Gentile Sig. Leo Miceli, Grazie per averci
scritto.
non sono di accordo con Lei, sul fatto
che il pensiero cattolico ,e la cultura della chiesa che sta
accompagnando l'occidente o buona sua parte da 20
secoli, abbia dato frutti buoni, sono convintissimo
dell'esatto opposto. Le chiedo allora perchè Lei
nega i diritti previ alle persone quando si trovano allo
stato embrionale? Noi riteniamo che , e lo accetta
universalmente la dottrina giurisprudenziale, che fino alla
nascita cioe’ l’espulsione all’esterno, quella vita
pur persona con una sua identita’ biologica, e sicuramente
emotiva e psichica, appartenga solo alla donna che lo porta
in grembo, non voler ammettere tale concetto,negarlo, e’
la culturizzazione cattolica di voler a tutti i costi,
relegare la donna a “buco da inseminare”.,
Difatti, la buona legge 194, relega la volontarieta’ della
donna entro 90 giorni, quando io suppongo, sara’ molto
difficile per la futura scienza, provare che, un feto cosi
prematuro, abbia emozioni, pensieri…. Cosa che ha gia’
um bimbo dal 5 mese in avanti. La legge, vieta gli
aborti dopo il 90 giorno di gestazione, salvo ovviamente i
pericoli di vita della gestante, e questo perche’ prevale
nella giurisprudenza il fatto che il nascituro e’
individuo subito dopo l’espulsione del parto. Anche
io da padre, preferirei morisse quel sfortunato mio futuro
figlio che deve ancora nascere, che mia moglie, e Lei,
signor Leo? Perchè Lei ritiene lecito, perdoni se
sbaglio, sperimentare sugli embrioni? Signor Leo,
perche’ Lei si lascia condizionare dai pensieri
clericali? Gli embrioni sono tessuti umani e basta, se
si vuole sostenere che e’ vita, Le do ragione, come e’
anche vita il batterio, il virus, e la singola cellula di
miliardi che compongono il nostro corpo, e’ lo scambio
con la madre, che permettte quelle cellule di divenire
uomo, ma a quello stadio uomo non e’. Se quindi studiare
su quelle cellule non uomo, puo’ portare benefici, nessuno
ne soffre, al contrario di cavie, animali che ogni giorno
soffrono per gli esperimenti sulla funzinalita’ dei
farmaci, della quale l’occidente si ingoza. Il
discorso sui brevetti, ancora e’ molto piu’ complesso,
ma non intacca i concetti sopradetti. Ancora l’Aduc
non esclude proprio niente, ma non si lasci infinocchiare
da quei falsi salvatori di anime, che vogliono
sostenere,ignoranti come sono, che l’embione e’ vita, ma
vita di cosa, cosa significa? E’ solo una
strumentalizzazione che serve a portare avanti il loro
progetto di circoscrivere il pensiero, e l’avanzare
dell’umanita e della scienza, lo fanno da secoli senza
riuscirci, cosi come non riusciranno ancora una volta, se
Dio esiste, questi signori dal color porpora, dimenticano
che e’ stato creato libero. Libero. Ora se una
civiltà non assicura il primo dei diritti "quello a
nascere" quali diritti vorrà illudersi di
garantire? Non e’ affatto cosi’ signor Leo Miceli,
Lei ragiona, e da ampia prova di aver “subito” una lenta
ed inesorabile deformazione clericale, che e’ l’esatto
contrario, , e’ la sensibilita’ della donna, a decidere
se un feto ancora embrione debba divenire suo figlio, da
crescere bene,e da amare, non certo un errore tra le
lensuola. Mi spiace, capire che nell’Italia del terzo
millennio, ci siano ancora, situazioni di cosi’ grave
differenza di pensiero, sembra, che in molti,il tempo si
sia fermato,non sara’ l’effetto del Vaticano?
Cordialmente. Giuseppe Parisi
10 agosto 2009 0:00 - leo miceli
Sig. Parisi, mi permetto ancora. Sicuramente mi esprimo
poco chiaramente, se Lei pensa che il sottoscritto creda che
l'unica civiltà sia quella cattolica. Mi permetta però
di esprimere il pensiero che alla civiltà, il cattolicesimo
abbia dato e dia ancora di più forse oggi, un contributo
fondamentale. Inoltre Lei collabora con l'ADUC e
dice che l'associazione è impegnata su più fronti nei
diritti della PERSONA. Le chiedo allora perchè Lei
nega i diritti previ alle persone quando si trovano allo
stato embrionale? Tutti siamo stati allo stato
embrionale ed oggi siamo adulti (si spera). Perchè Lei
ritiene lecito, perdoni se sbaglio, sperimentare sugli
embrioni? Perchè quando ci confrontiamo via e-mail
svincola sempre il discorso sui brevetti? Non credo che
l'ADUC escluda la persona allo stato embrionale dai
diritti? Ora se una civiltà non assicura il primo dei
diritti "quello a nascere" quali diritti vorrà
illudersi di garantire? Ed a chi (ai sani, ai
selezionati)? Scusi per il poco tempo, grazie
ancora.
10 agosto 2009 0:00 - Il Cavaliere e le 10 tavole
Andrea Camilleri Dieci favole "politicamente
scorrette"...
Le favole politicamente
scorrette dedicate al Cavaliere d'Iliata dall'autore
del "Commissario Montalbano"
Gentilmente prelevate dal sito web:
http://www.manipulite.it/micromega
Indice
| Il bene pubblico | Faust 2001
| L'incorreggibile | I Vangeli dei due apostoli
| Gli scheletri | Favola vera | Il Cavaliere e la
Morte | Il Cavaliere e la mela | Il Cavaliere e la
volpe | Il pelo, non il vizio
Il bene pubblico
Mentre se ne
stava stinnicchiato al sole, al Cavaliere scappò un bisogno
urgente. Visto che la spiaggia era deserta,
s'arriparò darrè un cespuglio. In quel preciso
momento vide passare uno scrafaglio merdarolo che
faticosamente trascinava nella sua tana una pallina di
sterco. «Ti basterà per mangiare tutta
l'invernata», spiò il Cavaliere. «Non credo»,
arrispunnì lo scrafaglio. «Siamo tutti preoccupati.
Quest'anno, tra una cosa e l'altra, abbiamo
raccolto picca e nenti. Rischiamo tutti la fame». «Ci
sono qua io!», disse il Cavaliere. E fece il bisogno
suo. Sul quale si gettarono tutti gli scrafagli merdaroli
inneggiando alla generosità del Cavaliere.
Faust 2001
Un
giorno un signore quarantenne, agile, elegante, ben vestito,
capelli curatissimi, faccia tirata a lucido,
costosissima valigetta griffata in mano, riuscì a
farsi ricevere dal Cavaliere. A questi il visitatore fece
subito buona impressione: a prima vista, pareva il
tipico dirigente-manager del partito che aveva
fondato, poteva essere un buon acquisto in vista della
prossima campagna elettorale. «Desidera?»,
domandò il Cavaliere. «Io? Io niente», fece il
visitatore. «E' lei che desidera qualcosa da me».
Il Cavaliere s'irritò. Lui non aveva niente da
desiderare, avendo tutto. «Ci dev'essere un
equivoco», disse brusco. «Nessun equivoco, mi creda.
Lei, ieri sera, alle diciannove e tredici esatte, solo
nel suo bagno, guardandosi allo specchio ha pensato: Darei
qualsiasi cosa per riavere i miei capelli. Ed eccomi
qua a servirla». Senza dargli tempo di reagire, il
visitatore aprì la valigetta, ne trasse fuori una
dozzina di disegni e li posò sulla scrivania: in ognuno
d'essi, la testa del Cavaliere era incoronata da
una diversa, ma sempre foltissima, capigliatura: ora
riccioluta, ora liscia, ora a onde. «Scelga quella che
le piace di più. Il contratto ce l'ho qua già pronto.
