiettivo della crescita economica è il
superamento delle condizioni di miseria. Se la
popolazione X ha sacche di fame e miseria, e diviene X al
quadrato, non è sufficiente che le risorse alimentari
crescano dello stesso livello: avremmo raddoppiato anche le
sacche di miseria.
Tornando ai nostri giorni,
constatiamo che lo sviluppo delle economie emergenti
determina una maggiore capacità di spesa (per quanto
contenuta) in tutta la popolazione: un indiano di oggi sta
molto meglio di un indiano degli anni ’60. Ciò
determina una maggiore richiesta di cereali: il primo
consumo alimentare che aumenta con il miglioramento delle
disponibilità economiche. Il fenomeno è noto: la
stessa cosa avvenne in Italia a cavallo tra gli anni 50 e
60; finalmente almeno pane e polenta potevano essere
consumati a volontà. Poi, i consumi di cereali si
stabilizzano e continuano a crescere i consumi di carne.
Il consumo mondiale di carne è quadruplicato in
meno di mezzo secolo; nello stesso periodo la Cina da sola
ha moltiplicato per sei i consumi di carne: da 9 chili
procapite è passata a 55 chili procapite, e non è più
autosufficiente (l’Italia è a 90 circa e gli USA e la
Spagna – in cima alle classifiche mondiali – sono sopra
i 120). Anche questo fenomeno è noto ed è il
risultato non solo della necessità di approvvigionarsi di
“proteine nobili” ma anche di uno stile di vita in forza
del quale è più agevole cucinare una bistecca che
preparare una zuppa di legumi.
L’Europa per
rispondere alla maggiore richiesta di carne, iniziata nel
dopoguerra, ha intensificato la produzione in allevamento:
gli animali non crescono più al suolo ma in gabbie e
anguste stalle con alimentazione forzata e conseguente
somministrazione di medicinali e prodotti chimici di ogni
genere per accelerare la crescita. Negli anni 50 un
pollo viveva 3 mesi prima di finire in tavola; oggi solo 45
giorni (mucca pazza, vitello agli estrogeni, pollo
all’antibiotico… sono solo prodotti di questa
industrializzazione della zootecnia). Per aumentare
la produzione di carne servono territori e risorse idriche e
alimentari.
In sintesi, per sfamare una
popolazione mondiale in crescita (nel numero e nella
capacità economica) serve maggiore disponibilità di
territorio, di risorse idriche e crescita nella capacità
produttiva agricola e di carni. Con quale politica?
Quella intensiva in stalle e pollai o quella al suolo e al
pascolo? Coltivazione biologica o con OGM? Uso
intensivo di fertilizzanti chimici o uso moderato? Non
è un caso che la sicurezza alimentare sia sempre di più un
problema avvertito.
Le sfide dell’oggi sono di
dimensioni mai viste (i problemi sono invece antichi)
perché a) non si possono più dare (e non sono
auspicabili) le risposte di un tempo (guerre di conquista e
colonizzazione); b) il livello di antropizzazione del
territorio ha raggiunto livelli di guardia che richiedono
risposte pragmatiche e lungimiranti (il pianeta rischia di
scoppiare se non ripensiamo il modello di sviluppo basato
sul ciclo consumistico-produttivo); c) il numero di
persone che sono uscite e stanno per uscire dall’indigenza
pone l’inderogabilità dell’uso responsabile delle
risorse (mai una percentuale così alta della popolazione
mondiale ha raggiunto livelli di vita così elevati
nonostante le sacche di miseria ancora tragicamente
presenti).
Dal 1950 a oggi la popolazione
mondiale è passata da 2.550milioni agli attuali
6.800milioni. Nel 2020, tenendo conto del trend in
moderata riduzione del tasso di crescita demografica ma
anche dell’allungamento dell’aspettativa di vita, saremo
in 7.660milioni e nel 2030 in 8.370 milioni; intorno al 2040
è previsto il superamento dei 9miliardi; nel 2050 saremo
9540milioni di abitanti.
Dal 1950 a oggi la
produzione di cereali è triplicata. La capacità di
crescita attuale della produzione di cereali è di appena
l’1,5%. In cifre assolute, si stimano necessarie
2050 milioni di tonnellate di cereali; ne produciamo circa
2000; la crescita media degli ultimi anni è di circa
30milioni di tonnellate; 150 milioni di tonnellate di
cereali sono utilizzate per la produzione di
biocombustibili, portando il disavanzo alimentare a circa il
10% della produzione mondiale.
Anche se di
stretta misura, la superiore crescita produttiva rispetto a
quella della popolazione sembrerebbe in grado di soddisfare
il maggior numero di bocche. Non è così: si soddisfa
una banale equazione matematica ma non la qualità della
vita. Molteplici le ragioni. Mi soffermo su quelle che
considero le 3 principali.
1) Lo sviluppo delle
economie emergenti determina una maggiore richiesta di
cereali e un aumento del consumo pro capite. La produzione
agricola sarebbe sufficiente se avessimo la stessa quota di
popolazione (in percentuale sul totale) a rischio fame o mal
nutrita, se non fosse aumentata la produzione di carne, se
non ci fossero elementi distorsivi direttamente imputabili
al sistema consumistico-produttivo (eccesso di
terziarizzazione, sprechi distributivi, derrate alimentari
inservibili perché “scadute”…).
2) Il
consumo di carne mondiale è quadruplicato in meno di mezzo
secolo. Oggi gli allevamenti assorbono un terzo della
produzione mondiale di cereali. I 17miliardi di animali
destinati all’alimentazione umana inquinano l’atmosfera
tanto quanto l’intero parco di autoveicoli circolanti;
inquinano il suolo e le falde acquifere in modo rilevante
ponendo un serio problema di trattamento dei liquami, con
rilevante lievitazione dei costi se vogliamo contenere il
devastante effetto sull’ambiente.
3)
L’agricoltura e la zootecnia sono sempre più dipendenti
dal petrolio. La disponibilità di terra coltivabile e di
acqua sono indispensabili, ma il petrolio ha assunto un
ruolo determinante. Per i macchinari, le pompe che
estraggono acqua dalle falde, i fertilizzanti azotati e i
pesticidi prodotti dall'industria chimica, la produzione
di mangimi; il trasporto, la trasformazione, il
confezionamento e la refrigerazione dei prodotti agricoli:
tutto dipende dal petrolio.
Queste le tre
principali ragioni che dimostrano il conflittuale rapporto
tra crescita demografica e crescita economica.
A
queste considerazioni bisogna aggiungere > che le
superfici agricole non sono espandibili all’infinito e in
ogni caso l’accrescimento della popolazione porterebbe
allo sfruttamento di suoli poco adatti e produttivi, >
che la crescita annuale della produzione agricola è
modesta, > che si tenta giustamente di frenare il
processo di deforestazione, > che c’è un ritorno
all’agricoltura biologica caratterizzata da minori livelli
produttivi (e minor impatto ambientale), > che c’è
un freno all’allevamento intensivo in stalla e quindi si
destinano al pascolo terreni che non sono utilizzabili per
le colture alimentari dell’uomo, > che la tutela
ambientale (i liquami, i fertilizzanti e i pesticidi stanno
avvelenando l’aria e l’acqua) comincia a essere
avvertita come una inderogabile necessità.
Crescita demografica e crescita economica determinano un
aumento di consumi alimentari e inquinamento. Poiché le
risorse agricole e idriche sono limitate, se non perseguiamo
una politica di riduzione della natalità, rimane un
miraggio l’obiettivo “fame zero”. La riduzione
della natalità (ancora non avvertita come necessaria dalla
classe dirigente mondiale) non sarà in ogni caso
sufficiente a garantire una inversione del trend se non
cambiamo abitudini alimentari e stili di vita. Però una
politica che favorisse la denatalità, attraverso
sensibilizzazione e responsabilizzazione, potrebbe aiutare a
risolvere problemi drammatici.
14 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, non capisco dove tu voglia andare a parare.
Scemo non sei, però giochi un po' troppo, per i miei
gusti, con le parole e il pensiero altrui. Sembra tu
sia disposto a ignorare o travolgere il pensiero altrui pur
di affermare quel che ti interessa.
Mi hai
chiesto:
"Perché non mi fai un esempio
specifico di patologia che può essere diagnosticata con
certezza assoluta prima dell'impianto"
e
io ho fatto questi esempi... aggiungendo che > parlare
di certezza assoluta è una assurdità > non rileva il
grado di certezza diagnostica ma solo la condizione
soggettiva in cui una situazione è vissuta.
Non
ho espresso alcuna valutazione sulla opportunità o meno che
per questa o quella patologia sia sensato non procedere
all'impianto; quindi, non mettermi in bocca cose che
sono solo nella tua testa.
Non ho mai affermato
che non si debba consentire l’accesso alla procreazione
assistita a coppie fertili ma a rischio. Te la canti e
te la suoni da solo?
Ho affermato che non vedo
alcuna ragione logica per impedire, sulla base di una
qualsiasi diagnosi, di assumere una decisione prima
dell'impianto dal momento che quella stessa diagnosi
può essere l'elemento scatenante di una decisione a
gravidanza iniziata. Questo è quel che affermo e tu
continui a girarci intorno travisando le mie parole e
parlando di certezza assoluta (ed è solo un pretesto
perchè non c'è certezza assoluta) o di effetto
gravidanza (ed è un dato esclusivamente soggettivo che
certo non può essere un valore di legge).
Se non
ti convincono le teorie che valutano e analizzano il diverso
modo di procedere della crescita economica e di quella
demografica, liberissimo di non condividerle...
Ma se scrivi: "Sinceramente non ho capito la tua
distinzione fra crescita esponenziale della popolazione e
crescita aritmetica dell'economia" è per me
lecito pensare che tu non conosca queste teorie.
Diversamente, avresti scritto che non condividi queste
teorie e argomentato di conseguenza. Da qui il mio
invito ad informarti perché queste teorie, che ti piacciano
o meno, sono un aspetto fondamentale di tutti gli studi sui
processi demografici e delle relazioni tra economia e
demografia.
Poi sembra tu abbia fatto un corso
accelerato ed ecco che mi presenti degli esempietti per
dimostrarmi che le due crescite possono stare al passo...
Peccato che non è da questo assunto che io muovo
quando affermo che un alto tasso di crescita demografica
(stile Africa) è di ostacolo (insieme a tante altre cause)
al miglioramento delle condizioni di vita. Di ciò ho sempre
parlato e i tuoi esempi dimostrano che mantenendo costante
la crescita economica intorno a quota 4% annuo si può
assorbire l’analoga crescita demografica... Tutto giusto,
ho detto, ma continui ad avere la stessa povertà dalla
quale sei partito. Ma l’obiettivo era migliorare le
condizioni di vita, risolvere i problemi della povertà… e
non mantenere la povertà. Se vuoi sconfiggere la
povertà e vuoi dare i servizi sociali e igienico-sanitari
ritenuti oggi indispensabili... è necessaria una crescita
economica nettamente superiore a quella demografica.
Le tue citazioni di Malthus mi confermano che hai
fatto un corso accelerato... Leggiti "Saggio sul
principio della popolazione"; se vuoi dopo ne
riparliamo.
Ripeto, liberissimo di affermare che
non condividi quelle o altre teorie... ma prima di fare
affermazioni tipo "la crescita aritmetica a cui si
riferiva Malthus non è quella del PIL, ma delle terre
coltivate...", rifletti e leggi quel che ho
scritto. Infatti, ho parlato di crescita economica e
non di PIL (ho anche specificato che il PIL misura solo il
valore degli scambi di servizi e merci; per questo è così
considerato all'interno di un sistema
consumistico-produttivo). Ho fatto sempre riferimento
alla crescita economica tenendola distinta dalla crescita
del PIL, tanto da aver scritto: "Se pensiamo che
il benessere dipenda dalla crescita del PIL (ovvero degli
scambi di merci e servizi), proseguiamo su questa strada, ma
non dimentichiamoci che una maggiore popolazione richiede
case, servizi, cibo, territorio… e le risorse del pianeta
non sono infinite. A proposito, il terremoto fa
crescere il PIL."
Quindi che cavolo
c'entra il tuo precisare che Malthus non si riferiva
alla crescita del PIL ma delle risorse agricole?...
Sul finire del '700 a quale crescita economica Malthus
poteva guardare avendo come interesse la relazione tra
risorse e popolazione? Ripeto, leggiti “Saggio sul
principio della popolazione”; è una lettura abbastanza
facile.
Va benissimo la protezione dei soggetti
più deboli; ma talvolta il soggetto è causa della propria
debolezza. Da qui la domanda: è forse giunto il
momento di interrogarsi su fino a che punto siamo disposti a
farci carico dell’irresponsabilità altrui? I
conticini poi vanno fatti come si deve. Chi non ha figli e
non è sposato o lo è ma la coppia è mono-reddito paga
più tasse di un pari reddito con figli. Il primo
contribuisce quindi a scuola e sanità più del secondo che,
ovviamente, usufruisce di più di questi servizi. Non
si tratta di dividere nulla ma semplicemente di rendersi
conto che siamo di fronte a situazioni nuove che richiedono
la capacità di elaborare risposte nuove. Invece,
all’alta natalità degli immigrati si risponde con assegni
per i bebè nazionali (scusa non sono gli stessi signori che
vorrebbero dividere l’Italia a fare queste proposte? Non
è un tal sindaco leghista che ha proposto l’assegno solo
per i nati da genitori italiani?). Io non parlo di
incentivi economici, ma di servizi efficienti e di impegno
per rafforzare il “principio di responsabilità”.
