Se mai avessimo avuto qualche dubbio gli ultimi eventi ci
hanno ancor più convinto: la lotta alla mafia in Sicilia
come in Calabria, ha chiuso per sempre. Basta con le
illusioni, stop alla ricerca di quella legalità perduta.
Tutto nella spazzatura alla faccia di coloro che sono morti
davvero per essersi opposti alla criminalità
organizzata invece che andarci a cena o fare impresa. A meno
che si accetti la situazione anomala come normale e si
decida di non fare chiarezza. E in quel caso allora è
giusto tenere tutti ai loro posti di comando come se nulla
fosse venuto a galla e via libera ai paladini illuminati che
si sentono testimoni del valore pratico e del valore
assoluto del sapere. Nessuna altra esperienza potrebbe
essere più viva, nè più trionfale. Che importa se le
domande che arrivano dalla piazza restano senza
risposta, se si parla di ombre o di incontri equivoci, di
verbali aggiustati e inquietanti complicità istituzionali?
Col tempo, abbiamo imparato come nessuno conosca la
psicologia della gente meglio dei cosiddetti professionisti
dell'antimafia che proprio per questa forza hanno
arruolato comunicatori in gamba in molti media. Un
libro non lo si nega a nessuno, figurarsi agli amici che
alla bisogna son sempre pronti a fare un articolo o regalare
un commento televisivo. Ma se la gente umile e semplice
abbandona questo genere di Antimafia e mette in soffitta una
lotta alla quale ha legato la sua esistenza pagandone pure
un prezzo altissimo, vuol dire davvero che qualcosa si
è incrinato in modo irreparabile. E allora chiediamoci di
chi è la colpa: della lotta stessa o dei falsi idoli?