Appena l'avrà firmato, si ritroverà in testa il
modello che desidera. E le garantisco anche che, fino
alla morte, non perderà più nemmeno un capello».
«Lei quale ditta rappresenta?», domandò il Cavaliere.
«Non rappresento altro che me stesso. Non ha ancora capito
chi sono?». Lo disse in modo tale che il Cavaliere
capì. Il visitatore era il Diavolo in persona. Dunque
tutto quello che aveva detto era vero. Bastava concludere il
patto e avrebbe riavuto i suoi capelli. «Quindi,
secondo la tradizione, lei vorrebbe in cambio la mia
anima», disse lentamente il Cavaliere. Il
visitatore lo guardò, leggermente stupito, ma non aprì
bocca. Il Cavaliere sospirò, ci pensò ancora un
momento, poi allungò la mano. «E va bene, firmiamo
questo contratto», fece. A quel punto il visitatore si
mise a sghignazzare. «La sua anima? Lei vorrebbe darmi
in contropartita la sua anima? Ma non lo sa che da
tempo non accettiamo più anime? Era un commercio che
piaceva a mio nonno, che andava sempre in perdita,
poveraccio, e piaceva ancora di più ai poeti che ci
ricamavano sopra». «E allora lei che cosa vuole in
cambio?». «L'ottantacinque per cento di tutto
quello che possiede, televisioni, aziende, giornali,
società, ville, tutto. Non è per niente esosa, la nostra
richiesta. Pensi alla figura che farà sui manifesti
elettorali, sicuramente vincerà la campagna».
«In questo caso, preferisco farmi ritoccare le
fotografie», disse il Cavaliere. E lo congedò.
L'incorreggibile
In sogno, Dio apparve al Cavaliere. Questi lo
riconobbe subito, perché il Signore era esattamente
come lo raffiguravano, col tunicone e la gran barba
bianca. «Sono venuto a trovarti», fece Dio, «per
farti capire come la tua smodata ambizione, la tua
inesauribile sete di potere siano assolutamente ridicole.
Anche se tu conquistassi l'universo intero,
resteresti sempre un nulla. L'universo, figlio
mio, è finito». «In che senso?», domandò il
Cavaliere. «Ora te lo spiego», rispose Dio.
«Immagina che io possegga una collezione di migliaia
e migliaia di bottiglie di champagne. Ne ho stappata una, e
quello che chiamate big bang non era altro che il
rumore del tappo che saltava, ho riempito un
bicchiere, e ora sto per berlo. Le stelle che i vostri
astronomi vedono nascere e morire sono semplicemente
le bollicine che si formano e scoppiano. E tu sei
dentro quel bicchiere e quel bicchiere è il tuo
universo. Ma appena avrò bevuto il mio champagne, il
vostro universo scomparirà. Hai capito?».
«Perfettamente», rispose il Cavaliere. «E quanto mi
verrebbe a costare questa vostra collezione?».
I Vangeli dei due
apostoli
Tra i moltissimi apostoli che diffusero,
con opere e azioni, il Verbo del Cavaliere, due,
Marcello e Cesare, furono anche gli autori dei Vangeli che
ancor oggi ci permettono di conoscerne e ammirarne la
sovrannaturale grandezza. Tra i due sacri testi
esistono, è vero, delle discrepanze che non inficiano però
la sostanziale verità del racconto. I due
concordano sull'episodio del dodicenne Cavaliere che,
assalito da alcuni facinorosi senza Fede detti
comunisti, li sgominò, novello Davide, lanciando loro
dei sassi e tutti colpendoli alla fronte perché la sua mano
era guidata dal Signore. Dissentono invece, ma solo
per un dettaglio, sul fatto che il Cavaliere avesse
camminato sulle acque, come Egli stesso confidò a un
ristretto gruppo di apostoli. Mentre Marcello
afferma che il Cavaliere disse: «Ho camminato sulle
acque», Cesare racconta che la frase esatta fu: «Ho
attraversato cattive acque». I due evangelisti invece
concordano, in tutto e per tutto, sul miracolo del
risveglio del giovinetto che, caduto in coma, tornò alla
coscienza udendo la voce del Cavaliere durante una
delle sue predicazioni. Marcello e Cesare perfettamente
concordano anche sul miracolo detto della
«conversione del Sinedrio». Portato dai nemici davanti al
Sinedrio per essere giudicato, il Cavaliere fu
accusato di colpe che mai aveva commesso e dovette
subire pesanti condanne. Ma, qualche tempo, dopo il
Cavaliere, aiutato dall'apostolo Cesare, riuscì a
incontrare a quattr'occhi i componenti del
Sinedrio e con loro lungamente parlò facendoli illuminare
dallo Spirito Santo. Alla fine non solo venne
proclamato mondo da ogni peccato, perfino da quello
originale, ma alcuni degli antichi persecutori presero a
seguirlo e diventarono suoi apostoli. I pochi reprobi
del Sinedrio che continuarono satanicamente ad
accusarlo ebbero vita breve e infelice. Particolare
curioso: i due evangelisti stranamente non fanno parola del
miracolo più clamoroso e conosciuto, quello della
moltiplicazione dei miliardi.
Gli scheletri
Un palermitano cedette
alle insistenze di un suo amico e andò a trovarlo nel
ridente paese del Nord Iliata dove questi viveva. Un giorno
stavano passeggiando in campagna quando l'amico,
indicandogli una villa lontana, disse: «Lì abita il
Cavaliere». E proprio in quel momento il terreno si
aprì e i due sprofondarono in una profondissima
buca. Non si fecero niente, ma capirono che sarebbe
stato impossibile risalire. Cominciarono a chiamare
aiuto, però nessuno accorreva. A un tratto il terreno si
smosse ancora e davanti a loro comparve
un'apertura che pareva l'entrata di una
galleria. Non avevano scelta, la varcarono. Era una
galleria infatti, lunghissima, e quel che videro li
atterrì. Lungo le pareti c'erano centinaia e
centinaia di scheletri, ognuno illuminato da una
piccola lampada. Principiarono a percorrerla, tremanti,
nel tanfo insopportabile perché ancora da qualche
osso pendevano lembi di carne marcia. Camminarono e
camminarono sotto lo sguardo delle occhiaie vuote e il
ghigno dei teschi. «Madonna santa, ma qua è peggio
che nella cripta dei Cappuccini!», balbettò il
palermitano. Allo stremo delle forze, dopo aver
percorso chilometri, videro una porta. Ansanti,
l'aprirono. E si trovarono in una lussuosissima camera
da letto. Sbalorditi, si voltarono a guardare da dove
erano venuti. Non avevano aperto una porta, ma le ante
dell'armadio del Cavaliere.
Favola vera
Eletto a furor di popolo
Presidente di tutto (della Repubblica, del Senato,
della Camera, del Consiglio) il Cavaliere riunì i suoi
ministri e disse: «Da tempo avevo preparato la
riforma della Costituzione. Prendete appunti. Il testo
l'ho già inviato alla Gazzetta Ufficiale».
Diligentemente, i ministri si munirono di carta e penna.
«Articolo 1», dettò il Presidente, «Iliata è una
Repubblica fondata sui lavori del Cavaliere». I
ministri annuirono. «Articolo 2», proseguì il
Presidente. «Il colore rosso, simbolo dell'odiato
comunismo, è dichiarato anticostituzionale e pertanto viene
abolito». «Come la mettiamo con le Ferrari?»,
domandò il ministro dell'Industria. «Non c'è
problema. Diventano azzurre», ribattè il Cavaliere.