Ci vogliono 20 anni ma alla fine le tasse le pagano...
scrivi. Vacci piano con l'affermazione
"popolazione attiva"; attiva in che? Non
consideri che: 1) la vita si è allungata (oggi abbiamo
in Italia un numero di centenari quasi dieci volte superiore
a quello degli anni '70); 2) il periodo formativo
si è allungato (il numero dei ragazzi che a 25 anni
studiano è il triplo di quello degli anni '70; sto
andando a memoria quindi qualche numero o periodo potrebbe
non essere corretto, ma la sostanza non cambia); 3)
l'ingresso nel mondo del lavoro stabile (e quindi con
partecipazione contributiva adeguata per l'equilibrio
del sistema previdenziale) è sempre più spostato verso i
30 e passa anni d'età; 4) l'equilibrio
demografico, che una volta si indicava nel rapporto tra
under 16 e over 65, oggi deve essere aggiornato (se una
volta la maggioranza dei ragazzi a 16 anni andava a
lavorare, oggi questi sono una minoranza; mentre sono tanti
coloro che prima dei 65 già godono di pensione e sono
sempre di più coloro che godranno della pensione per un
periodo lungo di vita). Tutti questi aspetti
(allungamento della vita e del periodo formativo,
soprattutto) devono indurre a una riconsiderazione dei
complessi aspetti demografici in società
"evolute" come la nostra.
Io non voglio
"sfavorire la natalità"; vorrei che non si desse
per scontato che sia un problema il fatto che si fanno pochi
figli; perché > non è vero che si fanno pochi figli
se guardiamo al dato planetario (che per me è l'unico
che conta... anche perché prima o poi con questa
popolazione che avanza in cerca di fortuna dovremo fare i
conti); > i consapevoli fanno pochi figli; >
l'alta natalità è ancora legata in gran parte a
condizioni economiche inadeguate per mantenere tante
bocche; > l'irresponsabilità o la mancanza di
educazione alla vita adulta (che poi è solo un aspetto
della responsabilità) sta trasformando l'aborto in un
mezzo di regolazione delle nascite (la cosa non mi
piace). Visto che si parla solo di incentivare la
natalità (nazionale) e aiutare le famiglie numerose, visto
che la crescita demografica mondiale (e in particolar modo
quella di alcune aree del mondo) è indicata come un falso
problema... io ritengo che una politica per incentivare la
denatalità ha la stessa dignità e legittimità di ogni
politica a sostegno della natalità perché: > non mi
interessa la natalità nazionale (mi bastano i tanti bambini
che il mondo produce); > preferisco prevenire il
formarsi di famiglie numerose piuttosto che ricorrere a
sussidi e aborti; > la crescita demografica in
determinate aree del mondo è un ostacolo ulteriore al
miglioramento delle condizioni di vita e lo sarebbe ancora
di più se la classe dirigente mondiale s'impegnasse a
risolvere i problemi della fame, a predisporre servizi
igienico-sanitari adeguati, a sconfiggere malattie tipo la
TBC... infatti oltre le parole ben poco la classe dirigente
mondiale fa... Infatti, ho scritto anche su una certa
pelosità…
Su quanto scrivi sul tema ricerca e
università siamo pienamente d'accordo. La questione
universitaria è sbandierata da tutti da decenni ma
l'università è stata affossata (e non ne faccio una
questione di colore della maggioranza di turno); le risorse
dedicate alla ricerca sono una cosa ridicola...
11 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Caro Sergio, Anemia Falciforme... è interessante
notare come l'aspettativa di vita di un paziente affetto
da tale patologia (nella forma grave) supera i 40 anni (lo
studio è del '94 e si riferisce a dati del periodo 78 e
88, se è cambiato qualcosa, di certo lo è in meglio). Come
è anche interessante notare che chi è portatore sano ha
una resistenza naturale alla malaria. E, guarda caso, è
più diffusa dove la malaria è una malattia dalle
proporzioni importanti. (L'evoluzione naturale delle
specie ha molti modi di operare.) Sono questi esempi di
patologie che possano portare rischi di salute per madre e
bambino? Ti capirei nel caso mi dicessi "è a rischio
la gravidanza" ma in un caso del genere... E
secondo la tua logica perché non dovremmo permettere la
diagnosi pre-impianto (quindi l'accesso alla
fecondazione assistita) a coppie non sterili ma a rischio?
perché loro devono rischiare, iniziare la gravidanza nel
modo che tu sai e poi diagnosi pre-natale ed eventuale
aborto? Hai parlato di responsabilità. Credo che il
miglior intervento politico che si possa fare va nella
direzione di potenziare i servizi alla persona. Ed ecco
spiegato, secondo me, il perché di tanti aborti e
specialmente tra le immigrate. Dare alla luce un bambino e
"tirarlo su" oggi spaventa. Spaventa se si fa
fatica a trovare un lavoro con uno stipendio adeguato (e gli
immigrati la fanno questa fatica), spaventa se si sa che il
bambino avrà qualche malformazione (il pensiero ricorrente
è "quando non ci sarò più, chi lo accudirà e lo
proteggerà?"). Non facilitiamo l'aborto, ma diamo
gli strumenti e la certezza che tirare su un figlio è un
compito che si condivide con la collettività. E questa è
la profonda limitazione della famiglia mononucleare, prima
le cose erano ben diverse, anche se il servizio pubblico non
era così avanzato.
La protezione dei soggetti
più deboli deve essere l'orgoglio della nostra
società. Il misurare quanto pago in tasse e quanto ricevo
in servizi mi pare la politica populista di un certo partito
che auspica la divisione dell'Italia. Se penso, poi, ai
costi che una famiglia numerosa deve sostenere direttamente
e ai costi che deve sostenere la collettività per quei
figlioli in più, il confronto mi pare assolutamente
impari!
Un elemento che ti ostini a non vedere è
che non sfavorire la natalità comporta un incremento di
popolazione attiva e, quindi, di tassati (ci vogliono 20
anni, ma alla fine sto benedetto bambino le pagherà le
tasse).
Ma del controllo demografico (ecco che
anche in questo caso ho usato il termine controllo nella sua
accezione di "regolazione", sembra strano?) stiamo
parlando del caso italiano o dei paesi in via di sviluppo?
Forse hai confuso i due casi e credi che l'assegno bebè
sia elargito anche in Pakistan (o in Etiopia)... O forse
credi che non esistano le nazioni e che il flusso migratorio
possa presto livellare le densità abitative?
Non
è un "esercizio da scolaretto" è piuttosto dare
il significato corretto ai termini: la crescita esponenziale
e la crescita aritmetica sono due concetti con una precisa
connotazione, che se confondi generi confusione... E la
crescita aritmetica a cui si riferiva Malthus non è quella
del PIL, ma delle terre coltivate...
Bah... se
penso a tutte le risorse economiche già destinate alla
ricerca che poi sono state dirottate su altri obiettivi...
(Qualcuno ha detto Alitalia?) La realtà è che la ricerca
sta pagando per i fallimenti politici e amministrativi
dell'attuale classe dirigente (maggioranza e
opposizione). E se penso che nessuno ha avuto ancora il
coraggio di fare una riforma dell'università
(reclutamento dei ricercatori, professori che curano
l'attività propria e a tempo perso insegnano e fanno
ricerca, valutazione della didattica e della ricerca...). E
la riforma è quasi a costo zero... (soprattutto se
paragonata ai benefici). Forse è perché ai signori
ministri e parlamentari piace tanto scrivere sul curriculum
"Professore ordinario di Economia del Lavoro presso
l’Università degli Studi di Roma, Tor Vergata"?
Forse perché è più facile trovare un ago in un pagliaio
che un professore/economista o un professore/avvocato nel
loro studio universitario?
11 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, per quanto ne so su Anemia Falciforme, Emofilia A e
B, Fibrosi Cistica e Atrofia Muscolare Spinale
l’attendibilità delle diagnosi è molto buona. Ma,
ripeto, la questione non è subordinare una scelta al dato
scientifico, più o meno attendibile, poiché l’aspetto
che prevale è il dato soggettivo. Dato soggettivo che,
ribadisco, consente di ricorrere all’aborto e non
comprendo perché non dovrebbe consentire di sospendere
l’impianto. L’unica logica che intravedo in questo
divieto è l’aspetto punitivo che rasenta il cinismo.
Continui a insistere su certezza assoluta, ma la
scienza non ci offre certezze assolute… Evochi
l’araba fenice della certezza pur sapendo che abbiamo
pronostici. Il fatto che un evento si sia sempre
verificato non ci dà la certezza che sempre si
verificherà, ma solo un probabile pronostico.
Tutto ciò, in ogni caso, lo ripeto, è irrilevante, tranne
il caso in cui si auspichi una tecnocrazia, un sistema dove
sono i “tecnici” a decidere quando come e perché si
può adottare una determinata condotta. No, grazie.
Liberissimo di trincerarti nell’infondata ricerca
della certezza assoluta, rimane il fatto che non può essere
questo il criterio, valido per tutti, per autorizzare un
comportamento o una scelta che è solo soggettiva.
Nessuno chiede che s’imponga la diagnosi
pre-impianto; questa è una scelta solitamente suggerita
quando esistono rischi reali in base all’anamnesi della
coppia interessata. Sta al soggetto decidere se avvalersi o
meno di queste tecniche, così come decide se effettuare una
amniocentesi o altro esame diagnostico.
L’altro tuo argomento, l’effetto gravidanza, è
altrettanto fragile e inconsistente. Non si comprende
perché l’esame pre-natale possa essere la causa
scatenante della scelta abortiva mentre la diagnosi
pre-impianto non possa contribuire a determinare la scelta
di non procedere all’impianto dell’ovulo fecondato.
Se questa diagnosi contribuisce a una scelta significa che
quel soggetto ha una determinata aspettativa dal suo
divenire genitore; a che serve imporgli un comportamento
pre-definito? Possiamo discutere all’infinito su
quanto sia moralmente sbagliata questa scelta e potremmo
persino trovarci d’accordo, ma rimango dell’idea che in
quella situazione non può che valere la coscienza del
soggetto che quella situazione vive in un determinato modo;
il nostro giudizio diviene ininfluente. Rispetto la
tua alta considerazione dell’effetto gravidanza, ma non
esiste una misurazione di questo effetto, un modo oggettivo
e univoco per determinarlo. Mi sembrano argomenti che
possono motivare la tua personale scelta ma non certo essere
posti a base di una norma che deve valere per tutti.
In ogni caso, la gravidanza produce su ogni individuo
comportamenti soggettivi e non certo in linea con la tua
affermata ricerca di certezze. Basti osservare il modo
diverso in cui reagiscono, per esempio, le donne con
gravidanza a rischio.
Crescita economica e
demografica. Prendi in considerazione solo l’aspetto
numerico e trascuri ogni altra considerazione delle mie
argomentazioni. Ovvio che per bilanciare un tasso di
crescita demografica annua (che assorbe entrate e uscite)
del 3.93% (prendo il tuo calcolo per semplicità) serva una
determinata crescita del PIL di tipo analogo (prendo sempre
per semplicità i tuoi calcoli) ma questo aspetto numerico
comporta anche lo stesso livello di qualità della vita
iniziale; vale a dire consente di mantenere stabile una
situazione: chi è povero resta povero, chi è ricco resta
ricco. Il tuo ragionamento, che ti dovrebbe portare
alla auto-bocciatura, si riduce in uno sterile esercizietto
da scolaretto. Il tuo sragionato ragionamento non considera
l’effetto inflazione, non considera la necessità di
offrire servizi sociali migliori per uscire da
analfabetismo, precarie condizioni igienico-sanitarie…
Se vuoi assorbire l’effetto inflazione, dare servizi
migliori, migliorare la qualità della vita… il tasso di
crescita deve essere ben superiore di quanto tu ipotizzi,
realizzando una banale quadratura numerica che assicura solo
il mantenimento della povertà presente all’inizio del
periodo temporale considerato. La distinzione che si
fa tra crescita aritmetica ed esponenziale serve proprio a
rappresentare il diverso passo dei due tipi di crescita.
Mi spiace, ma mi sembra che sia tu che debba aggiornare la
tua formazione.
Controllo evolutivo naturale.
Usi l’espressione “controllo naturale” come
sinonimo di “regolazione naturale”, “legge
naturale”. Adesso comprendo il senso delle tue
parole; ma se intendi riferirti a un meccanismo naturale,
non c’è bisogno di affiancare il termine a
“controllo”. Ho specificato che il mio era solo
una valutazione di carattere biologico; mi sembra innegabile
che con l’evoluzione della medicina abbiamo garantito
un’attenuazione dell’evoluzione naturale in forza della
quale chi nasce svantaggiato ha meno probabilità di
successo. Non ho detto che questo sia un male e nemmeno che
dovremmo tornare ai metodi di Sparta: ciò è evidente nel
mio discorso se solo lo si vuole comprendere.
Certo, più maestri, più tutto quel che vuoi… ma come
paghiamo un sistema scolastico più oneroso se non
attraverso una maggiore entrata di tasse… di qui la
necessità di inseguire una costante crescita della
produzione e dei consumi.
Chi ha mai detto che si
debba procedere solo con la ricerca sulle staminali
embrionali? Si parla più spesso di queste solo
perché è su queste che c’è una forma di ostruzionismo.
Non ci sono dubbi che la comunità scientifica è
divisa sul tema come spesso è successo nel corso dei
secoli… Non ho elementi per poter dire che serve o
non serve; e nessuno può dire con certezza che non serve la
ricerca sulle staminali embrionali; chi afferma ciò esprime
solo la propria discutibile valutazione. Di fronte a
questa constatazione, considerato che esistono embrioni
destinati alla distruzione… mi chiedo perché non
destinarli alla ricerca.
L’interesse
economico dei privati? Certamente, condivido pienamente… e
perché sui fronti da te indicati non c’è la ricerca
pubblica? Sempre una questione di mezzi… che
potrebbero essere facilmente reperiti se non lievitassero
costantemente le spese per i servizi ordinari…
Quanta parte della popolazione mondiale non ha
disponibilità neanche di acqua potabile? C’è anche
una questione di priorità e di scelte politiche, non ci
sono dubbi. Se molti paesi spendessero meno in
armamenti si potrebbero liberare risorse… ma anche quelli
servono al PIL… Ti sembra che l’Italia abbia
bisogno di tutti gli ufficiali che ha nelle forze armate?
Ti sembra che siano necessari 3,5 milioni di
dipendenti pubblici? Ma se sfoltiamo… cosa succede?
