COMMENTI
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12 agosto 2009 0:00 - Giuseppe Parisi

Gentile Sig. Leo Miceli,
Grazie per averci scritto.

non sono di accordo con Lei, sul fatto che il pensiero cattolico ,e la cultura della chiesa che sta accompagnando l'occidente o buona sua parte da 20 secoli, abbia dato frutti buoni, sono convintissimo dell'esatto opposto.
Le chiedo allora perchè Lei nega i diritti previ alle persone quando si trovano allo stato embrionale?
Noi riteniamo che , e lo accetta universalmente la dottrina giurisprudenziale, che fino alla nascita cioe’ l’espulsione all’esterno, quella vita pur persona con una sua identita’ biologica, e sicuramente emotiva e psichica, appartenga solo alla donna che lo porta in grembo, non voler ammettere tale concetto,negarlo, e’ la culturizzazione cattolica di voler a tutti i costi, relegare la donna a “buco da inseminare”.,

Difatti, la buona legge 194, relega la volontarieta’ della donna entro 90 giorni, quando io suppongo, sara’ molto difficile per la futura scienza, provare che, un feto cosi prematuro, abbia emozioni, pensieri…. Cosa che ha gia’ um bimbo dal 5 mese in avanti.
La legge, vieta gli aborti dopo il 90 giorno di gestazione, salvo ovviamente i pericoli di vita della gestante, e questo perche’ prevale nella giurisprudenza il fatto che il nascituro e’ individuo subito dopo l’espulsione del parto.
Anche io da padre, preferirei morisse quel sfortunato mio futuro figlio che deve ancora nascere, che mia moglie, e Lei, signor Leo?
Perchè Lei ritiene lecito, perdoni se sbaglio, sperimentare sugli embrioni?
Signor Leo, perche’ Lei si lascia condizionare dai pensieri clericali?
Gli embrioni sono tessuti umani e basta, se si vuole sostenere che e’ vita, Le do ragione, come e’ anche vita il batterio, il virus, e la singola cellula di miliardi che compongono il nostro corpo, e’ lo scambio con la madre, che permettte quelle cellule di divenire uomo, ma a quello stadio uomo non e’. Se quindi studiare su quelle cellule non uomo, puo’ portare benefici, nessuno ne soffre, al contrario di cavie, animali che ogni giorno soffrono per gli esperimenti sulla funzinalita’ dei farmaci, della quale l’occidente si ingoza.
Il discorso sui brevetti, ancora e’ molto piu’ complesso, ma non intacca i concetti sopradetti.
Ancora l’Aduc non esclude proprio niente, ma non si lasci infinocchiare da quei falsi salvatori di anime, che vogliono sostenere,ignoranti come sono, che l’embione e’ vita, ma vita di cosa, cosa significa?
E’ solo una strumentalizzazione che serve a portare avanti il loro progetto di circoscrivere il pensiero, e l’avanzare dell’umanita e della scienza, lo fanno da secoli senza riuscirci, cosi come non riusciranno ancora una volta, se Dio esiste, questi signori dal color porpora, dimenticano che e’ stato creato libero.
Libero.
Ora se una civiltà non assicura il primo dei diritti "quello a nascere" quali diritti vorrà illudersi di garantire?
Non e’ affatto cosi’ signor Leo Miceli, Lei ragiona, e da ampia prova di aver “subito” una lenta ed inesorabile deformazione clericale, che e’ l’esatto contrario, , e’ la sensibilita’ della donna, a decidere se un feto ancora embrione debba divenire suo figlio, da crescere bene,e da amare, non certo un errore tra le lensuola.
Mi spiace, capire che nell’Italia del terzo millennio, ci siano ancora, situazioni di cosi’ grave differenza di pensiero, sembra, che in molti,il tempo si sia fermato,non sara’ l’effetto del Vaticano?
Cordialmente.
Giuseppe Parisi

10 agosto 2009 0:00 - leo miceli
Sig. Parisi, mi permetto ancora.
Sicuramente mi esprimo poco chiaramente, se Lei pensa che il sottoscritto creda che l'unica civiltà sia quella cattolica. Mi permetta però di esprimere il pensiero che alla civiltà, il cattolicesimo abbia dato e dia ancora di più forse oggi, un contributo fondamentale.
Inoltre Lei collabora con l'ADUC e dice che l'associazione è impegnata su più fronti nei diritti della PERSONA.
Le chiedo allora perchè Lei nega i diritti previ alle persone quando si trovano allo stato embrionale?
Tutti siamo stati allo stato embrionale ed oggi siamo adulti (si spera).
Perchè Lei ritiene lecito, perdoni se sbaglio, sperimentare sugli embrioni?
Perchè quando ci confrontiamo via e-mail svincola sempre il discorso sui brevetti?
Non credo che l'ADUC escluda la persona allo stato embrionale dai diritti?
Ora se una civiltà non assicura il primo dei diritti "quello a nascere" quali diritti vorrà illudersi di garantire?
Ed a chi (ai sani, ai selezionati)?
Scusi per il poco tempo, grazie ancora.
10 agosto 2009 0:00 - Il Cavaliere e le 10 tavole
Andrea Camilleri
Dieci favole "politicamente scorrette"...


Le favole politicamente scorrette dedicate al Cavaliere d'Iliata dall'autore del
"Commissario Montalbano"


Gentilmente prelevate dal sito web:
http://www.manipulite.it/micromega



Indice

| Il bene pubblico
| Faust 2001
| L'incorreggibile
| I Vangeli dei due apostoli
| Gli scheletri
| Favola vera
| Il Cavaliere e la Morte
| Il Cavaliere e la mela
| Il Cavaliere e la volpe
| Il pelo, non il vizio






Il bene pubblico

Mentre se ne stava stinnicchiato al sole, al Cavaliere scappò un bisogno
urgente. Visto che la spiaggia era deserta, s'arriparò darrè un cespuglio. In
quel preciso momento vide passare uno scrafaglio merdarolo che faticosamente
trascinava nella sua tana una pallina di sterco.
«Ti basterà per mangiare tutta l'invernata», spiò il Cavaliere.
«Non credo», arrispunnì lo scrafaglio. «Siamo tutti preoccupati. Quest'anno, tra
una cosa e l'altra, abbiamo raccolto picca e nenti. Rischiamo tutti la fame».
«Ci sono qua io!», disse il Cavaliere.
E fece il bisogno suo. Sul quale si gettarono tutti gli scrafagli merdaroli
inneggiando alla generosità del Cavaliere.