«E con il Tricolore?», domandò a sua volta il ministro
della Difesa. «Rimane tricolore, ma al rosso si
sostituisce l'azzurro», fece seccamente il
Cavaliere. E via di questo passo. Furono stabilite
multe salatissime per chi, coinvolto in un qualsiasi
incidente, mostrava pubblicamente il rosso del suo
sangue, con i diserbanti si fecero sparire rose e fiori
rossi, la carne rossa non venne più messa in vendita
mentre il pesce azzurro fu portato alle stelle, l'unico
vino in commercio rimase quello bianco. Sommersi
da tutto quell'azzurro, gli Iliatani cominciarono ben
presto a soffrire di nostalgia del rosso, una
nostalgia che diventava di giorno in giorno sempre
più acuta. Si ebbero i primi attentati rivendicati dai Grar
(Gruppi rivoluzionari adoratori rosso). I
contrabbandieri facevano affari d'oro non con le
sigarette o i clandestini, ma con le scatole di sugo di
pomodoro, assolutamente proibite in Iliata.
Finché un mattino, dopo un violentissimo acquazzone,
apparve in cielo un gigantesco arcobaleno che coprì
l'intero paese. Il rosso di quell'arcobaleno non
era solamente un colore, ma un altissimo grido di
rivolta, deciso e terso. Quell'arcobaleno segnò,
sempre a furor di popolo, la fine del Cavaliere.
Il Cavaliere e la Morte
Il Cavaliere, girando campagne e campagne,
s'imbatté in una vecchia scheletrica, vestita di
nìvuro, con una lunga falce in mano. La riconobbe subito e
fece fare uno scarto al suo cavallo. «Schifosa
comunista!», murmuriò. La Morte era d'orecchio
fino e lo sentì. Si mise a ridere. «Tutte me le hanno
dette! Ma comunista mai! Si può sapere perché?». «E
chi è più comunista di te? Tu consideri tutti allo stesso
modo, ricchi e poveri, belli e brutti, re e pezzenti!
E questo non è giusto, gli uomini non sono eguali.
Io, per esempio, sono il Cavaliere, l'uomo più ricco di
questo paese, milioni di uomini mi ascoltano, mi
seguono...». «Basta, basta», l'interruppe la
Morte che non era né comunista né liberale, ma solo
una grandissima carogna, «mi hai convinto. Tu sei degno di
un trattamento speciale, avrò un occhio di riguardo.
Ti dico l'anno, il mese, il giorno, l'ora, il
minuto primo e il minuto secondo della tua morte». E
glielo disse, scomparendo. Il Cavaliere, paralizzato
dallo scanto e incapace di fare altro, cominciò a
contare i secondi che passavano, passavano, passavano,
passavano.
Il
Cavaliere e la mela
Quand'era picciliddro, e
quindi non ancora Cavaliere, il futuro Cavaliere vide
un compagnuccio che stava a mangiarsi una grossa mela.
Gliene venne gana irresistibile. Facendo finta di niente, si
accostò al compagnuccio, gli strappò la mela e la
pigliò a morsi. La zia monaca del futuro Cavaliere,
che era una santa fimmina, a quella scena aspramente
rimproverò il nipote. «Non sono stato io a rubare la
mela», ribatté il picciliddro continuando a dare
morsi al frutto. «La colpa è tutta del mio compagno che se
l'è lasciata rubare».
Il Cavaliere e la volpe
Nel paese
chiamato Iliata c'era un Cavaliere il quale ce
l'aveva a morte con la Volpe. Non passava giorno
che il Cavaliere, attraverso i suoi banditori che
erano tanti e ben pagati, non raccontasse le malvagità
della Volpe, ladra, invidiosa dei beni del Cavaliere e
sempre pronta a portarglieli via, ricettacolo
d'odio, spergiura, mentitrice, inaffidabile. E
tutto questo perché? Solo perché il pelame della Volpe era
rosso e il Cavaliere, assai più di un toro
nell'arena, inferociva appena vedeva quel
colore. Un giorno il Cavaliere, nascosto, vide che la
Volpe voleva mangiarsi un grosso grappolo d'uva
alta sopra un pergolato. La Volpe saltava e saltava con
tutte le sue forze, ma, per quanto si impegnasse allo
spasimo spiccando balzi sempre più alti, a un tratto
si fece persuasa che quel grappolo era, per lei,
irraggiungibile. «Perché sto qui a sprecare
energia?», si domandò. «Oltretutto sicuramente
quell'uva è troppo agra». E se ne andò. Il
Cavaliere, nel suo nascondiglio, immediatamente si convinse
che quell'uva era buonissima e che la Volpe aveva
detto che era agra solo perché non era riuscita a
prenderla. Così, avvicinatosi alla pergola, senza
manco scendere da cavallo, agguantò il grappolo e ne
fece un solo boccone. S'attossicò. L'uva era
veramente agra.
Il
pelo non il vizio
In Iliata ci fu un Cavaliere
che, in pochi anni, accumulò una fortuna immensa. Un
giorno alcuni magistrati cominciarono a interessarsi dei
suoi affari. E cominciarono a piovergli addosso accuse
di falso, corruzione, concussione, evasione fiscale e
altro ancora. Arrivarono le prime sentenze di condanna.
Il Cavaliere, attraverso i suoi giornali, le sue
televisioni, i suoi deputati (aveva fondato un
partito), scatenò una violenta campagna contro i magistrati
che indagavano su di lui accusandoli d'esercitare
una giustizia di parte. Lui stesso si definì un
perseguitato politico. Tanto fece e tanto disse che
molti iliatesi gli credettero. Poi un giorno (come
capita e capiterà a tutti), morì. Nell'aldilà
venne fatto trasìre in una càmmara disadorna. C'era un
tavolino malandato darrè il quale, sopra una seggia
di paglia, stava assittato un omino trasandato.
«Tu sei il Cavaliere?», spiò l'omino. «Mi
consenta», fece il Cavaliere irritato per quella
familiarità. «Mi dica prima di tutto chi è
lei». «Io sono il Giudice Supremo», disse a bassa
voce l'omino. «E io la ricuso!», gridò pronto il
Cavaliere che aveva perso tutto il pelo, la carne, le
ossa, ma non il vizio.
9 agosto 2009 0:00 - Anno del Signore 1009:Silvio Magno
Gasparri: ora un'indagine conoscitiva Ma l'ex
compagno di partito lo stoppa ROMA La pillola
abortiva crea crepe nel Pdl. Il presidente della Camera
Fini, infatti, rigetta la richiesta di un'indagine
conoscitiva del Parlamento sulla Ru486. «Trovo originale
pretendere che il Parlamento si debba pronunciare
sull’efficacia di un farmaco. Ognuno ha le sue opinioni,
anche io ho la mia, ma non è oggetto di dibattito politico.
Poi ci sono le linee guida del governo, si è pronunciata
l’Agenzia del farmaco, non vedo cosa c’entri il
Parlamento» dice la terza carica dello Stato. Le parola
dell'ex leader di An suonano come una bocciatura della
proposta di Gasparri, che spiega. «Ho grande rispetto per
le opinioni delle massime istituzioni dello Stato, ma
confermo che al Senato promuoverò iniziative di indagine
conoscitive sugli effetti della pillola Ru486 in Italia e
negli altri Paesi dove è stata già impiegata».
Insomma, il capogruppo dei senatori pidiellini ribadisce che
«non si può delegare a tecnici privi di legittimazione
democratica una decisione che attiene al diritto alla vita»
e ribatte al suo ex leader. «Il parlamento ha la
possibilità di svolgere attività ispettive e conoscitive
su ogni materia. E spesso si occupa di cose molto meno
importanti che il diritto alla vita, la corretta
applicazione della 194, e vicende delicate come quella della
Ru486. Del resto, proprio la Camera si è recentemente
occupata del problema dell’aborto e del diritto alla vita,
discutendo importanti mozioni». Con lui anche Quagliarello.