Scelte individuali che hanno ricadute sulla
collettività. Non ho affermato che sia sbagliato
aiutare le famiglie numerose, presta più attenzione a quel
che ho scritto. Ho solo constatato che la scelta di
fare tanti figli ha un effetto sulla collettività. E’ una
constatazione non una valutazione. Esattamente come
succede con altri comportamenti individuali: fumare,
alimentarsi in modo scorretto… Forse è giunto anche
il momento di discutere su quanto siamo disposti ad
assumerci come collettività il peso
dell’irresponsabilità di determinati comportamenti.
Esattamente quel che facciamo quando imponiamo l’uso del
casco e delle cinture di sicurezza: il non uso potrebbe
provocare ricadute negative non solo per il soggetto
interessato ma anche per la collettività; ecco che è
sensato prevedere alcune norme di sicurezza obbligatorie.
Perché non sono questioni private. Però mentre limitiamo
la libertà di condotta del privato per tutelare un
interesse collettivo, nulla facciamo per favorire una
consapevolezza genitoriale. E per favore, non arrampicarti
sugli specchi affermando che intervenire significa lasciare;
un fico secco! Se intervieni non lasci! Non imbrogliamo con
le parole affibbiando significati arbitrari. Se si
concede un premio a chi ha messo al mondo un figlio, e chi
sostiene questa proposta la presenta come un incentivo, non
si può affermare che si “lascia che si determini un
equilibrio specifico” e negare che specifico sta per
favorire una “determinata direzione”; e allora in cosa
consisterebbe la specificità? Nel lasciare che le
cose vadano per il loro verso… intervenendo? Arrampicarsi
sugli specchi è difficile. I servizi sociali sono
pagati da tutti in base alle proprie capacità contributive.
A usufruirne sono i singoli cittadini in relazione ai
bisogni. Chi ha tanti figli paga meno e usufruisce di più.
E’ giusto perché c’è un interesse collettivo da
tutelare. L’istruzione, la salute… sono interessi
collettivi. Ecco perché preferisco servizi efficienti a
contributi economici diretti al soggetto. Ma, mi
ripeto: dovremmo forse interrogarci su fino a che punto
siamo disposti ad assumerci il peso dell’irresponsabilità
altrui. Lavorare sul principio di responsabilità è
quel che dovremmo fare per costruire una società migliore e
più equilibrata.
Responsabilità nell’uso
delle facoltà sessuali, per ridurre i rischi di gravidanze
indesiderate, educazione sessuale (si fa a scuola?),
affettiva, sentimentale… Educazione matrimoniale,
scrivi tu, e non è forse un aspetto di quella
responsabilità di cui parlo io? Ti sembra che si
faccia abbastanza in questa direzione? Ma non ha senso
non responsabilizzare prima e punire dopo. Se in un
giorno posso sposarmi in un giorno devo poter divorziare.
Responsabilità, formazione, educazione… sono
a mio avviso le paroline magiche sulle quali dovremmo
lavorare di più. L’argomento potrebbe essere esteso a
educazione alimentare, attività fisica… Strutture
sportive accessibili a tutti, palestre di quartiere, parchi
attrezzati per l’attività fisica… Non credi che
incentivare uno stile di vita più salutare possa aiutare a
vivere meglio con notevoli risparmi per la spesa pubblica?
Quanto spendiamo per curare e quanto poco per
prevenire? Interveniamo quando la “frittata” è
fatta. Così, mentre da un lato abbiamo milioni di individui
che soffrono la fame, dall’altro lato abbiamo milioni di
individui che muoiono di sazietà. Mi sembra che dalla
educazione sessuale a quella matrimoniale si faccia ben poco
e si tenta di sopperire a queste carenze con i divieti.
A mio avviso è una strada sbagliata. E a tutto ciò
contribuisce anche la crescita demografica che non va
frenata con interventi autoritari ma con l’educazione alla
responsabilità. In caso contrario rischiamo che anche
l’aborto diventi un mezzo di pianificazione delle nascite.
E non dimentichiamoci che l’aborto è sempre stato
ed è presente a ogni latitudine e longitudine anche laddove
per abortire si rischiano pene severe e la vita stessa con
l’aborto clandestino. L’OMS stima che il 40% degli
aborti mondiali avviene nella clandestinità con la morte di
78.000 donne per aborto clandestino. Anche questo fenomeno
rientra nel lasciare che si determini un equilibrio
specifico? Vorrei che tu riflettessi su un dato:
l’alta incidenza abortiva tra le donne non-italiane in
relazione alla popolazione non-italiana presente nel nostro
Paese.
10 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Purtroppo le cose mi sovvengono a rate.
Non credo
che far pagare meno tasse alle famiglie numerose o
l'assegno pro-bebè possano essere considerati come una
politica pro-natalità. Piuttosto li considero interventi
che vanno a proteggere individui e famiglie in un momento in
cui sono più fragili, ovvero quando si trovano a
fronteggiare 5 o 6 bocche da sfamare con 1 o 2 stipendi.
Quindi ti rispondo dicendo che credo che tali interventi
possano essere considerati come il "lasciare che si
determini un equilibrio specifico", non che sia un modo
per "procedere a favore di una direzione".
10 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Divorzio. Appunto, non proponevo forse l'attuazione
di politiche volte a favorire la consapevolezza
pre-matrimoniale? Caspita... facciamo educazione
sessuale nelle scuole e lasciamo che i nostri giovani vadano
incontro a un passo così importante come il matrimonio
non-educati? "Educazione matrimoniale", ecco, ho
appena inventato un nome che mi piace... Annulla i
divorzi? Assolutamente no! Ma del resto chi contesta
l'educazione sessuale anche se gravidanze indesiderate e
trasmissione di STD continuano ad avvenire?
10 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
A proposito. Perché la legge sulle cinture di sicurezza e
sul casco in motorino (o in cantiere)? Perché lo stato
dovrebbe regolamentare queste "faccende
private"?
Sollevi la questione che la
presenza di famiglie numerose (quindi la scelta del singolo)
ha poi ricadute sulla collettività. E allora perché io,
come cittadino italiano che paga le tasse, devo partecipare
alla spesa sanitaria di chi, fumatore per decine di anni, ha
un tumore ai polmoni? Non è stata forse una scelta del
singolo, quella di perseverare con i fattori di rischio, di
cui ci stiamo accollando le conseguenze?
10 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Sempre in tema staminali. Il Prof. Vescovi, che non è
l'ultimo arrivato, ha più volte ribadito e dimostrato
scientificamente con pubblicazioni su Nature che la ricerca
sulle staminali potrebbe proseguire tranquillamente tramite
le cellule staminali adulte. Perché questo concentrarsi su
cellule embrionali? Che interessi ci sono? Eppure il
professore è laico... (Vorrei far notare come una sua
sperimentazione mediante cellule staminali adulte su
pazienti affetti da SLA ha avuto problemi di finanziamento
in Italia. Quindi il problema sono i soldi, non i presunti
bavagli che si vogliono mettere alla ricerca.)
10 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Caro Sergio, partiamo dalle diagnosi pre-impianto.
Non ho introdotto nessuna confusione riguardo la ricerca
genetica e la diagnosi pre-impianto: da dove credi derivino
i test diagnostici che vengono utilizzati ora se non dalla
ricerca di qualche anno fa? La ricerca genetica odierna sta
ridiscutendo il concetto stesso di gene alla luce delle
scoperte più recenti (ad esempio lo splicing alternativo e
il miRNA) che hanno messo in discussione alcuni principi
considerati fondamentali anche solo pochi anni fa (uno su
tutti il paradigma "1 gene=1 proteina"). Ed è
proprio per questo che è difficile fare una diagnosi certa.
Cosa che diventa ancora più difficile se la si cerca di
compiere così precocemente. Questo è un dato di fatto
accettato dalla comunità scientifica stessa. La stessa
diagnosi pre-natale ha margini di errore non trascurabili e
se consideriamo che essa si può avvalere di molti più dati
del semplice test genetico (ad esempio l'ecografia
stessa)... Perché non mi fai un esempio specifico di
patologia che può essere diagnosticata con certezza
assoluta prima dell'impianto? Uno solo potrebbe bastare,
ma se ne hai van bene anche due o tre...
Ti
faccio un esempio di controllo evolutivo naturale di una
crescita esponenziale. Si chiama "lo sviluppo
dell'embrione" (tanto per rimanere in tema). Si
parte dall'uovo fecondato e, miracolosamente, esso si
replica fino a formare 2, 4, 8, 16 e così via... Una
progressione esponenziale (o geometrica, se vuoi) con base
2... eppure, magicamente, a un certo punto si arresta e si
raggiunge un equilibrio. Ecco che l'evoluzione, o la
dinamica del fenomeno se preferisci (banalmente, senza
prestare attenzione alla mia precisazione, hai confuso il
termine evoluzione con "evoluzione darwiniana delle
specie") viene naturalmente controllata. La
disponibilità di risorse è quello che favorisce il
meccanismo di controllo del processo evolutivo (dove, mi
ripeto, l'evoluzione è diversa dall'evoluzione
delle specie ma dovrebbe esserti evidente perché stiamo
parlando di soggetti e scale temporali differenti). Ma credi
che ci sia, all'interno di questo meccanismo di
controllo, una classe dirigente che attua "una politica
per favorire la denatalità delle cellule"? La
verità è che il meccanismo di controllo che sta dietro
allo sviluppo del feto (e dell'essere umano in generale)
si è evoluto anch'esso (e questa volta in senso
darwiniano) nel corso di milioni di anni, a partire da forme
di vita molto semplici e raffinandosi via via con la
comparsa di forme di vita sempre più complesse. Possiamo
quindi noi aspirare a sviluppare un meccanismo di controllo
delle nascite? Non credo. Il sistema è molto più complesso
di quanto tu non voglia far credere e penso che chiunque
voglia "metterci lo zampino", anche ammettendo la
sua buona fede, otterrà dei risultati sul medio lungo
periodo (100-200 anni) che non aveva progettato
inizialmente. Il sistema che tu vorresti controllare è,
nella sua accezione matematica, caotico, quindi
imprevedibile, particolarmente complesso da gestire e
indirizzare.
Dispiace notare, infine, una
preoccupante lacuna matematica: l'evoluzione demografica
è discreta ma naturalmente, questo non ci vieta di parlare
di un aumento, su base annua, ad esempio, del 1,954232111%
(e mettici pure quante cifre decimali vuoi). Quindi cosa
c'entra il discorso "i 2 diventano 3 e non
3,5"? Entrambe le progressioni, quella della crescita
demografica e quella della crescita economica, sono
geometriche. Un dato paese dell'Africa ha
raddoppiato la popolazione di 18 anni? Lo sai cosa ti dico?
Ipotizziamo che abbia avuto un tasso costante di crescita
per tutti questi anni e, nello specifico, supponiamo che
tale tasso sia del 3,93% e facciamo due calcoli (popolazione
iniziale, per semplicità, pari a 1.000.000). Anno
Popolazione 0 1000000 1 1039300 2 1080144
3 1122593 4 1166710 5 1212561 6 1260214
7 1309740 8 1361212 9 1414707 10 1470304
11 1528086 12 1588139 13 1650552 14
1715418 15 1782833 16 1852898 17 1925716
18 2001396
Ecco, con un tasso di crescita annuale
del 3,93% ottieni il raddoppio della popolazione in 18 anni.
Sorpreso? E se riesci a mantenere un tale tasso di crescita
anche sul piano economico la ricchezza media pro-capite non
cambia con gli anni. Mi ripeto: 3,93%, alto... ma non
impossibile. Cosa comporta ciò? La crescita che si è
avuta nei paesi che portavi come è esempio non è del tipo
che dicevi "se 10 coppie hanno tutte 2 figli la
popolazione raddoppia". Bensì, prese 100 persone,
mediamente ogni anno, ne morivano x e ne nascevano x+3. Tre
nati in più dei morti, ogni anno ogni 100 persone per 18
anni. Se ci pensi non è proprio sto gran procreare... Ah,
per il raddoppio in 15 anni hai bisogno di un tasso del
4,73%. E per quadruplicare in 50 anni hai bisogno di un
tasso di, appena, 2,812%. Queste non sono idee mie,
sono fatti inconfutabili anche piuttosto facili da calcolare
(per chi ha studiato, almeno). Provo quindi a farti un
ripasso. La trappola mentale in cui cadi è di
considerare progressione aritmetica l'andamento x + 2%.
Il primo anno va tutto bene... ma il secondo anno calcoli il
2% sul totale alla fine del primo anno e quindi non hai x +
2% + 2%= x + 4%. La seconda volta che calcoli il
"2%" devi tenere in considerazione anche il
"2%" che hai guadagnato l'anno precedente e,
quindi, il tasso aritmetico equivalente che ottieni è
(1,02*1,02)-1= 4,04% Reitera per 18 volte e ottieni un tasso
aritmetico equivalente del 42%! (a differenza del 36% che
otterresti con una vera progressione aritmetica, il 6% in
più). Bocciato in sociologia, statistica e matematica! Io
sceglierei con più attenzione i testi che studi.
Hai ragione. L'allungarsi dell'aspettativa di vita
invecchia la popolazione. Aggiungi una politica di controllo
delle nascite e otterrai, in 20 o 30 anni, che la
popolazione attiva sarà ancor più in minoranza... Da quel
punto di vista complichi il problema.
E poi come?
Non dicevi che l'assegno pro-bebè non influenza la
decisione di mettere al mondo un figlio? Non dicevi
"tanto chi lo fa lo avrebbe già fatto?". Delle
due l'una... o l'assegno pro-bebè non serve a
favorire la procreazione o serve.
Che visione
ingenua del meccanismo di selezione naturale... Hai visto?