Faust 2001

Un giorno un signore quarantenne, agile, elegante, ben vestito, capelli
curatissimi, faccia tirata a lucido, costosissima valigetta griffata in mano,
riuscì a farsi ricevere dal Cavaliere. A questi il visitatore fece subito buona
impressione: a prima vista, pareva il tipico dirigente-manager del partito che
aveva fondato, poteva essere un buon acquisto in vista della prossima campagna
elettorale.
«Desidera?», domandò il Cavaliere.
«Io? Io niente», fece il visitatore. «E' lei che desidera qualcosa da me».
Il Cavaliere s'irritò. Lui non aveva niente da desiderare, avendo tutto.
«Ci dev'essere un equivoco», disse brusco.
«Nessun equivoco, mi creda. Lei, ieri sera, alle diciannove e tredici esatte,
solo nel suo bagno, guardandosi allo specchio ha pensato: Darei qualsiasi cosa
per riavere i miei capelli. Ed eccomi qua a servirla».
Senza dargli tempo di reagire, il visitatore aprì la valigetta, ne trasse fuori
una dozzina di disegni e li posò sulla scrivania: in ognuno d'essi, la testa del
Cavaliere era incoronata da una diversa, ma sempre foltissima, capigliatura: ora
riccioluta, ora liscia, ora a onde.
«Scelga quella che le piace di più. Il contratto ce l'ho qua già pronto. Appena
l'avrà firmato, si ritroverà in testa il modello che desidera. E le garantisco
anche che, fino alla morte, non perderà più nemmeno un capello».
«Lei quale ditta rappresenta?», domandò il Cavaliere.
«Non rappresento altro che me stesso. Non ha ancora capito chi sono?».
Lo disse in modo tale che il Cavaliere capì. Il visitatore era il Diavolo in
persona. Dunque tutto quello che aveva detto era vero. Bastava concludere il
patto e avrebbe riavuto i suoi capelli.
«Quindi, secondo la tradizione, lei vorrebbe in cambio la mia anima», disse
lentamente il Cavaliere.
Il visitatore lo guardò, leggermente stupito, ma non aprì bocca.
Il Cavaliere sospirò, ci pensò ancora un momento, poi allungò la mano.
«E va bene, firmiamo questo contratto», fece.
A quel punto il visitatore si mise a sghignazzare.
«La sua anima? Lei vorrebbe darmi in contropartita la sua anima? Ma non lo sa
che da tempo non accettiamo più anime? Era un commercio che piaceva a mio nonno,
che andava sempre in perdita, poveraccio, e piaceva ancora di più ai poeti che
ci ricamavano sopra».
«E allora lei che cosa vuole in cambio?».
«L'ottantacinque per cento di tutto quello che possiede, televisioni, aziende,
giornali, società, ville, tutto. Non è per niente esosa, la nostra richiesta.
Pensi alla figura che farà sui manifesti elettorali, sicuramente vincerà la
campagna».
«In questo caso, preferisco farmi ritoccare le fotografie», disse il Cavaliere.
E lo congedò.






L'incorreggibile

In sogno, Dio apparve al Cavaliere. Questi lo riconobbe subito, perché il
Signore era esattamente come lo raffiguravano, col tunicone e la gran barba
bianca.
«Sono venuto a trovarti», fece Dio, «per farti capire come la tua smodata
ambizione, la tua inesauribile sete di potere siano assolutamente ridicole.
Anche se tu conquistassi l'universo intero, resteresti sempre un nulla.
L'universo, figlio mio, è finito».
«In che senso?», domandò il Cavaliere.
«Ora te lo spiego», rispose Dio. «Immagina che io possegga una collezione di
migliaia e migliaia di bottiglie di champagne. Ne ho stappata una, e quello che
chiamate big bang non era altro che il rumore del tappo che saltava, ho riempito
un bicchiere, e ora sto per berlo. Le stelle che i vostri astronomi vedono
nascere e morire sono semplicemente le bollicine che si formano e scoppiano. E
tu sei dentro quel bicchiere e quel bicchiere è il tuo universo.
Ma appena avrò bevuto il mio champagne, il vostro universo scomparirà. Hai
capito?».
«Perfettamente», rispose il Cavaliere. «E quanto mi verrebbe a costare questa
vostra collezione?».






I Vangeli dei due apostoli

Tra i moltissimi apostoli che diffusero, con opere e azioni, il Verbo del
Cavaliere, due, Marcello e Cesare, furono anche gli autori dei Vangeli che ancor
oggi ci permettono di conoscerne e ammirarne la sovrannaturale grandezza.
Tra i due sacri testi esistono, è vero, delle discrepanze che non inficiano però
la sostanziale verità del racconto.
I due concordano sull'episodio del dodicenne Cavaliere che, assalito da alcuni
facinorosi senza Fede detti comunisti, li sgominò, novello Davide, lanciando
loro dei sassi e tutti colpendoli alla fronte perché la sua mano era guidata dal
Signore. Dissentono invece, ma solo per un dettaglio, sul fatto che il Cavaliere
avesse camminato sulle acque, come Egli stesso confidò a un ristretto gruppo di
apostoli.
Mentre Marcello afferma che il Cavaliere disse: «Ho camminato sulle acque»,
Cesare racconta che la frase esatta fu: «Ho attraversato cattive acque».
I due evangelisti invece concordano, in tutto e per tutto, sul miracolo del
risveglio del giovinetto che, caduto in coma, tornò alla coscienza udendo la
voce del Cavaliere durante una delle sue predicazioni.
Marcello e Cesare perfettamente concordano anche sul miracolo detto della
«conversione del Sinedrio». Portato dai nemici davanti al Sinedrio per essere
giudicato, il Cavaliere fu accusato di colpe che mai aveva commesso e dovette
subire pesanti condanne. Ma, qualche tempo, dopo il Cavaliere, aiutato
dall'apostolo Cesare, riuscì a incontrare a quattr'occhi i componenti del
Sinedrio e con loro lungamente parlò facendoli illuminare dallo Spirito Santo.
Alla fine non solo venne proclamato mondo da ogni peccato, perfino da quello
originale, ma alcuni degli antichi persecutori presero a seguirlo e diventarono
suoi apostoli. I pochi reprobi del Sinedrio che continuarono satanicamente ad
accusarlo ebbero vita breve e infelice.
Particolare curioso: i due evangelisti stranamente non fanno parola del miracolo
più clamoroso e conosciuto, quello della moltiplicazione dei miliardi.






Gli scheletri

Un palermitano cedette alle insistenze di un suo amico e andò a trovarlo nel
ridente paese del Nord Iliata dove questi viveva. Un giorno stavano passeggiando
in campagna quando l'amico, indicandogli una villa lontana, disse: «Lì abita il
Cavaliere».
E proprio in quel momento il terreno si aprì e i due sprofondarono in una
profondissima buca.
Non si fecero niente, ma capirono che sarebbe stato impossibile risalire.
Cominciarono a chiamare aiuto, però nessuno accorreva. A un tratto il terreno si
smosse ancora e davanti a loro comparve un'apertura che pareva l'entrata di una
galleria. Non avevano scelta, la varcarono.
Era una galleria infatti, lunghissima, e quel che videro li atterrì. Lungo le
pareti c'erano centinaia e centinaia di scheletri, ognuno illuminato da una
piccola lampada.
Principiarono a percorrerla, tremanti, nel tanfo insopportabile perché ancora da
qualche osso pendevano lembi di carne marcia. Camminarono e camminarono sotto lo
sguardo delle occhiaie vuote e il ghigno dei teschi.
«Madonna santa, ma qua è peggio che nella cripta dei Cappuccini!», balbettò il
palermitano.
Allo stremo delle forze, dopo aver percorso chilometri, videro una porta.
Ansanti, l'aprirono. E si trovarono in una lussuosissima camera da letto.
Sbalorditi, si voltarono a guardare da dove erano venuti. Non avevano aperto una
porta, ma le ante dell'armadio del Cavaliere.