«Quel che non si può impedire è che il Parlamento attivi,
se crede, tutti gli strumenti conoscitivi e discuta in
merito alla compatibilità tra la tecnica della pillola
abortiva e l’applicazione della 194 che, non va
dimenticato, è una legge dello Stato in vigore».
Plaude a Fini, invece, l'ala liberale del partito.
«Sono un rappresentante del popolo, ma non mi ritengo
onnisciente. Rifuggo, perciò, la velleità di sostituirmi
al medico ed al farmacista, riguardo all’efficacia o agli
effetti collaterali di qualsivoglia farmaco, pillola
abortiva compresa» commenta Giancarlo Lehner.
In
serata arriva poi l’autorevole intervento di monsignor
Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia della
Vita: «I parlamentari - dice - sapranno trovare le
modalità per affrontare nelle sedi specifiche e secondo le
competenze di ognuno». «Mi rallegro senz’altro -
aggiunge - di quanto può essere fatto per mettere al riparo
la salute della donna e non lasciare che un dramma così
profondo la abbia a trovare completamente sola nel dover
affrontare una situazione così delicata». «Non si capisce
- conclude - come mai si sia intervenuti con molta urgenza
da parte dell’Aifa ad approvare la pillola quando
rimangono aperti molti interrogativi su di essa».
6 agosto 2009 0:00 - Giuseppe Parisi
Signor Leo Miceli, grazie per averci scritto. Non
e’ mia competenza, sostenere che tutto ilmale del mondo
venga dal Vaticano. Facendo il pubblicista, e
collaborando con una associazione seria come l’Aduc,
impegnata su piu’ fronti nei diritti della persona, mi
sento in dovere di riportare alcune considerazioni,
lasciandole in memoria ai futuri ed al prossimo. Sono
altresi contento, che Lei, si senta parte di questa Chiesa,
pur sapendo che, tale non brilla affatto,anzi… Anoi,
laici osservatori, appare sempre piu’ vuota di contenuti,
e distante dalla gente come Lei, forse emotivamente
ricca,ma …. Non possiamo esimerci di riportare,
tuttavia note non felici sul Vaticano proprio per il fatto,
che tali personaggi di color porpora, si eleggono a
conoscenza di tutto e di tutti, su tutto ognuna e ciascuna
cosa del mondo, come se la verita’ fosse solo la loro, ed
appartenesse solo a loro. Dimenticano volutamente, che
le cose che appartengono a loro, sono cosi odiose e
macabre, che la gente come Lei, signor Leo, fa finta di non
vedere, oppure, peggio, in nome del fondamentalismo tira
dritto ogni giorno recitando Ave Maria e Padre Nostro, con
le lettere maiuscole per rispetto dei credenti. Lasci a
gli altri, la liberta’ di sostenere che, tutto questo e’
pura follia della civilta’, e’ azione reazionaria, da
sistema teocratico fondamentalista,khomeinista , e la
qualcosa non significa sostenere che tutto il male venga
dal Vaticano-talebano . L’altra verita’ e’ che,
il Vaticano, fa dell’Italia Paese loro, dove tutto deve
essere creato a norma del pensiero e della Fede cattolica,
dimenticano che, l’Italia e’ un Paese laico, la sfortuna
di questo Paese e’ nella disinformazione e nella non
liberta’ dei mezzi di informazione mediatrica. Forse
l’uomo dimentica, che si puo’ anche vivere, anche senza
Dio, a prescindere da quale Dio si creda. Forse la
piu’ sensibile differenza tra me e Lei, signor Leo, sta’
proprio qui, sta proprio in questo, per Lei la civilta’
e’ solo quella cattolica, per me la civilta’ e’
l’uomo con la sua mente e, la sua carne, con le sue
debolezze,ma con la forza della natura, che rimane ampia,
creativa e soprattutto libera. Dio, rimane una
illusione della mente, che serve a far soffrire meno la
solitudine, alla quale, l’uomo si relega,
inerme,frustrato, insoddisfatto, ma soprattutto debole.
Lei la pensa diversamente, e’ questa diversita’ e’
genuina, sarebbe un grave disastro se tutti la pensassimo
alla medesima maniera, tuttavia entrambi dobremmo non
prevaricare,lasciando agli altri gli spazi di liberta’ di
pensiero, se la religione-confessione e’ insegnata alle
elementari, vuol dire che le cose non stanno affatto cosi,
signor Leo. Le ricordo che, ancora oggi in Cina, Paese
ampiamente comunista, e , anticattolico, ogni mattina,
nelle scuole elementari, i bambini sono costretti in piedi,
invece del Padre Nostro, recitano : Noi abbiamo il Nostro
Presidente” . Quando io , negli anni 60 ero alle
elementari, ogni mattina in piedi dovevo recitare il Padre
Nostro. Ho vissuto in un paese non libero,
bizzarro,reazionario e talebano. In Italia siamo ancora
all’anno zero, in termni di diritto, civilta’,
liberta’. Avrei desiderato cantare da bimbo , in
piedi alla mattina, l’inno di Mameli, avrei desiderato in
classe la bandiera d’Italia, e nei corridoi tutte le
bandiere d’Europa, ma avevo una enorme croce sulla testa
della maestra, forse anche brava, ma anche un po tonta,e
sicuramente molto bigotta. Cordialmente. Giuseppe
Parisi
6 agosto 2009 0:00 - leo miceli
Sig. Parisi, ancora una volta scrivo per dissentire da
Lei. Ai Nietzsche ed ai Wilde, preferisco un certo
Gesù di Nazaret. Sbaglio a pensare che Lei finisce
sempre per criticare presentando la Chiesa (Vaticano) quale
causa di ogni male nel mondo? Con rispetto Le dico che
il sottoscritto ama e si sente parte di questa Chiesa.
Accetto comunque di essere considerato da tanti (non si
creda poi originale in questo) causa del male presente nel
mondo. Grazie, saluti, buona giornata, leo miceli.
6 agosto 2009 0:00 - La
Paolo Guzzanti ROMA - "E' un gran porco".
L'ex senatore del Pdl Paolo Guzzanti non usa toni soft
per giudicare i comportamenti privati di Berlusconi.
"E' una persona che ha corrotto la femminilità
italiana schiudendo carriere impensabili a ragazze carine
che hanno imparato solo quanto sia importante darla alla
persona giusta al momento giusto - scrive sul suo blog
Guzzanti - sollecitate in questo anche dalle madri, quando
necessario". E tra verbali mai pubblicati e
"disgustosi contenuti" l'ex parlamentare del
Pdl tira in ballo anche il capo dello Stato le cui
sollecitazioni avrebbero impedito la pubblicazione delle
intercettazioni.
In serata le dichiarazioni di
Guzzanti diventano il caso del giorno, interviene perfino il
Quirinale. "E' assolutamente priva di fondamento
l'insinuazione, riferita dal sen. Paolo Guzzanti,
secondo la quale il Presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano, avrebbe sollecitato non si sa quali direttori di
giornali a non pubblicare taluni atti giudiziari che
sarebbero in loro possesso". Una smentita che il
senatore accoglie con "rispetto e piacere".
Ghedini, avvocato di Berlusconi, giudica di
"nessuna importanza" la vicenda: "Quelle
intercettazioni sono state distrutte". Ma sorvola sulle
critiche del suo ex compagno di partito.