Anche Sparta, con la sua selezione dei neonati più forti,
è solo un ricordo sui libri di storia. La medicina moderna
non è nient'altro che un altro ritrovato di una specie
per garantirsi la diffusione. L'organizzazione in
strutture sociali che riscontri in molti animali può essere
assimilata alla medicina e al nostro sviluppo. Credi che
tutte le formiche che sopravvivono lo fanno per meriti
personali? La "società delle formiche" garantisce
anche a soggetti più deboli di trasmettere il loro
patrimonio genetico. E così facciamo noi, in un modo più
sofisticato, ma la sostanza non cambia. Come giudicare
realmente la fitness (è questo il termine utilizzato negli
studi di settore) di un individuo? E, credimi, se tu
impedissi a soggetti "deboli" di avere una loro
chance di procreare avresti in pochissimo tempo (su scala
evolutiva) una specie estremamente fragile, che non è in
grado di adattarsi rapidamente al cambiamento, cioè votata
all'estinzione. Dinosauri? Qualcuno ha parlato di
dinosauri? E sì che sembravano così forti! Eppure tante
specie di insetti, che sembrano così deboli, non si sono
estinte, i dinosauri, invece, sono scomparsi. Non illuderti,
la medicina non sta cambiando la dinamica evolutiva della
nostra specie.
Ma non capisci che i costi dei
servizi assistenziali riescono a tenere in piedi il settore
terziario? Più bambini da educare significano anche più
maestri e quindi più richiesta di servizi. Servizi che
vengono pagati dalla collettività. Ma, fra aumento
dell'aspettativa di vita e denatalità, la collettività
attiva non rimane...
L'utilizzo delle risorse
che stiamo facendo ora nelle società industrializzate non
è sostenibile se dovesse diffondersi su scala globale.
L'errore è di non considerare una riduzione del nostro
ritmo di sfruttamento...
Il tema della ricerca mi
è particolarmente caro perché ci lavoro e, non a caso, ora
ti sto scrivendo dagli Stati Uniti. Credi che il problema
che oggi i ricercatori italiani stanno affrontando è la
mancanza di embrioni e cellule staminali? Ti rispondo io:
no. La ricerca costa e deve essere finanziata. E si deve
fare in modo che i finanziamenti siano bene impiegati.
Questo è il problema che la politica deve affrontare
nell'ambito della ricerca, non le staminali. La
questione finanziamenti pubblici, poi, è particolarmente
delicata. Ti faccio un esempio in ambito medico: la
tubercolosi è la patologia che miete più vittime al mondo.
Eppure la ricerca sulla malattia è praticamente ferma. La
cura esiste e prende la forma di un bombardamento di 4 e poi
2 antibiotici per almeno 6 mesi. Ci sono due problemi: (1)
se la cura ti guarisce devi sperare che il fegato e il
sistema immunitario si riprendano presto e (2) c'è una
diffusione sempre più crescente di ceppi resistenti agli
antibiotici. Perché si sente parlare sempre di lotta al
tumore X e Y e mai di lotta alla TBC? L'interesse
economico di privati è la risposta a questa domanda...
10 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, nessuna confusione. Mi sembra che tu
introduci elementi confusivi quando stabilisci confronti tra
le ricerche genetiche e le diagnosi genetiche pre-impianto.
Queste ultime non sono finalizzate a individuare generici
nessi di casualità tra geni e malattie, comportamenti o
caratteri fenotipici (occhi azzurri, capelli neri…) ma
esclusivamente ad accertare malattie ben definite e sulle
quali non mi risulta esistano dubbi nella comunità
scientifica. Malattie per le quali sono stati
identificati i geni coinvolti nell’insorgenza della
malattia da diagnosticare. La diagnosi pre-impianto è
finalizzata ad accertare specifiche malattie che, in base
alla anamnesi dei soggetti interessati, hanno alta
probabilità di manifestarsi. Non c’entrano nulla, quindi,
gli articoli di giornale cui fai riferimento. Sulla
questione divieto pre-impianto si è già espresso il TAR
del Lazio che ha annullato le vecchie linee guida della
legge 40 e sollevato questione di legittimità
costituzionale; adesso, con la sentenza della Consulta anche
l’obbligo di impianto contemporaneo di tutti gli ovuli
decade.
Trovo singolare che tu non te la senta
di commentare una norma di legge che “impone” una misura
medica (massimo tre) e una procedura medica (impianto
contemporaneo) mentre sulla questione pre-impianto sei così
fermo nelle tue convinzioni insistendo sul tema “fattore
gravidanza”, come se dall’essere in gravidanza o in
attesa di poter iniziare una gravidanza possa derivare una
risposta certa ed oggettiva al fine di prendere una
decisione. Forse, idealizzi un po’ troppo la
gravidanza, sostituendo il rischio errore di diagnosi
medica, comunque misurabile, con la ben più indefinita
situazione, non misurabile, che scaturisce dall’ipotetico
effetto gravidanza. Lo stato in cui una persona prende
una decisione ha influenza sulla decisione stessa, ma si
tratta di effetti variabili da soggetto a soggetto e quindi
irrilevanti rispetto alla finalità di una norma di legge.
Scorciatoia divorzista. Avevo supposto
questa tua analisi, ma avevo preferito non lanciarmi in
interpretazioni. Ribaltiamo il tema. Perché due
persone sono ritenute responsabili quando si sposano e
diventano irresponsabili quando divorziano? Perché
due persone possono contrarre matrimonio dopo un colpo di
fulmine (fatti salvi i tempi tecnici) mentre devono
attendere anni per divorziare? E’ forse il
matrimonio che trasforma le persone da responsabili in
irresponsabili? Scusa il sarcasmo, ma allora rendiamo
obbligatorio un periodo certo di “fidanzamento” prima di
contrarre il matrimonio. Non ha senso che non si
richieda alcun requisito temporale per sposarsi mentre ci
vuole che passino anni per divorziare. C’è la presunzione
di responsabilità quando si contrae matrimonio, mentre
c’è la presunzione di avventatezza quando si chiede il
divorzio. Non ti sembra una palese contraddizione?
Non mi interessa, in questa sede, discutere la
posizione della Chiesa. Ritengo che sia legittima ogni
posizione purché non si pretenda di trasformare un precetto
etico in legge, in obbligo. Dove c’è obbligo non
c’è scelta etica.
Limite temporale per
l’aborto: credo non ci sia necessità di allungare i
tempi; basterebbe fare in modo che una facoltà prevista per
legge sia effettivamente esercitabile. In troppe zone
d’Italia, o per cattivo funzionamento delle strutture
pubbliche o perché non si garantisce la prestazione
sanitaria aldilà della lecita obiezione di coscienza, si
rischia di superare i limiti temporali previsti dalle leggi;
in questi casi credo che il problema non si risolva
allungando i tempi.
Staminali: sono favorevole
alla libera ricerca; va tenuto anche conto che gli embrioni
crioconservati in soprannumero o “abbandonati”
consentono di realizzare linee cellulari per un’intera
generazione di ricercatori e l’alternativa a ciò è in
ogni caso la distruzione di questi embrioni. Tra le due
strade preferisco la prima; non mi pare esista la necessità
o l’ipotesi di creare embrioni appositamente per
effettuare tali ricerche.
Perché lo Stato
deve impormi... Il Parlamento può legiferare su ogni
materia per il semplice fatto che “può”. Non è un
gioco di parole, dal momento che non esiste la previsione di
abuso del potere legislativo (neanche quando il Parlamento
viola apertamente il responso referendario). Detto
ciò, va valutato se debba legiferare: valutazione
squisitamente politica. Quindi, va valutato come
legifera. E qui sono dolori. La maggioranza
parlamentare negli ultimi anni ha strumentalmente legiferato
su varie materie, impropriamente definite “etiche” (non
sono le materie a essere etiche ma le azioni), per creare
scompiglio nella parte politica avversaria. Per
finalità politiche ha capziosamente affermato ope legis una
visione etica particolare. L’etica è stata piegata
a esigenze politiche, come dimostra la contraddittorietà
degli atti legislativi e la perentorietà con cui è stata
rappresentata una concezione etica assoluta, definita
d’ispirazione cristiana. Il pensiero cattolico presenta
invece una molteplicità di posizioni che mal s’accompagna
con questo integralismo politico; se poi guardiamo al mondo
cristiano nella sua totalità, le posizioni diventano ancora
più varie. L’attività legislativa è a mio avviso
sempre deprecabile quando non tiene in considerazione il
pluralismo, le molteplici concezioni della vita, le ragioni
di coscienza altrui. Non onora la coscienza propria
chi non rispetta quella altrui, semplicemente dimostra di
essere senza coscienza e porfondamente immorale: questo è
il giudizio che, con molta serenità e pacarezza, esprimo
nei confronti della stragrande maggioranza dei parlamentari
italiani, che non sono nè i miei nè i tuoi parlamentari.
Non è moralmente credibile chi per far valere la
propria coscienza calpesta quella altrui. Oltre a
essere deprecabile, sul piano squisitamente etico, è pure
ai confini della legalità quando viola apertamente i
principi costituzionali.
Controllo demografico.
L’invecchiamento della popolazione si genera anche a
causa della maggiore aspettativa di vita, già questo è un
fattore di crescita della popolazione ed è un fattore di
costo per la collettività. Se nonostante l’allungamento
della vita si dovesse incrementare o incentivare la
natalità avremmo solo un incremento dei costi e non un
beneficio. Una grossa fetta della popolazione è a
carico della collettività: per definizione gli over 65 e
gli under 16; a questa fetta dobbiamo aggiungere un’altra
quota di popolazione non produttiva, per effetto
dell’allungamento dell’età formativa e dei sistemi
previdenziali (gli studenti over 16 e i pensionati under
65); a tutto ciò aggiungi la popolazione non occupata (cosa
diversa dai disoccupati)… Ti rendi conto che
ragioniamo ancora come se fossimo in una situazione da
inizio dell’epoca industriale? Epoca in cui l’individuo
non era un costo per la collettività dal momento che non
esisteva alcun servizio previdenziale, assistenziale,
sociale, educativo-formativo. Ti rendi conto che i
pochi che lavorano dovrebbero reggere tutto il sistema? Ti
rendi conto che tra questi pochi che lavorano solo un terzo
circa è impiegato in attività produttive in senso stretto
(primario e secondario, agricoltura e industria) mentre i
2\3 circa della popolazione attiva è impiegata nel
terziario? Non ti suggerisce nulla questa dinamica, questa
terziarizzazione dell’economia?
Che significa
“equilibrio specifico in ogni nazione”? Perché
esiste ancora il concetto di nazione sul piano demografico?
E incentivare la natalità con i bonus bebè significa
lasciare che si determini un equilibrio specifico o
significa intervenire specificatamente in una determinata
direzione? Far pagare poche tasse alle famiglie
numerose significa favorire un equilibrio specifico o
procedere a favore di una determinata direzione che pone in
capo alla collettività la scelta di un singolo? Non
prendiamoci in giro: è sempre stata attuata una politica di
incentivazione della natalità; ritengo sia ormai necessario
cambiare rotta.
“Controllo naturale
evolutivo”? Mi sembra una bestialità e una
contraddizione in termini. Con la nostra capacità di
intervenire sui fattori naturali abbiamo quasi cancellato
ogni potere naturale ed evolutivo. Ciò che si controlla
cessa di essere naturale; un processo naturale evolutivo non
può essere “controllato”, tranne il caso di utilizzare
il termine per intendere “osservato”, ma non mi sembra
che tu stia intendendo ciò. Non fraintendermi, ma non
nascondiamoci che la medicina indebolisce sul piano
biologico la specie umana: l’uomo è biologicamente
stazionario con tendenza involutiva. Con la medicina
riusciamo ad assicurare vita e procreazione ad elementi che
nel recente passato non sarebbero sopravvissuti; riusciamo
anche con i “pezzi di ricambio” a far vivere persone che
sarebbero morte… Tutto ciò è contrario al concetto di
evoluzione naturale. Ripeto, sono considerazioni
strettamente sul piano biologico; ovviamente, sono ben
contento di quanto la scienza e la medicina ci mette a
disposizione ma, per il potere che abbiamo di modificare il
disegno naturale, abbiamo il dovere di interrogarci su quali
siano le conseguenze del nostro agire. Non capisco
proprio cosa tu voglia intendere.
Densità
abitativa. Ci vai a vivere tu nel deserto? Guarda
caso anche nelle nostre tante diverse città, la migliore
qualità della vita coincide con bassa densità abitativa.
La gestione del territorio è certamente legata alla
cultura di chi vive quel territorio, ma è inevitabile che
col crescere della popolazione la pressione sul territorio
possa raggiungere livelli insostenibili e nocivi. Più
persone significa maggior terreno dedicato
all’agricoltura, per esempio. Ciò comporta la necessità
di stressare i cicli naturali col conseguente impoverimento
della terra che dovrà essere “nutrita” con concimi
chimici per renderla produttiva... Più agricoltura
significa meno boschi, deforestazione… così è iniziata
la prima grande tragedia ambientale. Il pianeta ha
conosciuto un solo grande scontro di civiltà: lo scontro
tra la civiltà nomade e quella stanziale. La prima è
stata sconfitta dalla seconda. L’affermazione della
civiltà stanziale ha portato alla nascita delle città; la
rivoluzione industriale ha dato nuovo impulso
all’accentramento della popolazione laddove c’erano i
luoghi di produzione (non li ho inventati io gli
stabilimenti industriali e i relativi agglomerati urbani)…
Il tema diventa impossibile da affrontare su questo
“canale”… se difettano le basi necessarie per
affrontare questi temi. Non voglio essere offensivo, però
se poni le domande in questo modo vuol dire che non ti sei
mai preoccupato di approfondire i temi dello sviluppo urbano
e della antropizzazione. Idem se non comprendi la
differenza tra crescita aritmetica ed esponenziale (non è
una mia invenzione); ti suggerisco se il tema ti interessa
di leggere qualche testo di sociologia, di statistica…
Ti faccio anch’io un piccolo esempio. Da un
uomo e una donna, cioè due persone, si passa a 3 (il come
mi sembra inutile spiegarlo). Da cinque coppie che mettono
al mondo ciascuna 2 figli si passa in breve da 10 a 20 cioè
al raddoppio; e così via… con la conseguenza che abbiamo
Paesi che raddoppiano la loro popolazione ogni 15\18 anni
(Kenya, Etiopia…). L’intero continente africano ha
quadruplicato la popolazione in circa mezzo secolo,
nonostante guerre, carestie, aids… Quale il tasso di
crescita economica per assicurare un pro-capite più
elevato, per migliore le condizioni di vita, con un simile
tasso di crescita demografica? Di quanto deve crescere
questo pro-capite per poter assicurare i servizi sociali
indispensabili? In demografia l’effetto
moltiplicatore è molto più veloce di quello aritmetico
dove si passa da 2 a 2+x%. In economia esistono i centesimi,
in demografia esistono le unità e due unità diventano 3 e
mai 2,1. Certo, se una economia cresce a ritmi
sostenuti può permettersi ottime crescite demografiche,
ammesso che poi riesca a gestire i problemi connessi…
Ma quale economia può crescere a ritmi sostenuti se non
sposa il sistema consumistico-produttivo?