Favola vera

Eletto a furor di popolo Presidente di tutto (della Repubblica, del Senato,
della Camera, del Consiglio) il Cavaliere riunì i suoi ministri e disse: «Da
tempo avevo preparato la riforma della Costituzione. Prendete appunti. Il testo
l'ho già inviato alla Gazzetta Ufficiale».
Diligentemente, i ministri si munirono di carta e penna.
«Articolo 1», dettò il Presidente, «Iliata è una Repubblica fondata sui lavori
del Cavaliere».
I ministri annuirono.
«Articolo 2», proseguì il Presidente. «Il colore rosso, simbolo dell'odiato
comunismo, è dichiarato anticostituzionale e pertanto viene abolito».
«Come la mettiamo con le Ferrari?», domandò il ministro dell'Industria.
«Non c'è problema. Diventano azzurre», ribattè il Cavaliere.
«E con il Tricolore?», domandò a sua volta il ministro della Difesa.
«Rimane tricolore, ma al rosso si sostituisce l'azzurro», fece seccamente il
Cavaliere.
E via di questo passo. Furono stabilite multe salatissime per chi, coinvolto in
un qualsiasi incidente, mostrava pubblicamente il rosso del suo sangue,
con i diserbanti si fecero sparire rose e fiori rossi, la carne rossa non venne
più messa in vendita mentre il pesce azzurro fu portato alle stelle, l'unico
vino in commercio rimase quello bianco.
Sommersi da tutto quell'azzurro, gli Iliatani cominciarono ben presto a soffrire
di nostalgia del rosso, una nostalgia che diventava di giorno in giorno sempre
più acuta. Si ebbero i primi attentati rivendicati dai Grar (Gruppi
rivoluzionari adoratori rosso). I contrabbandieri facevano affari d'oro non con
le sigarette o i clandestini, ma con le scatole di sugo di pomodoro,
assolutamente proibite in Iliata.
Finché un mattino, dopo un violentissimo acquazzone, apparve in cielo un
gigantesco arcobaleno che coprì l'intero paese. Il rosso di quell'arcobaleno non
era solamente un colore, ma un altissimo grido di rivolta, deciso e terso.
Quell'arcobaleno segnò, sempre a furor di popolo, la fine del Cavaliere.






Il Cavaliere e la Morte

Il Cavaliere, girando campagne e campagne, s'imbatté in una vecchia scheletrica,
vestita di nìvuro, con una lunga falce in mano. La riconobbe subito e fece fare
uno scarto al suo cavallo.
«Schifosa comunista!», murmuriò.
La Morte era d'orecchio fino e lo sentì. Si mise a ridere.
«Tutte me le hanno dette! Ma comunista mai! Si può sapere perché?».
«E chi è più comunista di te? Tu consideri tutti allo stesso modo, ricchi e
poveri, belli e brutti, re e pezzenti! E questo non è giusto, gli uomini non
sono eguali. Io, per esempio, sono il Cavaliere, l'uomo più ricco di questo
paese, milioni di uomini mi ascoltano, mi seguono...».
«Basta, basta», l'interruppe la Morte che non era né comunista né liberale, ma
solo una grandissima carogna, «mi hai convinto. Tu sei degno di un trattamento
speciale, avrò un occhio di riguardo. Ti dico l'anno, il mese, il giorno, l'ora,
il minuto primo e il minuto secondo della tua morte».
E glielo disse, scomparendo.
Il Cavaliere, paralizzato dallo scanto e incapace di fare altro, cominciò a
contare i secondi che passavano, passavano, passavano, passavano.






Il Cavaliere e la mela

Quand'era picciliddro, e quindi non ancora Cavaliere, il futuro Cavaliere vide
un compagnuccio che stava a mangiarsi una grossa mela.
Gliene venne gana irresistibile. Facendo finta di niente, si accostò al
compagnuccio, gli strappò la mela e la pigliò a morsi.
La zia monaca del futuro Cavaliere, che era una santa fimmina, a quella scena
aspramente rimproverò il nipote.
«Non sono stato io a rubare la mela», ribatté il picciliddro continuando a dare
morsi al frutto. «La colpa è tutta del mio compagno che se l'è lasciata rubare».






Il Cavaliere e la volpe

Nel paese chiamato Iliata c'era un Cavaliere il quale ce l'aveva a morte con la
Volpe. Non passava giorno che il Cavaliere, attraverso i suoi banditori che
erano tanti e ben pagati, non raccontasse le malvagità della Volpe, ladra,
invidiosa dei beni del Cavaliere e sempre pronta a portarglieli via, ricettacolo
d'odio, spergiura, mentitrice, inaffidabile.
E tutto questo perché? Solo perché il pelame della Volpe era rosso e il
Cavaliere, assai più di un toro nell'arena, inferociva appena vedeva quel
colore.
Un giorno il Cavaliere, nascosto, vide che la Volpe voleva mangiarsi un grosso
grappolo d'uva alta sopra un pergolato. La Volpe saltava e saltava con tutte le
sue forze, ma, per quanto si impegnasse allo spasimo spiccando balzi sempre più
alti, a un tratto si fece persuasa che quel grappolo era, per lei,
irraggiungibile.
«Perché sto qui a sprecare energia?», si domandò. «Oltretutto sicuramente
quell'uva è troppo agra».
E se ne andò.
Il Cavaliere, nel suo nascondiglio, immediatamente si convinse che quell'uva era
buonissima e che la Volpe aveva detto che era agra solo perché non era riuscita
a prenderla.
Così, avvicinatosi alla pergola, senza manco scendere da cavallo, agguantò il
grappolo e ne fece un solo boccone.
S'attossicò. L'uva era veramente agra.






Il pelo non il vizio

In Iliata ci fu un Cavaliere che, in pochi anni, accumulò una fortuna immensa.
Un giorno alcuni magistrati cominciarono a interessarsi dei suoi affari.
E cominciarono a piovergli addosso accuse di falso, corruzione, concussione,
evasione fiscale e altro ancora. Arrivarono le prime sentenze di condanna.
Il Cavaliere, attraverso i suoi giornali, le sue televisioni, i suoi deputati
(aveva fondato un partito), scatenò una violenta campagna contro i magistrati
che indagavano su di lui accusandoli d'esercitare una giustizia di parte. Lui
stesso si definì un perseguitato politico.
Tanto fece e tanto disse che molti iliatesi gli credettero.
Poi un giorno (come capita e capiterà a tutti), morì.
Nell'aldilà venne fatto trasìre in una càmmara disadorna. C'era un tavolino
malandato darrè il quale, sopra una seggia di paglia, stava assittato un omino
trasandato.
«Tu sei il Cavaliere?», spiò l'omino.
«Mi consenta», fece il Cavaliere irritato per quella familiarità. «Mi dica prima
di tutto chi è lei».
«Io sono il Giudice Supremo», disse a bassa voce l'omino.
«E io la ricuso!», gridò pronto il Cavaliere che aveva perso tutto il pelo, la
carne, le ossa, ma non il vizio.

9 agosto 2009 0:00 - Anno del Signore 1009:Silvio Magno
Gasparri: ora un'indagine conoscitiva
Ma l'ex compagno di partito lo stoppa
ROMA
La pillola abortiva crea crepe nel Pdl. Il presidente della Camera Fini, infatti, rigetta la richiesta di un'indagine conoscitiva del Parlamento sulla Ru486. «Trovo originale pretendere che il Parlamento si debba pronunciare sull’efficacia di un farmaco. Ognuno ha le sue opinioni, anche io ho la mia, ma non è oggetto di dibattito politico. Poi ci sono le linee guida del governo, si è pronunciata l’Agenzia del farmaco, non vedo cosa c’entri il Parlamento» dice la terza carica dello Stato. Le parola dell'ex leader di An suonano come una bocciatura della proposta di Gasparri, che spiega. «Ho grande rispetto per le opinioni delle massime istituzioni dello Stato, ma confermo che al Senato promuoverò iniziative di indagine conoscitive sugli effetti della pillola Ru486 in Italia e negli altri Paesi dove è stata già impiegata».