Le
accuse di Guzzanti. Al parlamentare, padre dei comici Sabina
e Corrado, un tempo esponente di primo piano del Polo ed ex
vicedirettore del Giornale, si deve l'invenzione del
termine "mignottocrazia". Lo usò al culmine dello
scontro con il ministro Mara Carfagna quandò puntò il dito
contro le presunte "nomine di scambio". Dove la
merce di scambio sconfinava nel pettegolezzo sessuale. Da
allora Guzzanti non ha smesso di attaccare il premier su
questo tema. Sul quell'atteggiamento
"puttaniero" che "corrompe la gioventù e
mina il rispetto della donna". Il suo blog nel
pomeriggio è andato in tilt da troppi accessi e non
risultava raggiungibile. Ma il sito dell'Espresso ha
registrato tutti i contenuti.
Mesi fa,
intervistato da Repubblica.it, Guzzanti non si nascose
dietro le parole: "Siamo in presenza di un capo di
governo che è circondato da pettegolezzi a sfondo sessuale.
E questo è un danno per il Paese. Non faccio processi
sommari, ma Berlusconi ha fatto della sua sessualità un
evento politico e su questo, dicono anche alcuni del suo
partito, prima o poi potrebbe inciampare". E oggi
sferra un nuovo affondo contro il Cavaliere. Tirando in
ballo le intercettazioni sull'inchiesta di Napoli (poi
distrutte) che conterrebbero dialoghi a sfondo
esplicitamente sessuale che hanno il Cavaliere come
protagonista assoluto. Dialoghi di cui molto si è parlato
ma che non sono mai diventati pubblici.
"Un
famoso direttore...". Guzzanti, invece, riferisce di
voci "attendibili" che affermerebbero come
"un famoso direttore ha mostrato e fatto leggere a un
numero imprecisato di persone (deputati e deputate di Forza
Italia per lo più) i verbali che tutti i direttori di
giornale hanno, ma che avrebbero deciso di non usare su
sollecitazione del Presidente Napolitano". Si
tratterebbe delle ormai famose intercettazioni napoletane
"in cui persone che ora ricoprono cariche altissime si
raccontano fra di loro cose terribili che la decenza e la
carità di patria mi proibiscono di scrivere, anche se
purtroppo sono sulla bocca di coloro che hanno letto i
verbali. Io ne conosco almeno tre".
"Dettagli disgustosi". A questo punto Guzzanti
entra nel dettaglio. Sollecitato da un lettore racconta di
"cose assolutamente disgustose": "Rapporti
anali non graditi, ore e ore di tormenti in attesa di una
erezione che non fa capolino, discussioni sul prossimo set,
consigli fra donne su come abbreviare i tormenti di una
permanenza orizzontale pagata come pedaggio". Dicendosi
disponibile a raccontare tutto ad un magistrato: "A cui
direi da chi ho avuto queste relazioni e chi fosse il
giornalista che ha fornito il materiale in lettura". E
la sua battaglia contro l'uomo "che odia le
donne" continua.
CITTA' DEL VATICANO - La chiesa scende sulle spiagge
alla ricerca di proseliti e fedeli. E affida la missione a
centinaia di giovani evangelizzatori, le 'Sentinelle del
Mattino', pronte a sbarcare dai pedalò, indossando
t-shirt con i loro 'colori' fucsia e grigio, alla
conquista dei litorali italiani per portare la parola di
Gesù. Con slogan e striscioni dalla scritte 'Lo
annunciamo a voi'. Ma anche con vere e proprie chiese
'gonfiabili', piccole case del signore
pret-a-porter, da montare sugli arenili e ricevere i
credenti per celebrazioni e confessioni 'by night'.
Appuntamento clou dell'iniziativa sarà ad Amalfi dove,
dall'11 al 14 agosto prossimo, un esercito di 80 giovani
darà vita al megaraduno nazionale degli evangelizzatori.
Con l'evento campano le Sentinelle del
Mattino - associazione nata nel '99 quando, con la
benedizione della Cei, ha raccolto l'appello lanciato da
papa Giovanni Paolo II ai giovani per portare il Vangelo tra
i coetanei - festeggiano quest'anno dieci anni di
attività e di successi. Il progetto della 'missione di
spiaggia', con il logo 'una luce nella notte',
messo a punto dalle Sentinelle ha toccato negli anni più di
50 città italiane, con 350 manifestazioni, estendendosi a
tappeto su molte delle più gettonate mete turistiche della
penisola, da Cesenatico a Torvainica, da Cagliari a Termoli.
Un modello, quello lanciato dalle Sentinelle del Mattino che
ha fatto scuola ed è stato adottato anche direttamente da
molte diocesi. A Riccione, dal 9 al 16 agosto, più di 200
missionari batteranno il litorale emiliano. Per
l'occasione, il sito www.chihasetevengaame.it ha anche
lanciato un 'sos' sacerdoti: quelli della diocesi
non bastano infatti per le confessioni che si terranno dalle
22 alle 2:30 dove sono attese centinaia di persone.
"Agli evangelizzatori fai-da-te - spiega don Andrea
Brugnoli, ideatore delle Sentinelle - diciamo venite da noi
e vi aiuteremo".
La formula della missione,
infatti, è ben collaudata e nulla lascia
all'improvvisazione. I giovani evangelizzatori, tutti
tra i 18 e i 35 anni, vengono prima formati con appositi
corsi dagli uffici pastorali, poi si avventurano sulle
spiagge, dove "agganciano" i bagnanti
coinvolgendoli in balli latino-americani o in concerti di
"christian music". Qui porgono l'invito a
partecipare a 'una luce nella notte', il vero cuore
dell'iniziativa. "Si tratta - spiega il
responsabile delle Sentinelle di Amalfi Cava, Giuseppe
Califano, impegnato nei preparativi per l'imminente
missione - di una chiesa aperta tutta la notte dove
invitiamo chiunque lo desideri e senza alcuna costrizione ad
un momento di preghiera e di adorazione eucaristica. Chi
vuole può chiedere la confessione, ma si può entrare in
chiesa anche solo per curiosità".
"L'anno scorso a Cava quasi 400 persone hanno
accolto il nostro invito - racconta inoltre -. Vediamo che
cosa succederà quest'anno qui a Maiori. Sono sicuro che
ci saranno delle sorprese!". Come gli altri
responsabili delle Sentinelle, anche Giuseppe è un giovane
che rivendica la sua normalità. "Noi missionari di
spiaggia - spiega - siamo come tutti gli altri giovani: ci
piacciono le stesse cose, come per esempio andare a ballare.
Solo che , rispetto agli altri, abbiamo in più
l'incontro con Gesù ed è questo incontro che vogliamo
proporre agli altri giovani come noi". "Senza
nessuna imposizione però - sottolinea -. Anzi, noi
chiediamo anche scusa per qualche sacerdote che magari è
invadente. Vogliamo evitare polemiche sull'invasività
della Chiesa e per questo non ci sono sacerdoti tra i
ragazzi che battono palmo a palmo il litorale". Se
l'obiettivo è proporre l'incontro con Gesù, qual
è la risposta ricevuta finora? "Noi non cerchiamo una
risposta immediata - chiarisce subito Giuseppe -. Il nostro
è solo un primo annuncio, magari di appena dieci minuti.
E' dentro la persona poi che deve scattare il desiderio
di intraprendere un percorso". E certamente la scelta
di compiere un nuovo cammino in direzione della fede in
seguito all'evangelizzazione di spiaggia è la
soddisfazione di cui sono alla ricerca i giovani missionari.
"L'anno scorso - commenta Giuseppe - dopo la serata
di 'Una luce nella notte' molti ragazzi sono tornati
e hanno cominciato a frequentare la parrocchia. E' stato
stupendo".