L’agricoltura, la pastorizia, la zootecnia non assicurano
alti tassi di crescita economica se siamo in presenza di
molte più bocche da sfamare… Ecco allora che intere
parti del mondo si trasformano in squallidi villaggi
turistici per il consumismo itinerante, ecco che si
accolgono senza andare tanto per il sottile gli stabilimenti
industriali di aziende estere…le famigerate multinazionali
del profitto. Ecco che le bio-diversità e la
molteplicità culturale, le culture particolaristiche, le
diverse socialità… tutto viene fagocitato dall’enorme
slot machine che è diventato il Pianeta.
9 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Cosa è ora l'Italia, con i suoi 60milioni di abitanti?
E cosa sarà domani (magari ancora con i suoi, suppergiù,
60 milioni di abitanti)? Credi che l'impatto sul
territorio dipenda unicamente dalla densità abitativa? O
dipende anche in buona parte dalla cultura del territorio
che la popolazione possiede? Altrimenti perché
esisterebbero le profonde differenze che oggi vediamo nelle
diverse nostre città? Perché, inoltre, hai
considerato il tasso di crescita dei vari stati che hai
elencato ma non hai riportato la densità abitativa di quei
luoghi? Etiopia: 70ab/km2 Egitto: 77 ...
Brasile: 22 Italia: 199 USA: 31
Sinceramente non ho capito la tua distinzione fra crescita
esponenziale della popolazione e crescita aritmetica
dell'economia. Facciamo un esempio (inventato):
Anno Popolazione 2000 1.000.000 2001
1.020.000 2002 1.040.400 2003 1.061.208
.... 2000+t 1.000.000 * (1,02)^t Conclusione:
crescita esponenziale con tasso annuo costante del 2%
Ma non misuriamo così anche la crescita del PIL? (E
anche interessi a debito o credito, se è per quello (e, by
the way, i premi di Chi vuol essere milionario, un motivo ci
sarà, no?)). Avrei potuto scrivere PIL invece che
Popolazione e avresti tratto le stesse conclusioni...
crescita con tasso costante del 2%. Sono tutti
andamenti esponenziali, è la differenza del tasso che fa la
differenza, ma la velocità di crescita, in termini
analitici, è comparabile.
9 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Vogliamo rimanere sull'esempio Cina? La politica di
controllo delle nascite a cosa sta portando? Da una parte si
è calmierata la crescita demografica, ma dall'altra?
Com'è la composizione della popolazione? Il rischio è
che si generi un'invecchiamento della popolazione, con
tutti i costi sociali che esso comporta. Cercare di
controllare un fenomeno complesso è assolutamente
rischioso. Dobbiamo attuare politiche di denatalità o
lasciare che si raggiunga un'equilibrio specifico in
ogni nazione (una sorta di controllo naturale evolutivo,
mediato dala società, non dai processi darwiniani)?
9 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Il mio "usare la sentenza" era solo per dimostrare
come sia stato considerato importante il fatto che
l'uomo abbia nascosto alla moglie che non potesse
procreare. Infatti è stato giudicato sufficiente a
richiedere una rivalutazione del caso. Non voglio far dire
che una finalità del matrimonio è la procreazione, ma che,
per alcune persone, la procreazione è un elemento di
realizzazione. Se così non fosse, la cassazione non avrebbe
valutato come venuto meno la lealtà dei coniugi, o mi
sbaglio? Se poi una coppia sposata decide di non aver figli
senza tradire le aspettative di entrambi la questione
diventa "privata" (non del tutto, ma in buona
parte). Quello che volevo ribadire è la differenza tra
procreazione e produzione di forza lavoro, ma su questo
siamo d'accordo e, quindi, possiamo concludere qui. No?
9 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Il noccciolo dell'articolo, secondo me, è evidenziato
dalla domanda "... ma perche' lo Stato deve impormi
qualcosa in questo ambito tutto mio?". A questo
proposito ribadisco che lo stato può e deve legiferare su
questioni che hanno risvolti sociali. Si può discutere dei
contenuti di tali leggi, di cosa ha un'effettiva
rilevanza sociale, ma non si può discutere sul fatto che
questa debba essere una sua prerogativa. Non trovi, Sergio?
9 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Provo a commentare per punti (e a puntate), visto che non ho
molto tempo.
Mi sembra che tu vada a confondere
due tipi di diagnostica: la diagnostica per immagini e la
diagnosi di malattie genetiche. Nel primo caso è, ovvio, la
frattura (ma anche la presenza di masse tumorali ecc) è
immediatamente riscontrabile. La risposta è discreta. Il
test genetico, invece, si scontra con la nostra limitata
comprensione dei processi che, a partire dal nostro
patrimonio genetico, danno vita al sistema uomo. Nel test
genetico si determina una deviazione nella sequenza
nucleotidica che è fortemente (e statisticamente) correlata
alla presenza di una malattia. C'è una effettiva
relazione di causalità? Nella maggioranza dei casi non ci
è dato saperlo. Non ti sei mai chiesto cosa c'è dietro
ai tanti articoli di giornale che affermano "scoperto
il gene X che è coinvolto nella malattia Y (o nel
comportamento Z)"? Di certo, se sfogli la letteratura
scientifica da cui l'articolo è tratto, noti che
l'analisi realmente compiuta non va a esplicitare come
la variazione presente sul gene influenza i processi
biologici che portano poi alla malattia (o alla comparsa di
un tratto fenotipico particolare). La verità è che a
questo proposito ne sappiamo ancora così poco... I
protocolli nella pratica diagnostica sono "solo"
un modo (fondamentale) per avere una linea di condotta
comune e scientificamente fondata: non danno un responso
certo (sto, naturalmente, considerando il caso generale,
determinate patologie, ad esempio la sindrome di Down, hanno
percentuali trascurabili di errore). Ed è per questo
che chiedo: il margine di errore nella predizione della
malattia, se non è trascurabile, come si combina con il
fattore "essere in gravidanza"? Abbiamo entrambi
concluso che, in generale, la propensione al rischio (anche
se questo termine di teoria delle decisioni non mi piace
molto) si abbassa nel caso di diagnosi pre-impianto e, di
conseguenza, questo comporta l'insorgenza di un processo
selettivo. Mi ripeto perché, evidentemente, il mio
messaggio non appare chiaro: sono assolutamente convinto che
la scelta debba rimanere soggettiva sulla base del dato e
del parere clinico, tuttavia ritengo più opportuno che tale
scelta venga fatta durante la gravidanza. E il rischio
derivante dall'aborto terapeutico, che si sarebbe potuto
evitare con una diagnosi pre-impianto, mi sembra una
motivazione che non può giustificare da sola la diagnosi
pre-impianto: perché allora una coppia sana (ma, magari, un
po' su con l'età e quindi, con un più alto rischio
di problemi di natura genetica e fisiologica) non dovrebbe
poter accedere alla fecondazione artificiale e evitare così
il rischio di un aborto "terapeutico" in caso
l'embrione presentasse malformazioni? La logica che hai
spesso invocato ci porterebbe su questa strada.
La "scorciatoia divorzista" si riferiva a una
parte dell'articolo in cui si auspica una sostanziale
semplificazione del divorzio, al fine di accogliere nel più
breve tempo possibile il volere dei coniugi di non essere
più tali. Non credo che questa semplificazione possa
portare a un beneficio alla società sul medio-lungo
periodo. Che società è una società in cui la costruzione
e il disfacimento delle famiglie avviene su due piedi? Lo
dico sul piano della stabilità ma anche sul piano
economico. Divorziare, anche ammettendo che la parte legale
venga alleggerita, lascia il segno sulla società ma anche
sulle finanze degli individui. Non è meglio attuare
politiche per l'aumento della "consapevolezza del
matrimonio"? Non tutto si può prevedere ma, come
facciamo fare un esame di guida prima di rilasciare la
patente (permettimi la banalizzazione), non dovremmo
"accertarci" che una coppia sia realmente
consapevole di cosa comporti una tale scelta?
Sono pienamente concorde con la tua analisi del fenomeno
consumistico. Prova, però, a traslare tale analisi
all'attuale dibattito politico italiano (e, per certi
versi, ma non ne sono particolarmente titolato, del mondo
occidentale). Non siamo di fronte allo stesso fenomeno?
L'attuale mondo politico (in tutti gli schieramenti)
cerca di indurre nuovi bisogni nell'elettorato, bisogni
a cui può/sa rispondere e sui quali, poi, riscuote
consensi. La questione sicurezza (o, meglio, la sua
manipolazione) mi sembra l'esempio più lampante. O
sbaglio? Non sono i temi discussi nell'articolo parte di
questa scorciatoia? La classe dirigente non sa come
rispondere (o, per valutazioni economiche, non vuole
rispondere) efficacemente e concretamente a determinati
problemi e, tramite scorciatoie, cerca di dare altre
risposte. Rimaniamo sulla questione sicurezza: una politica
per l'integrazione non potrebbe essere più efficace sul
lungo periodo? Ma, senza andare "fuori tema",
anche la questione "facilitazione del divorzio" va
nella direzione di una resa delle politiche della famiglia.
E allo stesso modo la questione della fecondazione
artificiale e il "volere assolutamente un figlio con il
minimo rischio, ma non di salute, bensì di averlo
differente da come lo si vuole/lo si immagina."
Ritengo che, spesso, si confonde la posizione della
chiesa cattolica con "oscurantismo". Invece penso
che le sue posizioni, controverse, derivino dalla
constatazione che è l'accettazione dei limiti che
ciascuno di noi ha (e il saper vivere all'interno di
essi) a portare a una vita serena. Esasperare i bisogni
della gente (ed è questa la tendenza consumistica)
favorisce chi può rispondere a questi bisogni, non il
soggetto dell'esasperazione stessa. Ciò vale sul piano
materiale come tu stesso hai ben spiegato... ma vale anche
sul piano etico e morale. Il discorso "la mia libertà
finisce dove inizia quella dell'altro" è un
po' banale perché, a mio avviso, l'esercizio della
propria libertà deve considerare sì la libertà
dell'altro, ma anche la responsabilità sociale del mio
gesto. Ed è qui che, secondo me, il processo legislativo
dovrebbe intervenire, nell'indicare la responsabilità
sociale che l'esercizio dei propri diritti comportà.
Secondo me, concludendo, nello specifico, il divieto della
diagnosi pre-impianto (non sto parlando dei tre embrioni,
che sono un discorso diverso), la legislazione relativa al
divorzio e, in parte, quella relativa al matrimonio e alle
unioni di fatto vanno nella direzione di delineare una
responsabilità sociale delle proprie azioni e, così, di
migliorare la convivenza civile.
Mi piacerebbe
conoscere, inoltre, il tuo parere su due questioni che ha
evidenziato l'articolo: (1) il limite temporale
sull'interruzione volontaria della gravidanza (in cui si
dice che non ha senso perché tanto può essere fatto
clandestinamente) e (2) le differenze legislative tra il
nostro paese e l'estero, con particolare riferimento
alle staminali.
8 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, a quale norma fai riferimento? I giudici
hanno come riferimento i diritti costituzionali e le norme
di legge. Riguardo al matrimonio, l’art. 147 c.c.
recita: “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi
l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole
tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale
e delle aspirazioni dei figli.”
Non esiste un
obbligo a fare figli, mentre esiste l’obbligo di lealtà
che è disatteso nel momento in cui si nasconde al coniuge
una situazione di fatto che è d’impedimento a una
eventuale naturale attesa dell’altro coniuge. In
discussione non è il ruolo della procreazione, ma il
diritto di essere informato su situazioni che possono
incidere sulla soggettiva e autonoma determinazione di
contrarre matrimonio.
Pienamente d’accordo che
la procreazione non sia produrre braccia per i campi.
La frase incriminata, a mio avviso, ma ripeto è una mia
interpretazione (forse sbagliata, ma in me quella frase ha
rievocato una tendenza culturale che ha caratterizzato la
nostra storia recente), racchiude un intero mondo culturale
e politico, ancora monoliticamente incentrato sulla famiglia
uomo-donna con funzione procreativa. Mi sembra una
visione riduttiva che non trova riscontro nelle norme di
legge che, pur tutelando la famiglia e il diritto
procreativo, non vincolano mai la costituzione della
famiglia e il contrarre matrimonio alla procreazione.
L’autore dell’intervento di apertura chiede infatti
“Perche' la famiglia legale deve essere solo
uomo/donna, forse c'e' ancora bisogno che sia tale
perche' occorre procreare braccia per i campi e per le
fabbriche e per lo Stato…” In questi “forse” io
ho letto la rievocazione di una cultura che ha dominato in
Italia.
Poiché un’unione è valida, legalmente
e socialmente tutelata, prescindendo dalla procreazione,
perché non deve avere valore legale anche un’unione che
non sia composta da uomo+donna? La procreazione è forse
l’unica ragione che sostanzia e legittima un’unione?
Non vedo alcun attacco all’aspetto procreativo, ma
una legittima aspettativa che ci sia riconoscimento sociale
e legale per altre forme di famiglia che si affiancano a
quella tradizionale.