Insomma, il capogruppo dei senatori pidiellini ribadisce che «non si può delegare a tecnici privi di legittimazione democratica una decisione che attiene al diritto alla vita» e ribatte al suo ex leader. «Il parlamento ha la possibilità di svolgere attività ispettive e conoscitive su ogni materia. E spesso si occupa di cose molto meno importanti che il diritto alla vita, la corretta applicazione della 194, e vicende delicate come quella della Ru486. Del resto, proprio la Camera si è recentemente occupata del problema dell’aborto e del diritto alla vita, discutendo importanti mozioni». Con lui anche Quagliarello. «Quel che non si può impedire è che il Parlamento attivi, se crede, tutti gli strumenti conoscitivi e discuta in merito alla compatibilità tra la tecnica della pillola abortiva e l’applicazione della 194 che, non va dimenticato, è una legge dello Stato in vigore».

Plaude a Fini, invece, l'ala liberale del partito. «Sono un rappresentante del popolo, ma non mi ritengo onnisciente. Rifuggo, perciò, la velleità di sostituirmi al medico ed al farmacista, riguardo all’efficacia o agli effetti collaterali di qualsivoglia farmaco, pillola abortiva compresa» commenta Giancarlo Lehner.

In serata arriva poi l’autorevole intervento di monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia della Vita: «I parlamentari - dice - sapranno trovare le modalità per affrontare nelle sedi specifiche e secondo le competenze di ognuno». «Mi rallegro senz’altro - aggiunge - di quanto può essere fatto per mettere al riparo la salute della donna e non lasciare che un dramma così profondo la abbia a trovare completamente sola nel dover affrontare una situazione così delicata». «Non si capisce - conclude - come mai si sia intervenuti con molta urgenza da parte dell’Aifa ad approvare la pillola quando rimangono aperti molti interrogativi su di essa».
6 agosto 2009 0:00 - Giuseppe Parisi
Signor Leo Miceli,
grazie per averci scritto.
Non e’ mia competenza, sostenere che tutto ilmale del mondo venga dal Vaticano.
Facendo il pubblicista, e collaborando con una associazione seria come l’Aduc, impegnata su piu’ fronti nei diritti della persona, mi sento in dovere di riportare alcune considerazioni, lasciandole in memoria ai futuri ed al prossimo.
Sono altresi contento, che Lei, si senta parte di questa Chiesa, pur sapendo che, tale non brilla affatto,anzi…
Anoi, laici osservatori, appare sempre piu’ vuota di contenuti, e distante dalla gente come Lei, forse emotivamente ricca,ma ….
Non possiamo esimerci di riportare, tuttavia note non felici sul Vaticano proprio per il fatto, che tali personaggi di color porpora, si eleggono a conoscenza di tutto e di tutti, su tutto ognuna e ciascuna cosa del mondo, come se la verita’ fosse solo la loro, ed appartenesse solo a loro.
Dimenticano volutamente, che le cose che appartengono a loro, sono cosi odiose e macabre, che la gente come Lei, signor Leo, fa finta di non vedere, oppure, peggio, in nome del fondamentalismo tira dritto ogni giorno recitando Ave Maria e Padre Nostro, con le lettere maiuscole per rispetto dei credenti.
Lasci a gli altri, la liberta’ di sostenere che, tutto questo e’ pura follia della civilta’, e’ azione reazionaria, da sistema teocratico fondamentalista,khomeinista , e la qualcosa non significa sostenere che tutto il male venga dal Vaticano-talebano .
L’altra verita’ e’ che, il Vaticano, fa dell’Italia Paese loro, dove tutto deve essere creato a norma del pensiero e della Fede cattolica, dimenticano che, l’Italia e’ un Paese laico, la sfortuna di questo Paese e’ nella disinformazione e nella non liberta’ dei mezzi di informazione mediatrica.
Forse l’uomo dimentica, che si puo’ anche vivere, anche senza Dio, a prescindere da quale Dio si creda.
Forse la piu’ sensibile differenza tra me e Lei, signor Leo, sta’ proprio qui, sta proprio in questo, per Lei la civilta’ e’ solo quella cattolica, per me la civilta’ e’ l’uomo con la sua mente e, la sua carne, con le sue debolezze,ma con la forza della natura, che rimane ampia, creativa e soprattutto libera.
Dio, rimane una illusione della mente, che serve a far soffrire meno la solitudine, alla quale, l’uomo si relega, inerme,frustrato, insoddisfatto, ma soprattutto debole.
Lei la pensa diversamente, e’ questa diversita’ e’ genuina, sarebbe un grave disastro se tutti la pensassimo alla medesima maniera, tuttavia entrambi dobremmo non prevaricare,lasciando agli altri gli spazi di liberta’ di pensiero, se la religione-confessione e’ insegnata alle elementari, vuol dire che le cose non stanno affatto cosi, signor Leo.
Le ricordo che, ancora oggi in Cina, Paese ampiamente comunista, e , anticattolico, ogni mattina, nelle scuole elementari, i bambini sono costretti in piedi, invece del Padre Nostro, recitano : Noi abbiamo il Nostro Presidente” .
Quando io , negli anni 60 ero alle elementari, ogni mattina in piedi dovevo recitare il Padre Nostro.
Ho vissuto in un paese non libero, bizzarro,reazionario e talebano.
In Italia siamo ancora all’anno zero, in termni di diritto, civilta’, liberta’.
Avrei desiderato cantare da bimbo , in piedi alla mattina, l’inno di Mameli, avrei desiderato in classe la bandiera d’Italia, e nei corridoi tutte le bandiere d’Europa, ma avevo una enorme croce sulla testa della maestra, forse anche brava, ma anche un po tonta,e sicuramente molto bigotta.
Cordialmente.
Giuseppe Parisi

6 agosto 2009 0:00 - leo miceli
Sig. Parisi,
ancora una volta scrivo per dissentire da Lei.
Ai Nietzsche ed ai Wilde, preferisco un certo Gesù di Nazaret.
Sbaglio a pensare che Lei finisce sempre per criticare presentando la Chiesa (Vaticano) quale causa di ogni male nel mondo?
Con rispetto Le dico che il sottoscritto ama e si sente parte di questa Chiesa.
Accetto comunque di essere considerato da tanti (non si creda poi originale in questo) causa del male presente nel mondo.
Grazie, saluti, buona giornata, leo miceli.
6 agosto 2009 0:00 - La
Paolo Guzzanti
ROMA - "E' un gran porco". L'ex senatore del Pdl Paolo Guzzanti non usa toni soft per giudicare i comportamenti privati di Berlusconi. "E' una persona che ha corrotto la femminilità italiana schiudendo carriere impensabili a ragazze carine che hanno imparato solo quanto sia importante darla alla persona giusta al momento giusto - scrive sul suo blog Guzzanti - sollecitate in questo anche dalle madri, quando necessario". E tra verbali mai pubblicati e "disgustosi contenuti" l'ex parlamentare del Pdl tira in ballo anche il capo dello Stato le cui sollecitazioni avrebbero impedito la pubblicazione delle intercettazioni.

In serata le dichiarazioni di Guzzanti diventano il caso del giorno, interviene perfino il Quirinale. "E' assolutamente priva di fondamento l'insinuazione, riferita dal sen. Paolo Guzzanti, secondo la quale il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, avrebbe sollecitato non si sa quali direttori di giornali a non pubblicare taluni atti giudiziari che sarebbero in loro possesso". Una smentita che il senatore accoglie con "rispetto e piacere".

Ghedini, avvocato di Berlusconi, giudica di "nessuna importanza" la vicenda: "Quelle intercettazioni sono state distrutte". Ma sorvola sulle critiche del suo ex compagno di partito.