4 agosto 2009 0:00 - RU 486 test psicologico nel Paese totali
Agenzia del farmaco e ministero fanno fronte: almeno tre
giorni di ricovero FLAVIA AMABILE ROMA E’
ormai una pillola «all’italiana» questa Ru486, la
pillola abortiva introdotta due giorni fa dopo un iter
durato anni di incertezze. Perché è tutta e soltanto
italiana la procedura che si sta faticosamente mettendo a
punto nelle stanze di governo e prevede obblighi e
formalità del tutto diversi da quelli in vigore in ogni
altro paese dove la pillola è in uso. Lo pensa anche il
direttore dell’Istituto «Mario Negri» di Milano, Silvio
Garattini, farmacologo di fama, per il quale «stiamo
assistendo a un caso così speciale solo da noi quando la
RU486 da tempo è impiegata ovunque senza sollevare alcun
problema».
Il primo punto, fortemente voluto
dalle componenti cattoliche dell’esecutivo e recepito
dall’Aifa nel dare il via libera, prevede il ricovero in
ospedale fino ad aborto avvenuto. «Non accade in nessun
altro Paese e l’Aifa si esporrà al ridicolo a livello
internazionale nel momento in cui questa richiesta sarà
ufficializzata», spiega Silvio Viale, ginecologo, che ha
avviato la sperimentazione della Ru486 già nel 2005
all’ospedale Sant’Anna di Torino. «E’ un adeguarsi
alle richieste della politica del tutto inusuale nel mondo
scientifico», conclude. «Il trattamento in day hospital è
escluso - insiste il sottosegretario al Welfare Eugenia
Roccella - e bisognerà prevedere un ricovero di almeno tre
giorni». Ma nel mondo medico è abbastanza evidente che
sarà impossibile garantirlo.
Maurizio Benato,
vicepresidente della Fnomceo, la Federazione dei medici
chirurghi, spiega: «La Ru486 deve essere somministrata nel
rispetto della legge 194 e quindi in ambito ospedaliero ma
se una donna decide di tornare a casa anche a espulsione non
avvenuta nessuno può obbligarla a rimanere. Non esistono
strumenti per vincolarla, la volontà della paziente è
sovrana, l’importante è che sia consapevole delle
conseguenze che le sue dimissioni possono avere, e che
quindi il consenso informato rechi tutte le informazioni
necessarie». L’eventuale decisione, da parte della
paziente che richiede la somministrazione della pillola, di
firmare per la dimissione dalla struttura ospedaliera dopo
l’assunzione della Ru486, avverte infatti il
sottosegretario Eugenia Roccella, «dovrà essere
scoraggiata dagli operatori sanitari e, comunque, risulterà
appunto fondamentale il consenso informato».
L’unica strada da percorrere per il governo per rendere
più forte l’obbligo a rimanere in ospedale potrebbe
essere la minaccia di denunce penali per le donne che
dovessero abortire fuori dagli ospedali dopo aver preso la
Ru486 in quanto si tratterebbe di un’interruzione di
gravidanza illegale, avvenuta senza rispettare l’articolo
8 della legge 194. «Ma in questo caso - replica Viale -
significherebbe tornare indietro di quasi quarant’anni,
l’aborto diventerebbe di nuovo una pratica illegale». Il
secondo punto su cui si intende lavorare sono i
provvedimenti amministrativi e gli interventi nelle linee
guida anticipati già ieri dal sottosegretario al Welfare
Eugenia Roccella nell’intervista a «La Stampa». Una
delle idee allo studio è quella di un questionario da far
compilare alle donne che richiedano la somministrazione
della Ru486 per selezionare chi può aver diritto a
prenderla. Come spiega Eugenia Roccella, si vorrebbe
«appurare l’esistenza di alcune condizioni essenziali
perchè l’intervento risulti sicuro per la donna, come ad
esempio la vicinanza di un ospedale alla abitazione o il
fatto che non sia sola». L’ipotesi di un test psicologico
è confermata anche dall’Agenzia del farmaco. «Anche in
questo caso non esiste nulla del genere nel mondo intero.
L’idea di un test psicologico è da Stato totalitario»,
avverte Silvio Viale.
4 agosto 2009 0:00 - Colletti bianchi del terzo millennio an
Antimafia a parole
Autore Luigi de Magistris Il fatto di aver espletato per
circa quindici anni le funzioni di Pubblico Ministero in
territori caratterizzati da una radicata e forte presenza
della criminalità organizzata mi pone come osservatore
privilegiato tanto da poter giungere alla conclusione che
solo una parte dello Stato intende effettivamente lottare
contro le mafie.
La mafia, dopo la stagione delle
stragi politico-mafiose degli anni 1992-1993, ha deciso di
adottare la strategia politico-criminale tipica della
’ndrangheta, ossia quella di evitare il conflitto armato
con esponenti delle Istituzioni e di penetrare, invece, in
modo capillare, nel tessuto economico-finanziario ed in
quello politico-istituzionale.
L’infiltrazione
nell’economia e nella finanza è talmente diffusa in tutto
il territorio nazionale che le mafie contribuiscono ormai,
in buona parte, al prodotto interno lordo del nostro Paese
tanto da far sì che non si possa più distinguere tra
economia legale ed economia illegale. Le mafie hanno enormi
capitali da investire che rappresentano il provento della
gestione del traffico internazionale di droga. Il
riciclaggio avviene nel settore immobiliare, nelle
finanziarie, nelle banche, nell’edilizia, nel commercio
all’ingrosso ed al minuto, nelle società di calcio, nelle
società che si occupano di ambiente, nella sanità, nei
lavori pubblici; insomma, dove c’è denaro, dove c’è
business, le mafie sono interessate.
E quando si
controllano, illegalmente, settori nevralgici
dell’economia nessun cittadino può dire che si tratta di
problematiche a lui estranee, che non lo riguardano
direttamente: difatti, se la criminalità organizzata
controlla parte del ciclo dell’edilizia si comprende
perché gli edifici si frantumano alla prima scossa di
terremoto; se la criminalità organizzata gestisce i
traffici di rifiuti tossico-nocivi si capisce perché in
Italia c’è un’emergenza ambientale e sanitaria senza
uguali nell’Unione Europea. La mafia, quindi, non è un
problema solo di alcune regioni del Paese, non è un fatto
per addetti ai lavori. E’ un’emergenza nazionale:
criminale, politica, economica, sociale e culturale.
Attraverso, poi, la gestione illegale della spesa
pubblica, il controllo dei finanziamenti pubblici (anche
dell’Unione Europea), le mafie, in questi ultimi 17 anni
in particolar modo, sono penetrate, in modo articolato e
pervasivo, nella politica e nelle Istituzioni. Quando si
riesce a controllare parte significativa della spesa
pubblica - e mi riferisco soprattutto, in questo caso, alle
regioni del Sud Italia, ma non solo - si condizionano
appalti e sub-appalti in tutti i settori (ambiente, sanità,
infrastrutture, informatica, formazione professionale,
ecc.), si decide a chi affidare opere e lavori, quali
progetti debbono essere approvati, si condiziona il mercato
del lavoro decidendo insieme - criminalità organizzata,
politica ed imprenditoria collusa - quali persone assumere
ed alla fine si condiziona pesantemente la democrazia
attraverso il voto di scambio che trova linfa con il vincolo
delle appartenenze.