La popolazione mondiale
cresce a ritmi sostenuti; è un fatto che in mezzo secolo è
quasi triplicata. Non ti sembra che ci sia un po’ di
pelosità nei tanti discorsi che si fanno ufficialmente per
la lotta alla miseria, alle epidemie… e i pochi fatti che
seguono a queste dichiarazioni altisonanti? Io credo
che faccia terrore alla classe dirigente internazionale che
si sconfigga la fame nel mondo e la miseria; dovrebbe
confrontarsi con un problema enorme che nessuno sembra voler
affrontare: la crescita demografica. Come c’è molta
pelosità nell’affrontare i problemi dei diritti
fondamentali in vaste aree del mondo. Prendiamo la
Cina, visto che la citi. Quel sistema politico fa
molto comodo al mondo intero. Se la Cina comincerà a
investire al proprio interno, per lo sviluppo della qualità
della vita e il riconoscimento dei diritti fondamentali,
saranno dolori: chi comprerà i titoli di Stato
statunitensi? Chi finanzierà il debito pubblico?
Sinora la Cina ha frenato il rischio di rivolte popolari con
il sogno americano in salsa cinese; vale a dire, se vuoi
stare bene basta rimboccarsi le maniche… I milioni di
cinesi migrati verso le città in cerca di fortuna
costituiranno un bel problema se la crescita economica
dovesse scendere sotto il 7-8%. Se lì i lavoratori
dovessero avere gli stessi diritti e le stesse tutele che
hanno i nostri lavoratori (e noi ci lamentiamo), allora lo
Stato cinese non potrà fare più lo shopping nel mondo che
fa da oltre dieci anni… e il sistema economico mondiale ne
soffrirà. D’altra parte, è esportabile il sistema
“americano” basato sul produrre 5 e consumare 40?
Non si tratta di un popolo cinese che non ha il
“bisogno consumistico”, ma di un popolo che è
imbrigliato in un sistema politico-economico rigido,
dittatoriale. A me sembra che faccia paura una Cina che
dovesse imboccare la strada della democrazia. E la
storia ci insegna che autoritarismo politico-sociale e
liberismo dirigistico di Stato è una miscela esplosiva.
Il controllo delle nascite è ineludibile se
vogliamo sconfiggere fame e miseria.
I Paesi da
dove provengono una massa di immigrati hanno alle spalle
ottime crescite economiche ma nonostante ciò la miseria
dilaga. Senza dubbio le cause sono tante, ma tra
queste c’è anche da considerare che la crescita economica
è aritmetica mentre quella demografica è esponenziale.
Non auspico che si imponga un modello di sviluppo
(sbagliato) a tutto il mondo, ma poiché il mondo sembra
orientato a fare proprio il modello (fallimentare)
consumistico-produttivo, allora il problema demografico è
ineludibile. E non è in discussione l'idea di
negare ai popoli emergenti i nostri stessi agi, ma la
necessità di ripensare i modelli di produzione
accompagnando questo processo con una politica che incentivi
la denatalità.
Non credo assolutamente che la
procreazione sia un bisogno indotto; credo semplicemente che
esista un modus vivendi che tanti fanno proprio perché
così si è sempre fatto. Ciò vale, talvolta, quando si
mette su famiglia, quando si prendono i sacramenti… si
tratta di adesione conformistica a uno stile di vita senza
interrogarsi se quelle scelte rispondano esattamente ai
propri bisogni.
Agli assegni a sostegno della
maternità preferisco servizi efficienti. Proposte
stile bonus bebè o assegno se rinunci all’aborto, più
che incentivi mi sembrano sbandierate demagogiche che non
spostano di una virgola le questioni reali… un po’ come
regalare la pasta in campagna elettorale. Certo, meglio
avere mille euro che non averli, ma stai pur certo che
nessuno è così fesso (spero) da fare un figlio perché
avrà in regalo mille euro; quindi, quel qualcuno avrebbe
comunque fatto un figlio; ok, regaliamogli mille euro, ma
non sarebbe meglio sviluppare i servizi sociali?
I bambini generano domanda, non c’è dubbio; generano
anche costi: assistenza medica, scuola, inquinamento…
Le bocche vanno sfamate e la capacità del pianeta di
produrre risorse alimentari non è infinita. In mezzo
secolo il consumo di carne è quadruplicato. La Cina è
passata da 9 chili di consumo pro-capite a 55. Lo
stesso discorso vale per i consumi di cereali, con la
piccola considerazione che oggi un terzo della produzione
cerealicola mondiale serve a sfamare gli animali destinati
alla nutrizione umana. Se pensiamo che il benessere
dipenda dalla crescita del PIL (ovvero degli scambi di merci
e servizi), proseguiamo su questa strada, ma non
dimentichiamoci che una maggiore popolazione richiede case,
servizi, cibo, territorio… e le risorse del pianeta non
sono infinite. A proposito, il terremoto fa crescere
il PIL.
Non credo sia difficile immaginare cosa
sarebbe l’Italia se fossimo 150milioni. Pensa solo
all’impatto sul territorio; cosa sarebbe Napoli con una
popolazione tre volte quella attuale? Pensa ai
problemi del traffico e dell’inquinamento. Cosa
sarebbe l’Italia se producessimo tre volte i rifiuti
attuali?
Sistema pensionistico più bilanciato?
Ma neanche per sogno. Se il sistema pensionistico non
è bilanciato ciò è dovuto esclusivamente al fatto che la
crescita dell’attesa di vita non è stata accompagnata da
un allungamento della vita lavorativa, per non parlare del
pessimo sistema che consentiva di andare in pensione con
appena 15 anni di lavoro (anzi, 14anni, 6mesi e
1giorno).
Se pensiamo che l’economia sia in
dipendenza anche della crescita demografica, ci poniamo in
una logica consumistico-produttiva o, se preferisci,
produzione di braccia per i campi, l’industria, lo
Stato… ma dovremo fare i conti anche con i milioni di
persone che si affacceranno sull’italico suolo.
Maggiore occupazione? E a che servirebbe se non
crescono gli stipendi per poter sfamare più bocche? Quale
occupazione se tantissimi tipi di lavoro ormai non li vuole
fare più nessun italiano. Pensi che esistano ancora
gli italiani disposti a fare i braccianti agricoli, a
raccogliere i pomodori? Costo del lavoro più alto
significa prodotti più cari…
Il sintema
consumistico induce bisogni e rende obsoleto ciò che appena
ieri sembrava l’ultimo ritrovato della tecnica.
Bisogna consumare per far posto ai nuovi prodotti… Il
sistema consumistico-produttivo genera insoddisfazione: solo
se sarai costantemente insoddisfatto sarai un buon
consumatore.
Un sistema economico è come un
organismo: ha bisogno di assumere alimento per svolgere le
funzioni del metabolismo e le attività lavorative, ma non
ha senso assumere più di quel che serve… tanto poi con
una corsetta si smaltisce l’eccesso di cibo.
Il nostro sistema economico è basato su una capacità
produttiva superiore alle necessità; quindi bisogna indurre
i consumi per mantenere la produzione, e con essa
l’occupazione, in una corsa senza fine dove ciascuno di
noi diventa un “prodotto”: cogito ergo sum è divenuto
consumo ergo sum.
Riguardo alla questione della
diagnosi pre-impianto, ho affermato che ci sono delle
probabilità; che il momento in cui si effettua una diagnosi
può avere un peso in una direzione come in un’altra.
Ho ipotizzato che una diagnosi di malformazione possa
portare alla decisione di non procedere con l’impianto,
come a una decisione di procedere comunque. In questa
seconda ipotesi può anche capitare che ci sia un
ripensamento; ovvero, quel che prima era stato valutato come
ininfluente rispetto alla volontà di avere un figlio,
adesso, nel corso della gravidanza, potrebbe determinare uno
stato di sofferenza, inadeguatezza, angoscia… che induce
all’aborto. Ritengo, pertanto, che la valutazione
debba essere effettuata dal soggetto interessato, poiché
non esistono criteri oggettivi ma solo condizioni
soggettive.
Inutile esporre al rischio di un
aborto, se c’è la possibilità di anticipare il momento
della valutazione. Anche l’effetto gravidanza è
relativo e dipende dal soggetto, come dimostra il fatto che
non tutte le donne vivono con la stessa sofferenza e
intensità l’evento abortivo (spontaneo o provocato).
Se è una questione di coscienza e responsabilità
individuale, come anche tu mi sembra affermi, allora il
prima o il dopo è scarsamente rilevante e sarà il soggetto
interessato a dare rilevanza al momento. Perché
provocare il momento della gravidanza, per poi ritenerlo
idoneo per una decisione? Esiste forse un modo univoco
di vivere la gravidanza? Esistono dei criteri
oggettivi per misurare “l’effetto gravidanza”? O
questo effetto, se esiste, è squisitamente personale?
La “scorciatoia divorzista” non l’ho capita.
Certo esiste il margine di errore (il
riferimento al software era solo un esempio, evidentemente
infelice, per rappresentare l’infondata attesa di
“esattezza” che talvolta abbiamo) ma non possiamo
stabilire aprioristicamente processi combinatori… Non
siamo macchine e non c’è una “risposta” attesa che ci
consenta di stabilire chi ha risposto bene e chi male.
Ciascuno di noi, posto di fronte a una diagnosi, a una
valutazione di probabilità di successo di un intervento, a
una valutazione di rischio… valuta con la propria cultura
e sensibilità, con la propria propensione al rischio cosa
è più opportuno fare.
L’esempio di una
probabilità di malformazione del 10% non regge se siamo di
fronte a una gravidanza in atto; in tale ipotesi vale quanto
previsto per legge: o c’è una previsione di patologia
(nei primi tre mesi) o c’è l’accertamento di processi
patologici (dopo i primi tre mesi); in entrambi i casi deve
esserci pericolo per la salute fisica o psichica della
donna. La previsione o l’accertamento dei processi
patologici è certificato dal personale medico, con le
modalità previste dalla legge e dai protocolli sanitari.
Se invece siamo nel campo della diagnosi pre-impianto
sarà la donna a valutare, con l’ausilio del personale
medico, con la propria cultura, sensibilità…
Le valutazioni e le decisioni non possono che essere
soggettive e personali.
Comunque, non vanno
confusi i test o le analisi quantitative con gli
accertamenti diagnostici. L’analisi quantitativa
procede per approssimazione e stabilisce se siamo
all’interno di una determinata forchetta considerata nella
norma. L’accertamento diagnostico invece individua
se c’è o non c’è una determinata patologia. In questo
caso l’errore non è più di tipo quantitativo ma
qualitativo; non c’è più il rischio dell’errore
statistico, il margine di errore intrinseco in ogni
rilevamento e proprio di ogni macchinario, ma il rischio di
lettura e interpretazione sbagliata. Posso sbagliare a
leggere o a eseguire una TAC, una radiografia… ma questo
tipo di accertamento non mi restituisce una probabilità di
presenza di una frattura, per fare un esempio, ma la
rappresentazione di una realtà oggettiva che va
interpretata. L’errore dovuto a una interpretazione
sbagliata è in stretta relazione alla professionalità e
perizia del medico.
Le diagnosi pre-impianto
sono analisi che consentono di accertare la presenza di
alcune malattie genetiche o alterazioni cromosomiche
riscontrabili in una fase prematura dello sviluppo
embrionale (al massimo pochi giorni di vita); queste
diagnosi non si esprimono in termini probabilistici così
vaghi come tu prospetti, ma determinano se c’è o non
c’è presenza di “errori” genetici o di alterazioni.
Se poi l'errore genetico c’è e non è stato visto o
non c’è ed è stato individuato, siamo nel campo
dell’errore tout court.
La diagnosi genetica
pre-impianto è un’alternativa al rischio di ricorrere a
quello che impropriamente è definito aborto terapeutico.
Personalmente preferisco che sia data al soggetto
interessato la possibilità di stoppare tutto a una fase
prematura dello sviluppo piuttosto che rischiare un aborto
in una fase decisamente più avanzata dello sviluppo.
8 aprile 2009 0:00 - alfonso scala lombardo
Dall'intervento di Donvito da quelli tuoi,Sergio,e da
quelli di Ipsilon, traggo molti motivi di riflessione.Sono
argomenti complessi e densi che dimostrano come
l'intelligenza sia ancora viva e vigorosa da qualche
parte.E'attraverso una dialettica simileche tutto il
forum si solleva dal marasma nel quale versano tanti blog
dove si perde tempo a inseguire il sesso degli angeli, nel
migliore dei casi. Complimenti e grazie. Un cordiale saluto.
8 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Un sacco di carne al fuoco su cui riflettere.
Sentenza. Riflettiamo sul principio che genera la norma. La
realizzazione di una persona avviene anche attraverso la
procreazione. Ok? (da cui parte la motivazione della
sentenza, o sbaglio? Da cui poi si dipana il discorso sulla
lealtà e che porta a riconsiderare le colpe della
separazione.) Quindi la procreazione non è solo produrre
braccia per i campi. E la tua interpretazione che deriva da
mussoliniana memoria non regge. Altrimenti la questione
immigrazione sarebbe stata toccata. Si stava
"attaccando" l'aspetto procreativo e il valore
umano che esso comporta, e questo non lo accetto.
Questione famiglia. Non sono un sostenitore del
"nazionalismo", eppure vedo pericoloso il tuo modo
di intendere la questione. In particolare mi fa un certo
effetto una tua frase ("ma la popolazione mondiale
cresce a ritmi notevoli vanificando ogni positività che la
crescita economica può determinare nel miglioramento delle
condizioni di vita"). Ritieni quindi che una politica
di controllo delle nascite, ancche se non autoritaria come
l'esempio cinese, possa configurarsi come un intervento
lecito a favore dello sviluppo economico di realtà, evinco
dai tuoi esempi successivi, del cosiddetto terzo mondo?