Le accuse di Guzzanti. Al parlamentare, padre dei comici Sabina e Corrado, un tempo esponente di primo piano del Polo ed ex vicedirettore del Giornale, si deve l'invenzione del termine "mignottocrazia". Lo usò al culmine dello scontro con il ministro Mara Carfagna quandò puntò il dito contro le presunte "nomine di scambio". Dove la merce di scambio sconfinava nel pettegolezzo sessuale. Da allora Guzzanti non ha smesso di attaccare il premier su questo tema. Sul quell'atteggiamento "puttaniero" che "corrompe la gioventù e mina il rispetto della donna". Il suo blog nel pomeriggio è andato in tilt da troppi accessi e non risultava raggiungibile. Ma il sito dell'Espresso ha registrato tutti i contenuti.

Mesi fa, intervistato da Repubblica.it, Guzzanti non si nascose dietro le parole: "Siamo in presenza di un capo di governo che è circondato da pettegolezzi a sfondo sessuale. E questo è un danno per il Paese. Non faccio processi sommari, ma Berlusconi ha fatto della sua sessualità un evento politico e su questo, dicono anche alcuni del suo partito, prima o poi potrebbe inciampare". E oggi sferra un nuovo affondo contro il Cavaliere. Tirando in ballo le intercettazioni sull'inchiesta di Napoli (poi distrutte) che conterrebbero dialoghi a sfondo esplicitamente sessuale che hanno il Cavaliere come protagonista assoluto. Dialoghi di cui molto si è parlato ma che non sono mai diventati pubblici.

"Un famoso direttore...". Guzzanti, invece, riferisce di voci "attendibili" che affermerebbero come "un famoso direttore ha mostrato e fatto leggere a un numero imprecisato di persone (deputati e deputate di Forza Italia per lo più) i verbali che tutti i direttori di giornale hanno, ma che avrebbero deciso di non usare su sollecitazione del Presidente Napolitano". Si tratterebbe delle ormai famose intercettazioni napoletane "in cui persone che ora ricoprono cariche altissime si raccontano fra di loro cose terribili che la decenza e la carità di patria mi proibiscono di scrivere, anche se purtroppo sono sulla bocca di coloro che hanno letto i verbali. Io ne conosco almeno tre".

"Dettagli disgustosi". A questo punto Guzzanti entra nel dettaglio. Sollecitato da un lettore racconta di "cose assolutamente disgustose": "Rapporti anali non graditi, ore e ore di tormenti in attesa di una erezione che non fa capolino, discussioni sul prossimo set, consigli fra donne su come abbreviare i tormenti di una permanenza orizzontale pagata come pedaggio". Dicendosi disponibile a raccontare tutto ad un magistrato: "A cui direi da chi ho avuto queste relazioni e chi fosse il giornalista che ha fornito il materiale in lettura". E la sua battaglia contro l'uomo "che odia le donne" continua.

(5 agosto 2009)

http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/politica/elezioni- 2009-1/inte-guzzanti/inte-guzzanti.html?ref=search

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/le-accuse-di-paolo- guzzanti/2106062&ref=hpsp


http://www.paologuzzanti.it/
5 agosto 2009 0:00 - I nuovi
CITTA' DEL VATICANO - La chiesa scende sulle spiagge alla ricerca di proseliti e fedeli. E affida la missione a centinaia di giovani evangelizzatori, le 'Sentinelle del Mattino', pronte a sbarcare dai pedalò, indossando t-shirt con i loro 'colori' fucsia e grigio, alla conquista dei litorali italiani per portare la parola di Gesù. Con slogan e striscioni dalla scritte 'Lo annunciamo a voi'. Ma anche con vere e proprie chiese 'gonfiabili', piccole case del signore pret-a-porter, da montare sugli arenili e ricevere i credenti per celebrazioni e confessioni 'by night'. Appuntamento clou dell'iniziativa sarà ad Amalfi dove, dall'11 al 14 agosto prossimo, un esercito di 80 giovani darà vita al megaraduno nazionale degli evangelizzatori.

Con l'evento campano le Sentinelle del Mattino - associazione nata nel '99 quando, con la benedizione della Cei, ha raccolto l'appello lanciato da papa Giovanni Paolo II ai giovani per portare il Vangelo tra i coetanei - festeggiano quest'anno dieci anni di attività e di successi. Il progetto della 'missione di spiaggia', con il logo 'una luce nella notte', messo a punto dalle Sentinelle ha toccato negli anni più di 50 città italiane, con 350 manifestazioni, estendendosi a tappeto su molte delle più gettonate mete turistiche della penisola, da Cesenatico a Torvainica, da Cagliari a Termoli. Un modello, quello lanciato dalle Sentinelle del Mattino che ha fatto scuola ed è stato adottato anche direttamente da molte diocesi. A Riccione, dal 9 al 16 agosto, più di 200 missionari batteranno il litorale emiliano. Per l'occasione, il sito www.chihasetevengaame.it ha anche lanciato un 'sos' sacerdoti: quelli della diocesi non bastano infatti per le confessioni che si terranno dalle 22 alle 2:30 dove sono attese centinaia di persone. "Agli evangelizzatori fai-da-te - spiega don Andrea Brugnoli, ideatore delle Sentinelle - diciamo venite da noi e vi aiuteremo".

La formula della missione, infatti, è ben collaudata e nulla lascia all'improvvisazione. I giovani evangelizzatori, tutti tra i 18 e i 35 anni, vengono prima formati con appositi corsi dagli uffici pastorali, poi si avventurano sulle spiagge, dove "agganciano" i bagnanti coinvolgendoli in balli latino-americani o in concerti di "christian music". Qui porgono l'invito a partecipare a 'una luce nella notte', il vero cuore dell'iniziativa. "Si tratta - spiega il responsabile delle Sentinelle di Amalfi Cava, Giuseppe Califano, impegnato nei preparativi per l'imminente missione - di una chiesa aperta tutta la notte dove invitiamo chiunque lo desideri e senza alcuna costrizione ad un momento di preghiera e di adorazione eucaristica. Chi vuole può chiedere la confessione, ma si può entrare in chiesa anche solo per curiosità".

"L'anno scorso a Cava quasi 400 persone hanno accolto il nostro invito - racconta inoltre -. Vediamo che cosa succederà quest'anno qui a Maiori. Sono sicuro che ci saranno delle sorprese!". Come gli altri responsabili delle Sentinelle, anche Giuseppe è un giovane che rivendica la sua normalità. "Noi missionari di spiaggia - spiega - siamo come tutti gli altri giovani: ci piacciono le stesse cose, come per esempio andare a ballare. Solo che , rispetto agli altri, abbiamo in più l'incontro con Gesù ed è questo incontro che vogliamo proporre agli altri giovani come noi". "Senza nessuna imposizione però - sottolinea -. Anzi, noi chiediamo anche scusa per qualche sacerdote che magari è invadente. Vogliamo evitare polemiche sull'invasività della Chiesa e per questo non ci sono sacerdoti tra i ragazzi che battono palmo a palmo il litorale". Se l'obiettivo è proporre l'incontro con Gesù, qual è la risposta ricevuta finora? "Noi non cerchiamo una risposta immediata - chiarisce subito Giuseppe -. Il nostro è solo un primo annuncio, magari di appena dieci minuti. E' dentro la persona poi che deve scattare il desiderio di intraprendere un percorso". E certamente la scelta di compiere un nuovo cammino in direzione della fede in seguito all'evangelizzazione di spiaggia è la soddisfazione di cui sono alla ricerca i giovani missionari. "L'anno scorso - commenta Giuseppe - dopo la serata di 'Una luce nella notte' molti ragazzi sono tornati e hanno cominciato a frequentare la parrocchia. E' stato stupendo".