È nella gestione illegale
della spesa pubblica, soprattutto attraverso la creazione di
una miriade di società miste pubblico-private, che si
realizzano anche le nuove forme di corruzione: non ci sono
più, infatti, le valigette dei tempi di Chiesa e
Poggiolini, ma le consulenze, i progetti, i posti nelle
compagini delle società miste, le assunzioni, gli
incarichi. E’ anche qui che avviene l’intreccio
criminale tra controllori e controllati, è in questi
segmenti che si radica il rapporto collusivo tra
criminalità organizzata e pezzi delle Istituzioni: politici
- che hanno realizzato anche le nuove modalità di
finanziamento illecito dei partiti - funzionari e dirigenti
di enti pubblici, magistrati, appartenenti alle forze
dell’ordine e dei servizi segreti. Spesso il collante di
questi segmenti deviati - non residuali, purtroppo - delle
Istituzioni sono centri di potere molto influenti: logge
massoniche coperte, lobby, comitati d’affari, club di
servizi, strutture talvolta con ampie radici nel mondo
ecclesiastico.
Di fronte ad un cancro di tali
dimensioni la lotta alle mafie a 360 gradi viene svolta da
irriducibili: taluni magistrati ed appartenenti alle forze
dell’ordine, singoli politici, esponenti della società
civile. Siamo ancora troppo pochi e sotto assedio dei poteri
forti e di quelli criminali. Lo Stato, nel suo complesso,
invece, si accontenta del contrasto solo ad un certo
«livello» di mafia: le estorsioni, il traffico di droga,
gli omicidi. Quando si affronta, invece, il nodo
fondamentale - quello che rappresenta la linfa vitale del
sistema mafioso - i rapporti mafia-politica, mafia-economia
e mafia-istituzioni, si rimane isolati: non è più lo Stato
che agisce, ma servitori dello Stato.
E’ su
questi temi che la storia d’Italia ha conosciuto la
stagione degli omicidi politico-mafiosi, è su tali intrecci
criminali che si stanno consolidando quelle che si possono
chiamare le morti professionali di servitori dello Stato da
parte di articolazioni dello Stato stesso: si tratta delle
tecniche raffinatissime di neutralizzazione dei servitori
dello Stato scomodi, ingombranti, deviati ed
antropologicamente diversi per il sistema mafioso. Quello
che è più grave è che tali nuove strategie - per nulla
estemporanee - avvengono nel silenzio e, in taluni casi,
anche con il contributo di chi dovrebbe essere tra i
principali alleati di coloro i quali contrastano - non con
chiacchiere o passerelle politico-istituzionali - le forme
più pericolose ed insidiose delle mafie: quella dei
colletti bianchi del terzo millennio.
Ed è su
questi temi che ho trovato importanti le immediate prese di
posizione congiunte, con riferimento alla lotta alle mafie,
al Parlamento Europeo - nelle prime riunioni - tra
parlamentari di Italia dei Valori e Partito democratico. Ed
è per questo che tutte le forze democratiche del Paese
debbono vigilare affinché le indagini in corso presso le
Procure di Palermo e di Caltanissetta non subiscano
interferenze che possono provenire non solo dalla politica,
ma anche dall’interno dello stesso ordine giudiziario: non
posso non ricordare che, in epoca assai recente, indagini
giudiziarie molto rilevanti proprio sulla criminalità
organizzata dei colletti bianchi non sono state fermate
dalla mano militare dei Riina e Provenzano di ultima
generazione ma dalla carta bollata del Consiglio Superiore
della Magistratura che ha trovato convergenze parallele con
la politica ed i poteri forti.
Luigi
de Magistris
3 agosto 2009 0:00 - Il Siciliano Senatore Toto' Cuffaro....
01-08-09 ABORTO: CUFFARO, PILLOLA RU486
ALTRO DURO COLPO A VALORE VITA
(ASCA) -
Palermo, 1 ago - ''Quanti nelle scorse settimane si
sono spellati le mani per applaudire all'Enciclica del
Papa 'Caritas in veritate' forse farebbero bene a
leggerla tutta, soprattutto il punto dedicato alla bioetica.
Ed invece a distanza di pochi giorni, alcuni fra coloro che
ieri plaudivano oggi ci mettono di fronte a decisioni come
quella sull'utilizzo della pillola RU 486
sbrigativamente liquidata solo nei suoi aspetti
medico-scientifici''. Lo afferma Salvatore Cuffaro,
senatore dell'Udc, ricordando che ''sembra
rivedere l'inizio del caso Englaro: un
'autorevole' consesso di studiosi esprime un
altrettanto 'autorevole' parere su una questione
delicatissima di carattere scientifico (dalle indubbie
rilevanze etiche), la stampa laica la sostiene senza farsi
carico nemmeno delle conseguenze mediche, gia' note,
sulla salute delle donne, una rapido sondaggio televisivo
esprime un forte consenso alla decisione ed il gioco e'
fatto''. Cuffaro, quindi, fa notare che ''un
altro duro colpo al valore della vita viene inferto,
scambiandolo per l'ennesima conquista delle donne. E a
chi avanza qualche dubbio si risponde che la pillola RU486
e' meno invasivo dell'aborto terapeutico, quindi,
visto che non si puo' impedire alle donne che hanno
gia' deciso di farlo, di abortire meglio dare una
pillola che sottoporle ad un intervento chirurgico.
Occorre - aggiunge - prendere atto che in questa
societa' della frenesia e della fretta non c'e'
piu' nessuno che voglia impiegare tempo e fatica nella
costruzione delle coscienze, soprattutto di quelle
giovanili. Si ritiene che sia meglio prendere una pillola,
pur con l'assistenza di un medico, piuttosto che
fermarsi a riflettere sul significato di una vita che si
porta in grembo e che magari non si e' consapevolmente
desiderata''.
dod/mcc/bra
2 agosto 2009 0:00 - Dio ce ne scampi!
Le discussioni proposte dal Dr. Parisi sono come quelle del
Mangascià: si riconoscono subito già dal titolo, e si
distinguono per la faziosità dei contenuti...
2 agosto 2009 0:00 - Un figlio del Sud spiega l'onore....
Cosa e' l'onore? Spiegato da un
figlio del Sud.....
La polemica Saviano:
perchè Pecorella infanga don Peppe Diana? ROBERTO
SAVIANO Mi è capitato nella vita di fare pochissimi
giuramenti a me stesso. Uno di questi, che non riuscirei a
tradire se non vergognandomi profondamente, è difendere la
memoria di chi nella mia terra è morto per combattere i
clan. Ho giurato a me stesso sulla tomba di Don Peppe Diana
il giorno in cui alcuni cronisti locali, alcuni politici e
diversa parte di quella che qualcuno chiama opinione
pubblica iniziarono un lento e subdolo tentativo di
delegittimarlo.Il venticello classico di certe parti
d'Italia che calunnia ogni cosa che la smaschera;
il tentativo di salvare se stessi dalla scottante
domanda "perchè io non ho mai detto o fatto
niente?". Ho letto in questi giorni sulla rivista
Antimafia Duemila che due ragazzi, Dario Parazzoli e
Alessandro Didoni, hanno chiesto durante una trasmissione Tv
a Gaetano Pecorella come mai, quando era presidente
della commissione giustizia, difendeva al contempo il
boss casalese egemone in Spagna Nunzio De Falco, poi
condannato come mandante dell'omicidio di Don Peppe
Diana. Mi ha colpito e ferito sentire alcune
dichiarazioni dell'Onorevole Pecorella in merito
all'assassinio di Don Peppe Diana. In una intervista
al giornalista Nello Trocchia per il sito Articolo 21,
Pecorella dichiara: "Io dico che tra i moventi
indicati, agli atti del processo, ce ne sono tra i più
diversi. Nel processo qualcuno ha parlato di una
vendetta per gelosia, altri hanno riferito che sarebbe stato
ucciso perchè si volevano deviare le indagini che
erano in corso su un altro gruppo criminale. E altri
hanno riferito anche il fatto che conservasse le armi
del clan. Nessuno ha mai detto perchè è avvenuto
questo omicidio, visto che non c'erano precedenti
per ricostruire i fatti. Se uno conosce le carte del
processo, conosce che ci sono indicate da diverse
fonti, diversi moventi". Proprio leggendo le carte si
evince chiaramente che non è così, Onorevole
Pecorella. Perchè dice questo? è vero esattamente il
contrario. Dalle carte del processo emerge invece che
è tutto chiaro. E pure la sentenza della Corte di
Cassazione del 4 marzo 2004 conferma che Don Peppe è
stato ucciso per il suo impegno antimafia e per
nessun'altra ragione. Che De Falco (di cui lei,
Onorevole, ha assunto la difesa) ha ordinato l'uccisione
di Don Peppe per dimostrare, uccidendo un nemico in
tonaca, un nemico senza armi, che il suo gruppo era
più forte e coraggioso di quello di Sandokan. E anche
per deviare la pressione dello Stato proprio sul clan
Schiavone. Quelli che lei definisce più volte
"moventi indicati" furono, come dimostrano le
sentenze, delle calunnie che alcuni camorristi portarono per
lungo tempo in sede processuale per discolparsi.