Credo che questo sia decisamente pericoloso. La
trasformazione sociale che ci ha portato al modello di
famiglia mononucleare è, senza dubbio storico, il boom
economico, che ci ha traghettati a uno stile di vita
consumistico. Siamo sicuri che indirizzare i paesi emergenti
a codesto stile di vita sia la strada per il loro progresso
economico o è anche un modo di "aprire nuovi
mercati" alle potenze odierne? Il tema è
particolarmente delicato in questa fase di recessione della
domanda. Leggevo un paio di mesi fa su un giornale
britannico un'inchiesta riguardante lo stile di vita
cinese e la sua influenza sul ritmo di crescita di questa
economia. Il risultato, riassumo, è che il popolo cinese
non ha (ancora?) il "bisogno consumistico" che ha
modellato la società occidentale.
Mi preoccupa,
inoltre, la tua lettura delle forme di sostegno delle
maternità. Credi che il procreare sia unicamente un bisogno
indotto? Leggi l'assegno in sostegno ai nuovi nati come
un *incentivo* alla procreazione o come un modo per
permettere di avere uno o più figli alle famiglie che ne
sentissero il bisogno? Lo trovo quanto mai importante
soprattutto se consideriamo come l'innalzarsi del
livello di istruzione ha portato a un generale innalzamento
dell'età della prima maternità/paternità. Ora il
divenire madre e/o padre è compresso, per motivi biologici,
in uno spazio temporale ristretto rispetto agli anni
'80. E in questi anni le spese si sommano, prima fra
tutte il mutuo... Una qualsiasi forma di sussidio è bene
accetta e, a mio parere, va incoraggiata, senza cadere
nell'errore che tu hai fatto di giudicarla come un
incentivo... Non c'è un "rischio pochi
figli", c'è il rischio che una delle aspirazioni
di un essere umano venga repressa per motivi economici,
portando a una non-realizzazione dello stesso.
E
non credo che le motivazioni "contro" le unioni di
fatto (perché è questo a cui si riferiva
nell'articolo) si possano ricondurre a un mancato
aumento demografico. Piuttosto esse comportano un
cambiamento sociale che non comprendiamo, che deve essere
attentamente soppesato e valutato... non dovrebbe essere un
tema sfruttato da una parte politica (in un senso o
nell'altro) per riscuotere consensi elettorali.
"Cosa sarebbe l’Italia se la popolazione
nazionale fosse cresciuta con il ritmo del resto del
mondo?" Credo che non ci sia dato saperlo. Avere
60 milioni di abitanti invece che 140-160? Ringiovanimento
della popolazione? Un sistema pensionistico più bilanciato?
Maggiore occupazione (tutti 'sti bambini genereranno
pure un po' di domanda...)? Come vedi le risposte
potrebbero essere molte, alcune porterebbero a uno scenario
di povertà, alcune a uno scenario di sostanziale
benessere... Comprendere l'evoluzione di un sistema
complesso nell'arco di molti anni è sicuramente una
cosa che NON possiamo fare (vedi butterfly effect). E quindi
non speculare su uno scenario che ti fa comodo, è
assolutamente arbitrario.
Riguardo
all'impianto di 3 embrioni per legge non mi sento di
poter rispondere (non conosco la situazione a sufficienza e
credo che a riguardo ci si stia ponendo delle domande
"ai piani alti"). Ma non leggo la diagnosi
post-impianto come una versione moderna del partorirai con
dolore. Ribadisco: l'essere in gravidanza è un fattore
determinante (come hai detto anche tu) nella scelta di
proseguire o interrompere. Questo per tutti i motivi che ho
già esposto. Nella tua esposizione confondi due piani. Dici
che "e' probabile che sia più facile assumere una
decisione drastica in fase pre impianto... gravidanza;"
e, di conseguenza affermi come, nella maggioranza dei casi,
la decisione drastica sia più facile con la diagnosi
pre-impianto. Ma poi continui dicendo "allo stesso modo
può verificarsi ... angoscia", cioè che può
succedere anche il contrario. Ma questo è implicito in
quanto avevi detto prima! Non sono ipotesi irrilevanti:
essa, inquanto è una sola, va a fotografare una plausibile
e consistente deviazione del comportamento (anche qui, in
psicologia sociale, non solo in medicina, la statistica ci
aiuta) e, di conseguenza, implica il meccanismo di selezione
eugenetica. Credo che anche l'autodeterminazione
dovrebbe avere dei limiti (non imposti per legge) derivanti
dalla coscienza e dalla valutazione personale
dell'individuo. Trovo quindi giusto che la decisione di
non portare a termine una gravidanza possa venire presa, ma
non trovo corretto il poterla prendere PRIMA di essere in
gravidanza. E allo stesso modo e per lo stesso motivo reputo
sbagliata la "scorciatoia divorzista" che
l'articolo auspica.
Non credo che la
procreazione medicalmente assistita sia da intendersi come
una risposta al diritto alla salute. Piuttosto come una
risposta a un bisogno legittimo di una persona. E credo che
chi decide di percorrere tale difficile strada non lo faccia
solo per un capriccio (per lo meno, nella maggioranza dei
casi).
Temo di non aver capito il tuo capoverso
conclusivo. Io sono partito dal presupposto che tutti i test
diagnostici hanno un margine di errore. E credo che sia un
presupposto che condividiamo. (Perché tirare in ballo il
software? I casi sono ben diversi: da una parte abbiamo un
oggetto complesso, il software, che, per questioni
economiche, accettiamo sia impreciso, che sia
un'approssimazione del comportamento atteso. Comunque
comprendiamo e possiamo gestire senza problemi il modello
computazionale sottostante. Cioè possiamo fare inferenze
certe sulle proprietà esibite dal sistema. Dall'altra
parte abbiamo un modello computazionale, perché no? alla
fine i processi biologici che stanno alla base del nostro
funzionamento non sono processi di trasformazione
dell'informazione?, che cerchiamo di capire in base alle
risposte che fornisce ai nostri stimoli. In questo caso,
ogni inferenza è, per forza di cose, probabilistica.)
Partendo da questo presupposto, cioè dall'errore
intrinseco del testo diagnostico, mi chiedo: come si combina
tale errore, nelle valutazioni personali e soggettive
dell'aspirante madre, con il momento temporale in cui la
diagnosi è stata fatta? Cioè, se ci sono 10 probabilità
su 100 che il nasciuturo sia affetto da una data
malformazione, ovviamente supponendo che questa comporti
rischi di salute, qual'è la scelta della madre se (1)
l'embrione non è stato impiantato o (2) l'embrione
è stato impiantato? E non sto parlando di proibirne
l'eventuale aborto successivo...
7 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, le sentenze non andrebbero mai piegate su una
convinzione etica o ideologica, ma assunte per quel che
rappresentano: l’applicazione concreta delle leggi e dei
valori giuridici in esse espressi.
La sentenza di
cui discutiamo ha riconfermato che ciascun individuo può
avere una aspirazione alla genitorialità e quindi non è
leale nascondere al coniuge la propria condizione di
infertilità, come non è leale tradire il coniuge.
Poiché entrambi i coniugi sono venuti meno al dovere di
lealtà e di fedeltà, un nuovo processo dovrà accertare il
livello di responsabilità di ciascun coniuge nella
separazione.
La procreazione è una delle
finalità del matrimonio, ma non è necessario il matrimonio
per procreare; né è essenziale la procreazione per la
validità del matrimonio: il matrimonio non viene meno se
non si mettono al mondo figli, nemmeno per il diritto
canonico. Anche il diritto canonico considera la impotentia
coeundi una causa di nullità del matrimonio mentre così
non è per la impotentia generandi. Quel che la
sentenza giustamente mette in risalto è il dovere di
rispettare le aspirazioni e il diritto di realizzazione del
coniuge. I giudici sono intervenuti sul concetto di
colpa nella separazione: il tradimento può essere causa di
colpa ma se anche l’altro coniuge ha violato il principio
di lealtà, che dovrebbe caratterizzare l’unione
coniugale, allora le responsabilità vanno accertate.
La frase “procreare braccia per i campi”, che tu
contesti, va a mio avviso (ma non sono nella testa
dell’autore che ha scelto queste parole) interpretata come
una semplificazione polemica per mettere in risalto un
atteggiamento culturale, ancora diffuso, che sembra ignorare
le trasformazioni sociali degli ultimi decenni e una
dimensione planetaria dei problemi demografici.
L’espressione “braccia per i campi” rievoca la
politica d’incremento demografico di mussoliniana memoria.
Politica che è cambiata nei toni ma non nella
sostanza. Facile a chiunque constatarlo ascoltando sul tema
i tanti interventi di esponenti politici che sembrano non
essersi accorti che gli italiani mettono al mondo pochi
figli ma la popolazione mondiale cresce a ritmi notevoli
vanificando ogni positività che la crescita economica può
determinare nel miglioramento delle condizioni di vita.
Basti osservare come, soprattutto in Italia ma anche altrove
non si scherza, il tema del controllo delle nascite sia
ancora un tabù; e laddove non lo è viene affrontato in
modi autoritari e discriminatori (penso alla Cina e
all’India).
Dalla famiglia patriarcale, tipica
di una società agricola, siamo passati in breve tempo alla
famiglia mono-nucleare tipica della società industriale e
post-industriale; il costo della vita è cambiato e spesso
per vivere una famiglia ha bisogno di due stipendi; lo stile
di vita è profondamente mutato, così come i bisogni
individuali. Eppure ancora oggi si presenta come un
pericolo per il futuro il fatto che gli italiani facciano
pochi figli, come se il mondo non fosse pieno di figli e
come se non esistessero i milioni di disperati che premono
alle nostre frontiere.
Dalla metà del secolo
scorso l’Italia è passata da circa 48milioni agli attuali
circa 60milioni. Dal 1950 a oggi il Kenya è passato
da 6milioni a 40. L’Etiopia da 20 a 88.
L’Egitto da 21 a 85. Il Marocco da 9 a 35. La
Nigeria da 31 a 150. Il Senegal da 3 a 13. Il
Sudan da 8 a 41. Il Brasile da 53 a 200. Il
Messico da 28 a 112. L’Indonesia da 82 a 242.
L’Iran da 16 a 64. L’Iraq da 5 a 29.
L’Africa da 230 a oltre 1000, nonostante le guerre, le
carestie, le epidemie. Nello stesso periodo tutto il
continente americano è passato da 330milioni a 935 (e gli
USA da 152 a 308). Il mondo da 2550 a 6800.
Cosa sarebbe l’Italia se la popolazione nazionale fosse
cresciuta con il ritmo del resto del mondo?
Con
questi numeri, e i problemi che portano con sé, vogliamo
ancora ragionare secondo i vetusti criteri della
nazionalità? Siamo sicuri che l’incremento delle
nascite sia un fattore di crescita (come si continua a
ripetere)?
Ecco, credo che quella frase polemica
(infelice ma efficace, che contesti, giustamente) “braccia
per i campi” racchiuda l’enormità di un problema che è
tabù affrontare…
Passando dalla dimensione
planetaria alla più modesta situazione nazionale, a quale
logica risponde disciplinare per legge l’impianto
contemporaneo, in misura non superiore a tre, degli ovuli
fecondati? A quale logica risponde il divieto di
analisi pre-impianto? Ha tutta l’aria di essere una
disposizione punitiva: vuoi a tutti i costi un figlio?
allora accetta il rischio di una gravidanza multipla e
beccati quel che viene; se poi c’è qualche problema
ricorrerai dopo all’aborto. Una versione moderna del
partorirai con dolore?
Il criterio quantitativo
diffuso in passato è stato in buona parte superato dalla
consapevolezza genitoriale: più attenzione nel mettere al
mondo i figli, più consapevolezza dei diritti dei nuovi
nati (cosa impensabile appena pochi anni fa). L’alta
mortalità infantile, ma non solo questa, induceva a elevata
procreazione e quest’ultima rispondeva anche a criteri
economici di aiuto nei lavori domestici e nei campi.
Anche questa lettura di un decorso storico del costume
sociale è contenuto in quella frase “braccia per i
campi”.
Il nostro stile di vita, il
moltiplicarsi delle “forme famiglia”, il superamento
della cultura “proprietaria” dei figli… hanno prodotto
un nuovo modo d’intendere la genitorialità. Ieri si
disciplinava, o meglio si proibiva, l’utilizzo di pratiche
contro la procreazione (gli anticoncezionali erano
proibiti); oggi, considerato tutto ciò, ha ancora senso
parlare insistentemente di un “rischio pochi figli”?
E così dobbiamo sorbirci le ideuzze dei bonus bebè o
gli assegni per i neonati purchè siano italiani doc.
Ho ben presenti i problemi etici della tutela
dell’embrione, ma bisogna bilanciare queste esigenze con
quelle dei già nati, credo che la cosa più “giusta” da
fare sia lasciare la scelta a ogni singola coscienza, come a
ogni singola coscienza lasciamo l’utilizzo della facoltà
naturale di procreare. Credo sia necessario far leva
sul principio di responsabilità; poco efficace, invece,
ricorrere alle imposizioni di legge.
“La
valutazione delle criticità di una malformazione” compete
al medico sul piano tecnico-scientifico, ai genitori, e in
particolar modo alla madre, sul piano umano e individuale.
E’ una valutazione che parte da un dato oggettivo
(un responso clinico), ma è nella dimensione soggettiva che
acquista tutta la sua portata umana.
Il momento
in cui si verifica la diagnosi può avere un’influenza sul
soggetto? E’ probabile che sia più facile assumere
una decisione drastica in fase pre-impianto rispetto a una
fase avanzata di gravidanza; allo stesso modo può
verificarsi che si decida di dare seguito all’impianto
dell’ovulo fecondato accettando quel che “Dio ci ha
donato”… ma poi subentri uno stato d’ansia e di
angoscia… Tutte le ipotesi sono possibili, ma sono
irrilevanti: non possiamo stabilire criteri oggettivi di
valutazione, aldilà del dato clinico. E dal momento
che proibendo la diagnosi pre-impianto non si può allo
stesso tempo vietare l’accesso a quanto disposto per legge
in materia di interruzione volontaria d gravidanza, trovo
più umano e più rispettoso del diritto di
auto-determinazione lasciare alla donna e alla coppia la
decisione di verificare lo “stato” dell’embrione,
assumendo le decisioni che ritengono più adeguate.