4 agosto 2009 0:00 - RU 486 test psicologico nel Paese totali
Agenzia del farmaco e ministero fanno fronte: almeno tre giorni di ricovero
FLAVIA AMABILE
ROMA
E’ ormai una pillola «all’italiana» questa Ru486, la pillola abortiva introdotta due giorni fa dopo un iter durato anni di incertezze. Perché è tutta e soltanto italiana la procedura che si sta faticosamente mettendo a punto nelle stanze di governo e prevede obblighi e formalità del tutto diversi da quelli in vigore in ogni altro paese dove la pillola è in uso. Lo pensa anche il direttore dell’Istituto «Mario Negri» di Milano, Silvio Garattini, farmacologo di fama, per il quale «stiamo assistendo a un caso così speciale solo da noi quando la RU486 da tempo è impiegata ovunque senza sollevare alcun problema».

Il primo punto, fortemente voluto dalle componenti cattoliche dell’esecutivo e recepito dall’Aifa nel dare il via libera, prevede il ricovero in ospedale fino ad aborto avvenuto. «Non accade in nessun altro Paese e l’Aifa si esporrà al ridicolo a livello internazionale nel momento in cui questa richiesta sarà ufficializzata», spiega Silvio Viale, ginecologo, che ha avviato la sperimentazione della Ru486 già nel 2005 all’ospedale Sant’Anna di Torino. «E’ un adeguarsi alle richieste della politica del tutto inusuale nel mondo scientifico», conclude. «Il trattamento in day hospital è escluso - insiste il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella - e bisognerà prevedere un ricovero di almeno tre giorni». Ma nel mondo medico è abbastanza evidente che sarà impossibile garantirlo.

Maurizio Benato, vicepresidente della Fnomceo, la Federazione dei medici chirurghi, spiega: «La Ru486 deve essere somministrata nel rispetto della legge 194 e quindi in ambito ospedaliero ma se una donna decide di tornare a casa anche a espulsione non avvenuta nessuno può obbligarla a rimanere. Non esistono strumenti per vincolarla, la volontà della paziente è sovrana, l’importante è che sia consapevole delle conseguenze che le sue dimissioni possono avere, e che quindi il consenso informato rechi tutte le informazioni necessarie». L’eventuale decisione, da parte della paziente che richiede la somministrazione della pillola, di firmare per la dimissione dalla struttura ospedaliera dopo l’assunzione della Ru486, avverte infatti il sottosegretario Eugenia Roccella, «dovrà essere scoraggiata dagli operatori sanitari e, comunque, risulterà appunto fondamentale il consenso informato».

L’unica strada da percorrere per il governo per rendere più forte l’obbligo a rimanere in ospedale potrebbe essere la minaccia di denunce penali per le donne che dovessero abortire fuori dagli ospedali dopo aver preso la Ru486 in quanto si tratterebbe di un’interruzione di gravidanza illegale, avvenuta senza rispettare l’articolo 8 della legge 194. «Ma in questo caso - replica Viale - significherebbe tornare indietro di quasi quarant’anni, l’aborto diventerebbe di nuovo una pratica illegale». Il secondo punto su cui si intende lavorare sono i provvedimenti amministrativi e gli interventi nelle linee guida anticipati già ieri dal sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella nell’intervista a «La Stampa». Una delle idee allo studio è quella di un questionario da far compilare alle donne che richiedano la somministrazione della Ru486 per selezionare chi può aver diritto a prenderla. Come spiega Eugenia Roccella, si vorrebbe «appurare l’esistenza di alcune condizioni essenziali perchè l’intervento risulti sicuro per la donna, come ad esempio la vicinanza di un ospedale alla abitazione o il fatto che non sia sola». L’ipotesi di un test psicologico è confermata anche dall’Agenzia del farmaco. «Anche in questo caso non esiste nulla del genere nel mondo intero. L’idea di un test psicologico è da Stato totalitario», avverte Silvio Viale.




4 agosto 2009 0:00 - Colletti bianchi del terzo millennio an

Antimafia a parole




Autore Luigi de Magistris Il fatto di aver espletato per circa quindici anni le funzioni di Pubblico Ministero in territori caratterizzati da una radicata e forte presenza della criminalità organizzata mi pone come osservatore privilegiato tanto da poter giungere alla conclusione che solo una parte dello Stato intende effettivamente lottare contro le mafie.

La mafia, dopo la stagione delle stragi politico-mafiose degli anni 1992-1993, ha deciso di adottare la strategia politico-criminale tipica della ’ndrangheta, ossia quella di evitare il conflitto armato con esponenti delle Istituzioni e di penetrare, invece, in modo capillare, nel tessuto economico-finanziario ed in quello politico-istituzionale.

L’infiltrazione nell’economia e nella finanza è talmente diffusa in tutto il territorio nazionale che le mafie contribuiscono ormai, in buona parte, al prodotto interno lordo del nostro Paese tanto da far sì che non si possa più distinguere tra economia legale ed economia illegale. Le mafie hanno enormi capitali da investire che rappresentano il provento della gestione del traffico internazionale di droga. Il riciclaggio avviene nel settore immobiliare, nelle finanziarie, nelle banche, nell’edilizia, nel commercio all’ingrosso ed al minuto, nelle società di calcio, nelle società che si occupano di ambiente, nella sanità, nei lavori pubblici; insomma, dove c’è denaro, dove c’è business, le mafie sono interessate.

E quando si controllano, illegalmente, settori nevralgici dell’economia nessun cittadino può dire che si tratta di problematiche a lui estranee, che non lo riguardano direttamente: difatti, se la criminalità organizzata controlla parte del ciclo dell’edilizia si comprende perché gli edifici si frantumano alla prima scossa di terremoto; se la criminalità organizzata gestisce i traffici di rifiuti tossico-nocivi si capisce perché in Italia c’è un’emergenza ambientale e sanitaria senza uguali nell’Unione Europea. La mafia, quindi, non è un problema solo di alcune regioni del Paese, non è un fatto per addetti ai lavori. E’ un’emergenza nazionale: criminale, politica, economica, sociale e culturale.

Attraverso, poi, la gestione illegale della spesa pubblica, il controllo dei finanziamenti pubblici (anche dell’Unione Europea), le mafie, in questi ultimi 17 anni in particolar modo, sono penetrate, in modo articolato e pervasivo, nella politica e nelle Istituzioni. Quando si riesce a controllare parte significativa della spesa pubblica - e mi riferisco soprattutto, in questo caso, alle regioni del Sud Italia, ma non solo - si condizionano appalti e sub-appalti in tutti i settori (ambiente, sanità, infrastrutture, informatica, formazione professionale, ecc.), si decide a chi affidare opere e lavori, quali progetti debbono essere approvati, si condiziona il mercato del lavoro decidendo insieme - criminalità organizzata, politica ed imprenditoria collusa - quali persone assumere ed alla fine si condiziona pesantemente la democrazia attraverso il voto di scambio che trova linfa con il vincolo delle appartenenze.