Calunnie nate dal fatto che persino loro cercavano di
lavarsi le mani, in buona o cattiva fede, del sangue
innocente che avevano versato. Ne avevano vergogna. Questo
è quel che dicono gli iter conclusi della giustizia
italiana. Ed è per questo che la risposta che
l'Onorevole Pecorella ha dato appena qualche giorno
fa alla domanda se Don Diana, a suo avviso, non fosse stato
ucciso per il suo impegno contro i clan lascia basiti.
L'onorevole dice: "Io non ho avvisi. Io
riporto quello che è emerso nel processo e nulla più. Ci
sono diversi moventi, c'è anche quello, che
all'inizio non era emerso, che faceva attività
anticamorra. Per la verità nel processo non è venuto
fuori molto chiaro neanche questo come movente. è inutile
che costruiamo delle fantasie sulle ipotesi. Quella
dell'impegno anticamorra è tra le ipotesi. Ma nel
processo non è emerso in modo clamoroso, non è mai
venuta fuori un'attività di trascinamento, di gente in
piazza. Non è che c'erano state manifestazioni
pubbliche, documenti. Qualcuno ha detto anche questa
ragione. Come vede ci sono tanti moventi. Certamente è
stato ucciso dalla camorra. Chi viene ucciso dalla camorra
è una vittima della camorra. Ora se è un martire
bisogna capirlo dal movente che non è stato
chiarito". è stato chiarito. Lo Stato Italiano
considera Don Peppe un martire della battaglia
antimafia, migliaia di persone hanno sfilato in sua
difesa. E i documenti che non ci sarebbero, ci sono eccome.
Hanno non solo un nome, ma anche un titolo: "Per
amore del mio popolo non tacerò". è il documento
stilato da Don Peppe insieme ad altri preti della
forania di Casal di Principe in cui viene annunciata una
battaglia pacifica, ma priva di compromessi alle
logiche dei clan, al loro predominio, alla loro
mentalità, alla loro cultura, alla loro falsa aderenza
alla fede cristiana. Persino Papa Giovanni Paolo II, dopo
la morte di Don Peppino Diana, pronunciò
nell'Angelus: "Voglia il signore far sì che
il sacrificio di questo suo ministro [...] produca
frutti [..]di solidarietà e di pace". Per
Giovanni Paolo non ci furono dubbi, fu un martire. Per
Lei, Onorevole Pecorella, invece ce ne sono. Perchè,
mi chiedo? Le chiedo inoltre se considera legittimo
rivestire il ruolo di Presidente della Commissione
Giustizia del Parlamento Italiano e portare avanti la
difesa del boss Nunzio De Falco? Lei immagino mi
risponderà di sì, che anche il peggiore dei presunti
criminali, ne ha il diritto. Ma questo principio di
garanzia vale soltanto fino al verdetto finale. Tale
verdetto di colpevolezza del suo mandante è stato emesso
e confermato. Quindi la prego di non diffondere falsi
dubbi sulla condanna a morte di Don Diana. Chi ha
ucciso Don Peppe Diana è uno dei clan più potenti e
feroci d'Italia che ha ancora due latitanti, Iovine e
Zagaria, liberi di investire, costruire, e portare
avanti i loro affari. Oggi, Onorevole Pecorella, lei è
presidente della commissione d'inchiesta sui
rifiuti, e i Casalesi, come saprà, sono i maggiori
affaristi nel traffico di rifiuti tossici e legali.
Loro quindi dovrebbero essere i suoi maggiori nemici
anche se in passato ha difeso in sedi processuali i
loro capi. La prego di avere rispetto per Don Peppe e non
dare nuovamente credito a calunnie che negli anni
passati killer e mandanti hanno cercato di riversare su
una loro vittima innocente. Questa mia domanda non è
questione di destra o di sinistra. La legalità è la
premessa del dibattito politico, o almeno dovrebbe esserlo.
La premessa e non il risultato. Quando iniziai a
trascrivere delle parole che Don Peppe aveva detto nel
Casertano ho ricevuto lettere commosse da molti lettori
conservatori, da cattolici di Comunione e Liberazione sino
ai ragazzi della Comunità di Sant'Egidio, dalla
comunità ebraica romana e da tante altre. La battaglia
alle organizzazioni criminali, l'ho vista fare da
persone di ogni estrazione politica e sociale. Ho visto,
quando ero bambino, manifestazioni nei paesi assediati
dalla camorra in cui sfilavano insieme militanti
missini, democristiani, comunisti e repubblicani.
L'onestà non ha colore, spesso così come non ne ha
l'illegalità. Per questo, il mio non è un appello che
possa essere ascritto a una parte politica. Non
permetterò mai a nessuno, e come dicevo me lo sono
giurato, che la memoria di Don Peppe sia oltraggiata da
accuse false, demolite dai Tribunali, che ebbero il solo
scopo di screditare le sue parole, emettendo nel
silenzio il ronzio malefico "quello che dice non
è vero". Questo non lo permetterò. Lei mi dirà
che questa mia è una battaglia troppo personale. Io le
ribadirei che, sì, lo è, è vero. Tutto ciò che
riguarda la mia terra, ormai riguarda la mia vita
stessa e quindi non può che essere personale. Difendere la
memoria di Don Peppe Diana è una questione personale
anche per un'altra ragione: è una questione di
onore. Onore è una parola che spesso hanno
abusivamente monopolizzato le cosche facendola diventare
sinonimo del loro codice mafioso. Ma è il tempo di
sottrarla alle loro grammatiche. Onore è il sentire
violata la propria dignità umana dinanzi a
un'ingiustizia grave, è il seguire dei comportamenti
indipendentemente dai vantaggi e dagli svantaggi, è
agire per difendere ciò che merita di essere difeso. E
io l'onore, l'ho imparato qui a Sud. Per meglio
spiegarmi, mi sovvengono le parole di Faulkner: "Tu non
puoi capirlo dovresti esserci nato. In realtà essere
del Sud è una cosa complessa. Comporta un'eredità
di grandezza e di miseria, di conflitti interiori e di
fatalità, è un privilegio e una maledizione. Vi è il
senso aristocratico dell'onore e
dell'orgoglio". Mi piacerebbe poter mettere
una parola definitiva su questo. Su quanto accaduto a don
Peppe. Permettere di farlo riposare in pace. Riposare
in pace significa non chiamarlo in causa laddove non
può difendersi. A volte, come accade a molti miei
compaesani per cui conserva il suo valore, mi viene di
rivolgermi a lui. Don Peppe se è vero che tu hai visto la
fine della guerra, perchè, come dice Platone, solo i
morti hanno visto la fine della guerra, sta a noi vivi
il compito di continuare a combatterla. E non ci daremo
pace.