Se vuoi un mio punto di vista, ma vale solo per me e
non mi sognerei mai d’imporlo ad altri, sono contrario a
ogni tecnica di fecondazione assistita e a ogni terapia
invasiva contro l’infertilità, poiché non considero
l’infertilità una “malattia” ma un dato naturale. Non
mi appartiene la cultura che considera “malattia” ciò
che devia da un dato statisticamente maggioritario. Se
un individuo vive con malessere e sofferenza la condizione
d’infertilità, potrà essere giusto (per lui) percorrere
le strade offerte dalla scienza e dalla tecnica;
personalmente, mi chiederei quanto questa sofferenza sia il
frutto di un condizionamento socio-culturale e quanto
rifletta pienamente un bisogno personale. Ma qui, come vedi,
sconfiniamo nella filosofia e nella concezione personale
della vita.
Infine, la medicina non ci offre
sicurezza al 100%; la medicina si basa su un dato
statistico; il cuore non si trova in un determinato posto,
ma solitamente si trova in una determinata posizione; la
mano solitamente ha 5 dita, gli occhi solitamente sono due,
i reni solitamente sono due… Il concetto stesso di
normalità esprime una rilevanza statistica. Nessun
esame diagnostico è preciso al 100%. Come non esiste un
software perfetto, ma solo un software che ha risposto in
modo corretto a “n” input. Bisogna stare attenti a non
trasformare le semplificazioni linguistiche e concettuali
(dovute a un biologico “risparmio di energia”) in
“verità”. Inutile cercare nella scienza e nella
tecnica certezze assolute: probabilmente non esistono.
6 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Assolutamente. La mia "semplificazione" non voleva
porsi come base per ulteriori speculazioni a riguardo.
Tuttavia, mi pare che la stessa sentenza si possa
considerare come un esempio attuale del riconoscimento
dell'importanza dell'aspetto procreativo del
matrimonio. L'articolo in questione, invece, rigetta
l'importanza di questo elemento all'interno
dell'unione matrimoniale. Ed è questo che volevo/ho
voluto contestare. Condividi con me il fatto che tale
sentenza ribadisce l'importanza della procreazione
all'interno del matrimonio per un fine diverso dal
produrre forza lavoro per la società?
La mia
domanda sulla diagnosi pre-impianto non è malposta,
bensi' ha ottenuto lo scopo per cui era stata scritta.
La valutazione delle criticità di una malformazione, come
tu stesso hai detto, prende in considerazione lo stato
psico-fisico della donna. Credi che la valutazione dello
stesso stato possa essere influenzata dal fatto che
l'embrione sia stato già impiantato o meno? Cerco di
spiegarmi meglio. Supponiamo che a un dato embrione sia
possibile diagnosticare una data malformazione, grave ma che
comporta un aggravio contenuto al rischio di salute
dell'aspirante madre. Ora immaginiamo due scenari
differenti: (a) la diagnosi è stata fatta prima
dell'impianto o (b) la diagnosi è stata fatta dopo
l'impianto in utero. Personalmente penso che, sia più
probabile incontrare una madre che decide di continuare la
gravidanza (scenario (b)) piuttosto che trovare
un'aspirante madre disposta ad accettare l'impianto
dell'embrione (scenario (a)). Questo, naturalmente,
nella già esplicitata ipotesi di un contenuto aggravvio del
rischio di salute della madre. E' a questo punto che
sorge una forma di selezione eugenetica: date patologie
risulterebbero più rare se la loro diagnosi viene fatta
pre-impianto rispetto al caso di concepimento naturale.
Sarebbe solo una forma blanda di selezione? Ciò non ne
cambia la sostanza. Ritengo quindi non-illogico impedire la
diagnosi pre-impianto in quanto l'essere in gravidanza
è un fattore fondamentale nella valutazione clinica.
Inoltre le mie ultime due domande si riferiscono al potere
predittivo di suddetti test diagnostici. Non è
scientificamente possibile aspettarsi un potere predittivo
del 100% in senso positivo e in senso negativo (nemmeno per
test ripetuti) soprattutto compiendo tali test in uno stadio
così "anticipato". Come possono influenzare il
giudizio della donna e dei medici questi margini di errore?
Non risulterebbe determinante la variabile "essere in
gravidanza/decidere di iniziarne una nuova"? Io credo
di sì... E siamo sicuri che, alla fine, quello che si è
andato a tutelare è la salute della donna? O ci stiamo
avvicinando a tutelare il desiderio di un figlio sano? (Non
che non sia legittimo, ma tutelarlo per legge esporrebbe a
dei rischi).
Concludo ringraziandoti, a margine,
per la pacata e piacevole discussione.
6 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, ho espresso alcune precisazioni sula sentenza
(e mi riferisco al testo e non a notizie di agenzia; se vuoi
leggere le motivazioni della sentenza, trovi il testo a
questo indirizzo
http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=88
022&idCat=75) perché da quanto tu scrivi sembrerebbe che la
Cassazione abbia respinto la responsabilità della
separazione a carico delal moglie solo perché "il
marito non era in grado di procreare" (così tu
scrivi). La sentenza di cassazione è, meno male, un
tantino più complessa e di questa complessità ho voluto
dare informazione per evitare semplificazioni
pericolose.
Riguardo alle diagnosi pre-impianto,
ho precisato che è assurdo proibirle dal momento che a
gravidanza in atto (quindi a trasferimento dell'ovulo
fecondato avvenuto) nulla vieta alla donna di procedere con
tutte le analisi che dovesse ritenere opportune e nel caso
dovesse appurare che ci sono delle malformazioni (o
semplicemente il rischio di malformazioni) avvalersi di
quanto previsto dalla 184.
Riguardo alle tue
ulteriori domande ("tutte le malformazioni del feto che
possono essere pregiudizievoli della salute della madre sono
diagnosticabili prima dell'impianto? Che ruolo ha lo
svolgimento della gravidanza? Che sensibilità e che
specificità hanno i predetti test pre-impianto?"),
riguardo alla prima rispondo dicendoti che è mal posta.
Non esiste un elenco di malformazioni che sono
pregiudizievoli per la salute della madre ma ciò che conta
è lo stato fisico e\o psichico della donna, ovvero il suo
atteggiamento, equilibrio, la sua disponibilità o
possibilità o qualsiasi altro fattore soggettivo che
determina nella donna uno stato di malessere, di disagio
nell'affrontare una situazione alla quale non è o non
si sente preparata. Ovviamente, questo stato di sofferenza
è accertato nei modi previsti dalla legge. Aggiungo,
meno male che non c'è un elenco di malformazioni per le
quali è consentito a priori l'aborto. In questa ipotesi
si configurerebbe una vera e propria "selezione
eugenetica" per dispositivo di legge. Se una legge
consentisse, per esempio, l'aborto in caso di sindrome
di down e una donna decidesse di portare a termine la
gravidanza, ci troveremmo di fronte a un cittadino di serie
"B", cioè un cittadino che per disposizione di
legge poteva essere soppresso. Nel nostro ordinamento non
rileva invece la malformazione in sè ma lo stato
pschico\fisico della donna.
Alle altre due
domande, non rispondo perché non le ho comprese.
5 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Credo che la citazione della sentenza che hai fatto (o,
meglio, della solita notizia di agenzia) vada nella mia
stessa linea di pensiero: infatti viene precisamente
affermato "aspettative di armonica vita sessuale nella
sua proiezione verso la procreazione che costituisce una
dimensione fondamentale della persona e una delle finalità
del matrimonio". L'articolo, invece, *banalizzava*
ampiamente l'aspetto relativo alla procreazione
(affermando che è necessario per fornire "forza
lavoro"), ed è questo che contesto. Riguardo la
questione della diagnosi pre-impianto. Il rischio che
ravvedo è sempre quello di una manipolazione della
regolamentazione. Sono assolutamente d'accordo alla
difesa del diritto alla salute di ogni persona (e, per lo
stesso motivo, ritengo completamente insensato, come detto
nei miei interventi, riferirsi all'esempio derivante
dall'estero per legiferare). Mi piacerebbe capire una
cosa: tutte le malformazioni del feto che possono essere
pregiudizievoli della salute della madre sono
diagnosticabili prima dell'impianto? Che ruolo ha lo
svolgimento della gravidanza? Che sensibilità e che
specificità hanno i predetti test pre-impianto?
4 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, con le sentenze bisogna andarci cauti e soprattutto
prima di citarle bisogna leggerle.
La recente
sentenza 6697 di Cassazione ha accolto il ricorso della
donna, evidenziando che la donna "ha denunciato
l'omessa informazione da parte del marito, prima delle
nozze" dell'incapacità ad avere figli.
Un'omissione che per i giudici costituisce
"violazione dell'obbligo di lealtà" che
provoca "una lesione del diritto della donna
all'autonoma determinazione al matrimonio e alle
aspettative di armonica vita sessuale nella sua proiezione
verso la procreazione che costituisce una dimensione
fondamentale della persona e una delle finalità del
matrimonio". Perciò la Cassazione ha rinviato la
causa alla Corte d'Appello fiorentina con il compito di
"accertare se è stato leso il diritto della moglie di
realizzarsi pienamente nella famiglia e nella società come
donna e come madre, e quindi procedere ad una valutazione
complessiva del comportamento di entrambi i coniugi"
prima di stabilire di chi è la colpa della separazione.
Non trovo nulla di sconcertante o di innovativo in
questa sentenza che riconferma che al dovere di fedeltà si
affianca il dovere di lealtà. Che la procreazione sia
un aspetto fondante del contratto matrimoniale è una cosa
ovvia sia nel rito civile sia in quello religioso come
testimonia l'art. 147 cc, insieme ad altri articoli,
letto durante la cerimonia: "Il matrimonio impone ad
ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed
educare la prole tenendo conto delle capacità,
dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei
figli". I coniugi si impegnano a rispettare gli
articoli che regolano il matrimonio.
La diagnosi
delle malattie embrionali non è appannaggio della
procreazione medicalmente assistita. Nulla vieta ai
coniugi di procedere a tutti gli esami diagnostici che
dovessero ritenere opportuni nel corso della gravidanza o
prima per accertare eventuali rischi; al contrario, la legge
40 vieta gli esami pre-impianto. E ciò viola il
diritto alla salute della donna dal momento che la nostra
legislazione prevede la possibilità di ricorrere
all'interuzione volontaria di gravidanza nel caso una
eventuale malformazione del feto dovesse pregiudicare la
salute fisica e\o psichica della madre. Che senso ha
procedere per imperio di legge al'impianto di un ovulo
fecondato con malformazioni se poi a quella madre può
essere concesso di abortire? Non è più logico
fermarsi alla prima fase dello sviluppo embrionale piuttosto
che interrompere una gravidanza magari al sesto mese?
Attenzione poi a non cadere in un equivoco: la legge
non prevede la possibilità di abortire perché il feto è
malformato ma perché questa malformazione è, per
valutazione medica su richiesta della persona interessata,
considerata pregiudizievole per la salute della madre.
3 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Un'operazione di appendicite ha un risvolto sociale? E
un'operazione al fegato? E la nascita di un figlio? La
morte assistita di una persona? Ecco perché le ultime due
NECESSITANO di una legislazione mentre le prime due no... Il
motivo è molto semplice, e non può essere ignorato. Se poi
alcuni vogliono avvantaggiarsi di legislazioni differenti in
paesi differenti, che si spostino in tali paesi. Io, come
italiano, posso solo contribuire al dibattito in Italia non
in Svizzera, Thailandia o le isole Cayman.
3 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Vorrei anche sottolineare come, recentemente, la cassazione
ha ribadito l'elemento procreativo come elemento
fondamentale di un matrimonio, rigettando l'attribuzione
di responsabilità del divorzio alla moglie infedele in
quanto il marito non era in grado di procreare. Come vedete
la procreazione per la famiglia non è solo questione di
produrre braccia... Che tristezza comparare la procreazione
alla "coltivazione" di prodotti utili come futura
forza lavoro... Dove è lo spessore di questo articolo (se
tale si può chiamare)? Mi pare solo un'inneggiare al
"io faccio quel che voglio se non danneggio gli
altri!!". Siamo sicuri che sia la cosa migliore?
3 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Quale coppia che non ricorre alla fecondazione artificiale
vorrebbe il proprio figlio malato? Perché la diagnosi delle
malattie embrionali deve essere appannaggio della
fecondazione artificiale? Inoltre che senso ha
riferirsi alle legislazioni estere? Negli USA è permessa la
brevettabilità del software (con distorsioni enormi del
mercato): solo perché è possibile negli USA dovremmo
permettere la brevettabilità del software anche in Italia?
Perché allora, sempre sull'esempio statunitense, non
aboliamo il servizio sanitario pubblico e anche
l'istruzione universitaria pubblica? Cerchiamo di essere
seri e cerchiamo di fare un percorso di regolamentazione che
abbia come riferimento un insieme di valori (anche etici,
perché no? la dignita della persona si può ascrivere a
questa categoria) e non l'esempio dell'estero.
2 aprile 2009 0:00 - Avosso Raffaella
come al solito il governo sostiene di poter legiferare anche
su questioni delicate, come possono essere quelle con le
quali anche un esperto in materia (un medico appunto!!!)
trova difficoltà. perchè ogni persona è unica sul piano
personale e sanitario e, fin quando l'esercizio della
propria libertà non arreca danno ad altri, allora ciascuno
di noi dovrebbe essere lasciato libero di decidere per sè
stesso, per la propria vita, la propria morte, la propria
maternità e paternità. metter vincoli inutili è
un'offfesa alla professionalità del medico, una
umiliazione alle opportunità di chi è già stato meno
fotunato... un'attacco alla stabilità psicologica
dell'italiano medio, al quale viene spesso chiesto di
"pensare positivo". Ma come si fa, quando si ha un
governo che si intrufola nella tua vita e ti lascia sempre
meno libero di fare, di pensare, di informarsi
correttamente..??