È nella gestione illegale della spesa pubblica, soprattutto attraverso la creazione di una miriade di società miste pubblico-private, che si realizzano anche le nuove forme di corruzione: non ci sono più, infatti, le valigette dei tempi di Chiesa e Poggiolini, ma le consulenze, i progetti, i posti nelle compagini delle società miste, le assunzioni, gli incarichi. E’ anche qui che avviene l’intreccio criminale tra controllori e controllati, è in questi segmenti che si radica il rapporto collusivo tra criminalità organizzata e pezzi delle Istituzioni: politici - che hanno realizzato anche le nuove modalità di finanziamento illecito dei partiti - funzionari e dirigenti di enti pubblici, magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine e dei servizi segreti. Spesso il collante di questi segmenti deviati - non residuali, purtroppo - delle Istituzioni sono centri di potere molto influenti: logge massoniche coperte, lobby, comitati d’affari, club di servizi, strutture talvolta con ampie radici nel mondo ecclesiastico.

Di fronte ad un cancro di tali dimensioni la lotta alle mafie a 360 gradi viene svolta da irriducibili: taluni magistrati ed appartenenti alle forze dell’ordine, singoli politici, esponenti della società civile. Siamo ancora troppo pochi e sotto assedio dei poteri forti e di quelli criminali. Lo Stato, nel suo complesso, invece, si accontenta del contrasto solo ad un certo «livello» di mafia: le estorsioni, il traffico di droga, gli omicidi. Quando si affronta, invece, il nodo fondamentale - quello che rappresenta la linfa vitale del sistema mafioso - i rapporti mafia-politica, mafia-economia e mafia-istituzioni, si rimane isolati: non è più lo Stato che agisce, ma servitori dello Stato.

E’ su questi temi che la storia d’Italia ha conosciuto la stagione degli omicidi politico-mafiosi, è su tali intrecci criminali che si stanno consolidando quelle che si possono chiamare le morti professionali di servitori dello Stato da parte di articolazioni dello Stato stesso: si tratta delle tecniche raffinatissime di neutralizzazione dei servitori dello Stato scomodi, ingombranti, deviati ed antropologicamente diversi per il sistema mafioso. Quello che è più grave è che tali nuove strategie - per nulla estemporanee - avvengono nel silenzio e, in taluni casi, anche con il contributo di chi dovrebbe essere tra i principali alleati di coloro i quali contrastano - non con chiacchiere o passerelle politico-istituzionali - le forme più pericolose ed insidiose delle mafie: quella dei colletti bianchi del terzo millennio.

Ed è su questi temi che ho trovato importanti le immediate prese di posizione congiunte, con riferimento alla lotta alle mafie, al Parlamento Europeo - nelle prime riunioni - tra parlamentari di Italia dei Valori e Partito democratico. Ed è per questo che tutte le forze democratiche del Paese debbono vigilare affinché le indagini in corso presso le Procure di Palermo e di Caltanissetta non subiscano interferenze che possono provenire non solo dalla politica, ma anche dall’interno dello stesso ordine giudiziario: non posso non ricordare che, in epoca assai recente, indagini giudiziarie molto rilevanti proprio sulla criminalità organizzata dei colletti bianchi non sono state fermate dalla mano militare dei Riina e Provenzano di ultima generazione ma dalla carta bollata del Consiglio Superiore della Magistratura che ha trovato convergenze parallele con la politica ed i poteri forti.



Luigi de Magistris
3 agosto 2009 0:00 - Il Siciliano Senatore Toto' Cuffaro....


01-08-09
ABORTO: CUFFARO, PILLOLA RU486 ALTRO DURO COLPO A VALORE VITA

(ASCA) - Palermo, 1 ago - ''Quanti nelle scorse settimane si sono spellati le mani per applaudire all'Enciclica del Papa 'Caritas in veritate' forse farebbero bene a leggerla tutta, soprattutto il punto dedicato alla bioetica. Ed invece a distanza di pochi giorni, alcuni fra coloro che ieri plaudivano oggi ci mettono di fronte a decisioni come quella sull'utilizzo della pillola RU 486 sbrigativamente liquidata solo nei suoi aspetti medico-scientifici''. Lo afferma Salvatore Cuffaro, senatore dell'Udc, ricordando che ''sembra rivedere l'inizio del caso Englaro: un 'autorevole' consesso di studiosi esprime un altrettanto 'autorevole' parere su una questione delicatissima di carattere scientifico (dalle indubbie rilevanze etiche), la stampa laica la sostiene senza farsi carico nemmeno delle conseguenze mediche, gia' note, sulla salute delle donne, una rapido sondaggio televisivo esprime un forte consenso alla decisione ed il gioco e' fatto''. Cuffaro, quindi, fa notare che ''un altro duro colpo al valore della vita viene inferto, scambiandolo per l'ennesima conquista delle donne. E a chi avanza qualche dubbio si risponde che la pillola RU486 e' meno invasivo dell'aborto terapeutico, quindi, visto che non si puo' impedire alle donne che hanno gia' deciso di farlo, di abortire meglio dare una pillola che sottoporle ad un intervento chirurgico.

Occorre - aggiunge - prendere atto che in questa societa' della frenesia e della fretta non c'e' piu' nessuno che voglia impiegare tempo e fatica nella costruzione delle coscienze, soprattutto di quelle giovanili. Si ritiene che sia meglio prendere una pillola, pur con l'assistenza di un medico, piuttosto che fermarsi a riflettere sul significato di una vita che si porta in grembo e che magari non si e' consapevolmente desiderata''.

dod/mcc/bra



2 agosto 2009 0:00 - Dio ce ne scampi!
Le discussioni proposte dal Dr. Parisi sono come quelle del Mangascià: si riconoscono subito già dal titolo, e si distinguono per la faziosità dei contenuti...
2 agosto 2009 0:00 - Un figlio del Sud spiega l'onore....


Cosa e' l'onore?
Spiegato da un figlio del Sud.....

La polemica
Saviano: perchè Pecorella infanga don Peppe Diana?
ROBERTO SAVIANO
Mi è capitato nella vita di fare pochissimi giuramenti a me stesso. Uno di questi, che non riuscirei a tradire se non vergognandomi profondamente, è difendere la memoria di chi nella mia terra è morto per combattere i clan. Ho giurato a me stesso sulla tomba di Don Peppe Diana il giorno in cui alcuni cronisti locali, alcuni politici e diversa parte di quella che qualcuno chiama opinione pubblica iniziarono un lento e subdolo tentativo di delegittimarlo.Il venticello classico di certe parti d'Italia che calunnia ogni cosa
che la smaschera; il tentativo di salvare se stessi dalla scottante
domanda "perchè io non ho mai detto o fatto niente?". Ho letto in questi
giorni sulla rivista Antimafia Duemila che due ragazzi, Dario Parazzoli
e Alessandro Didoni, hanno chiesto durante una trasmissione Tv a Gaetano
Pecorella come mai, quando era presidente della commissione giustizia,
difendeva al contempo il boss casalese egemone in Spagna Nunzio De
Falco, poi condannato come mandante dell'omicidio di Don Peppe Diana. Mi
ha colpito e ferito sentire alcune dichiarazioni dell'Onorevole
Pecorella in merito all'assassinio di Don Peppe Diana. In una intervista
al giornalista Nello Trocchia per il sito Articolo 21, Pecorella
dichiara: "Io dico che tra i moventi indicati, agli atti del processo,
ce ne sono tra i più diversi. Nel processo qualcuno ha parlato di una
vendetta per gelosia, altri hanno riferito che sarebbe stato ucciso
perchè si volevano deviare le indagini che erano in corso su un altro
gruppo criminale. E altri hanno riferito anche il fatto che conservasse
le armi del clan. Nessuno ha mai detto perchè è avvenuto questo
omicidio, visto che non c'erano precedenti per ricostruire i fatti. Se
uno conosce le carte del processo, conosce che ci sono indicate da
diverse fonti, diversi moventi". Proprio leggendo le carte si evince
chiaramente che non è così, Onorevole Pecorella. Perchè dice questo? è
vero esattamente il contrario. Dalle carte del processo emerge invece
che è tutto chiaro. E pure la sentenza della Corte di Cassazione del 4
marzo 2004 conferma che Don Peppe è stato ucciso per il suo impegno
antimafia e per nessun'altra ragione. Che De Falco (di cui lei,
Onorevole, ha assunto la difesa) ha ordinato l'uccisione di Don Peppe
per dimostrare, uccidendo un nemico in tonaca, un nemico senza armi, che
il suo gruppo era più forte e coraggioso di quello di Sandokan. E anche
per deviare la pressione dello Stato proprio sul clan Schiavone. Quelli
che lei definisce più volte "moventi indicati" furono, come dimostrano
le sentenze, delle calunnie che alcuni camorristi portarono per lungo
tempo in sede processuale per discolparsi. Calunnie nate dal fatto che
persino loro cercavano di lavarsi le mani, in buona o cattiva fede, del
sangue innocente che avevano versato. Ne avevano vergogna. Questo è quel
che dicono gli iter conclusi della giustizia italiana. Ed è per questo
che la risposta che l'Onorevole Pecorella ha dato appena qualche giorno
fa alla domanda se Don Diana, a suo avviso, non fosse stato ucciso per
il suo impegno contro i clan lascia basiti. L'onorevole dice: "Io non ho
avvisi. Io riporto quello che è emerso nel processo e nulla più. Ci sono
diversi moventi, c'è anche quello, che all'inizio non era emerso, che
faceva attività anticamorra. Per la verità nel processo non è venuto
fuori molto chiaro neanche questo come movente. è inutile che costruiamo
delle fantasie sulle ipotesi. Quella dell'impegno anticamorra è tra le
ipotesi. Ma nel processo non è emerso in modo clamoroso, non è mai
venuta fuori un'attività di trascinamento, di gente in piazza. Non è che
c'erano state manifestazioni pubbliche, documenti. Qualcuno ha detto
anche questa ragione. Come vede ci sono tanti moventi. Certamente è
stato ucciso dalla camorra. Chi viene ucciso dalla camorra è una vittima
della camorra. Ora se è un martire bisogna capirlo dal movente che non è
stato chiarito". è stato chiarito. Lo Stato Italiano considera Don Peppe
un martire della battaglia antimafia, migliaia di persone hanno sfilato
in sua difesa. E i documenti che non ci sarebbero, ci sono eccome. Hanno
non solo un nome, ma anche un titolo: "Per amore del mio popolo non
tacerò". è il documento stilato da Don Peppe insieme ad altri preti
della forania di Casal di Principe in cui viene annunciata una battaglia
pacifica, ma priva di compromessi alle logiche dei clan, al loro
predominio, alla loro mentalità, alla loro cultura, alla loro falsa
aderenza alla fede cristiana. Persino Papa Giovanni Paolo II, dopo la
morte di Don Peppino Diana, pronunciò nell'Angelus: "Voglia il signore
far sì che il sacrificio di questo suo ministro [...] produca frutti
[..]di solidarietà e di pace". Per Giovanni Paolo non ci furono dubbi,
fu un martire. Per Lei, Onorevole Pecorella, invece ce ne sono. Perchè,
mi chiedo? Le chiedo inoltre se considera legittimo rivestire il ruolo
di Presidente della Commissione Giustizia del Parlamento Italiano e
portare avanti la difesa del boss Nunzio De Falco? Lei immagino mi
risponderà di sì, che anche il peggiore dei presunti criminali, ne ha il
diritto. Ma questo principio di garanzia vale soltanto fino al verdetto
finale. Tale verdetto di colpevolezza del suo mandante è stato emesso e
confermato. Quindi la prego di non diffondere falsi dubbi sulla condanna
a morte di Don Diana. Chi ha ucciso Don Peppe Diana è uno dei clan più
potenti e feroci d'Italia che ha ancora due latitanti, Iovine e Zagaria,
liberi di investire, costruire, e portare avanti i loro affari. Oggi,
Onorevole Pecorella, lei è presidente della commissione d'inchiesta sui
rifiuti, e i Casalesi, come saprà, sono i maggiori affaristi nel
traffico di rifiuti tossici e legali. Loro quindi dovrebbero essere i
suoi maggiori nemici anche se in passato ha difeso in sedi processuali i
loro capi. La prego di avere rispetto per Don Peppe e non dare
nuovamente credito a calunnie che negli anni passati killer e mandanti
hanno cercato di riversare su una loro vittima innocente. Questa mia
domanda non è questione di destra o di sinistra. La legalità è la
premessa del dibattito politico, o almeno dovrebbe esserlo. La premessa
e non il risultato. Quando iniziai a trascrivere delle parole che Don
Peppe aveva detto nel Casertano ho ricevuto lettere commosse da molti
lettori conservatori, da cattolici di Comunione e Liberazione sino ai
ragazzi della Comunità di Sant'Egidio, dalla comunità ebraica romana e
da tante altre. La battaglia alle organizzazioni criminali, l'ho vista
fare da persone di ogni estrazione politica e sociale. Ho visto, quando
ero bambino, manifestazioni nei paesi assediati dalla camorra in cui
sfilavano insieme militanti missini, democristiani, comunisti e
repubblicani. L'onestà non ha colore, spesso così come non ne ha
l'illegalità. Per questo, il mio non è un appello che possa essere
ascritto a una parte politica. Non permetterò mai a nessuno, e come
dicevo me lo sono giurato, che la memoria di Don Peppe sia oltraggiata
da accuse false, demolite dai Tribunali, che ebbero il solo scopo di
screditare le sue parole, emettendo nel silenzio il ronzio malefico
"quello che dice non è vero". Questo non lo permetterò. Lei mi dirà che
questa mia è una battaglia troppo personale. Io le ribadirei che, sì, lo
è, è vero. Tutto ciò che riguarda la mia terra, ormai riguarda la mia
vita stessa e quindi non può che essere personale. Difendere la memoria
di Don Peppe Diana è una questione personale anche per un'altra ragione:
è una questione di onore. Onore è una parola che spesso hanno
abusivamente monopolizzato le cosche facendola diventare sinonimo del
loro codice mafioso. Ma è il tempo di sottrarla alle loro grammatiche.
Onore è il sentire violata la propria dignità umana dinanzi a
un'ingiustizia grave, è il seguire dei comportamenti indipendentemente
dai vantaggi e dagli svantaggi, è agire per difendere ciò che merita di
essere difeso. E io l'onore, l'ho imparato qui a Sud. Per meglio
spiegarmi, mi sovvengono le parole di Faulkner: "Tu non puoi capirlo
dovresti esserci nato. In realtà essere del Sud è una cosa complessa.
Comporta un'eredità di grandezza e di miseria, di conflitti interiori e
di fatalità, è un privilegio e una maledizione. Vi è il senso
aristocratico dell'onore e dell'orgoglio". Mi piacerebbe poter mettere
una parola definitiva su questo. Su quanto accaduto a don Peppe.
Permettere di farlo riposare in pace. Riposare in pace significa non
chiamarlo in causa laddove non può difendersi. A volte, come accade a
molti miei compaesani per cui conserva il suo valore, mi viene di
rivolgermi a lui. Don Peppe se è vero che tu hai visto la fine della
guerra, perchè, come dice Platone, solo i morti hanno visto la fine
della guerra, sta a noi vivi il compito di continuare a combatterla. E
non ci daremo pace.

Roberto Saviano
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