Bello questo articolo di Giuseppe Parisi! Scientifico! Me lo
sono copiato... me lo stampo e me lo centellino!
5 gennaio 2010 10:41 - Lusnam
Ecco come il Governo attuale vuole sconfiggere le Mafie....
una metodologia sinceramente vincente!
spiegato da Roberto Saviano....
buona lettura
Il caso
Saviano: perchè la 'ndrangheta scende in guerra contro i
pm
ROBERTO SAVIANO
Chi parla di mafia diffama il Paese? Chi parla di mafia
difende il Paese. Le organizzazioni criminali contano molto:
solo con la coca i clan fatturano sessanta volte quanto
fattura la Fiat. Calabria e Campania forniscono i più
grandi mediatori mondiali per il traffico di cocaina. Si
arriva a calcolare che 'ndrangheta e camorra trattano circa
600 tonnellate di coca l'anno, ed è una stima per difetto.
La 'ndranghetacome dimostrano le inchieste di Nicola
Grattericompra coca a 2.400 euro al kilo e la rivende a 60
euro al grammo, guadagnando 60.000 euro. Quindi con meno di
2.400 euro di investimento iniziale, percepisce una entrata
pulita di 57.600 euro. Basta moltiplicare questa cifra per
le tonnellate di coca acquistate e distribuite da tutte le
mafie italiane e diventa facile capire la quantità di
denaro di cui dispongono, al netto di cemento ed
estorsioni.
Quell'esplosione è solo l'inizio
Capire il messaggio e rispondere
COSì L'ALTRA MAFIA HA SCELTO LA GUERRA
Lo scrittore
La 'ndrangheta e la svolta del tritolo
Se volessero, le cosche potrebbero far saltare in aria tutta
la città.
Ma stavolta non volevano colpire duramente, solo dare inizio
a un
confronto militare
Ai messaggi della criminalità organizzata bisogna
rispondere subito,
evitando l'errore di lasciarli passare come un generico
assalto alle
istituzioniE raffrontarla con il peso industriale delle
imprese leader - che hanno
molti meno profitti - per comprendere il potere che oggi
hanno realmente
nel paese e in Europa le organizzazioni criminali.
Proprio dinanzi a fatti come l'attentato di Reggio Calabria
diventa
imperativa la necessità di capire. è la conoscenza che
permette di
capire cosa stia accadendo. E non raccontare questa azione
come un
episodio avvenuto in un altro mondo, in un altro paese. Un
paese di
quelli lontani dove una bomba o un morto rientrano nel
quotidiano. Le
organizzazioni criminali italiane quando agiscono e quando
decidono di
mandare un segnale, sanno perfettamente cosa fanno e dove
vogliono
arrivare. La bomba non è stata messa davanti a una caserma,
nè alla sede
della Direzione Antimafia, ma alla Procura generale. Il
messaggio,
dunque, è rivolto alla Procura Generale. E forse - ma qui
si è ancora
nel territorio delle ipotesi - a Salvatore Di Landro, da
poco più di un
mese divenuto Procuratore generale. Da quando si è
insediato, il clima
non è più quello che le ?ndrine reggine conoscevano. Le
cose stanno
cambiando e le ?ndrine non apprezzano questo cambiamento.
Preferirebbero
magari che le difficoltà burocratiche e certe gestioni non
proprio
coraggiose del passato possano continuare. Le mafie sanno
che la
giustizia italiana è complicata e spesso così lenta che è
come se un
bambino rompesse un vaso a sei anni e la madre gli desse uno
schiaffo
quando ne ha compiuti trenta.
Se volessero, le cosche potrebbero far saltare in aria tutta
Reggio
Calabria. La ?ndrangheta possiede esplosivo c3 e c4. Decine
di bazooka.
Perchè, allora, far esplodere una bomba artigianale davanti
alla
Procura, quasi fosse una lettera da imbucare? Evidentemente
non volevano
colpire duramente, ma lanciare un primo segnale, dare inizio
a un
"confronto militare". Anche l'operatività potrebbe essere
stata di una
sola famiglia, con una sorta di silenzio-assenso delle altre
che in
questo modo hanno reso il gesto collettivo.
Ora bisogna accendere una luce su ogni angolo della Procura
generale,
stare al fianco di chi sta attuando questo cambiamento.
Capire se le
?ndrine vogliono che una corrente prevalga sull'altra.
Capire, parlarne,
dare visibilità alla Calabria, alle dinamiche che legano
imprenditoria,
criminalità, massoneria, politica in un intreccio che
fattura miliardi
di euro di cui nessuno viene investito in Calabria e tutti
fuori. Da
Montreal a Sidney. E alla solita idiozia che verrà ripetuta
a chi scrive
di questi temi, ossia di essere "professionisti
dell'antimafia", occorre
rispondere che il vero problema è che esistono troppi
"dilettanti"
dell'antimafia.
Le mafie stanno alzando il tiro. O almeno, si sente in
diversi territori
una forte tensione. Dovuta a diversi motivi, non ultima la
chiusura di
importanti processi, come il terzo grado del processo
Spartacus di cui
fra pochi giorni verrà pronunciata la sentenza. I Casalesi
potrebbero
agire militarmente dopo una condanna definitiva. Avevano nei
loro
referenti politici una sorta di garanzia che si sarebbero
occupati dei
loro processi. In caso di ergastoli, gli inquirenti temono
risposte e
l'attenzione mediatica dovrebbe essere massima, ma non lo
è.
A Reggio Calabria l'arresto di Pasquale Condello, nel giugno
dell'anno
scorso, fatto dai Carabinieri comandati da una leggenda del
contrasto
alle ?ndrine, il colonnello Valerio Giardina, ha rotto gli
equilibri di
pace. Pasquale Condello detto "il supremo" era riuscito a
mettere pace
tra le ?ndrine di Reggio dopo una faida tra 1985 e il 1991
tra i De
Stefano-Tegano e Condello-Imerti che aveva portato ad una
mattanza di
più di mille persone. Condello faceva affari ovunque: senza
un suo si o
un suo no nulla sarebbe potuto accadere a Reggio. Quindi è
anche alla
sua famiglia che bisogna guardare per capire da dove è
partito l'ordine
della bomba. La sua capacità di aprire verticalmente e
orizzontalmente i
propri affari era la garanzia di pace. All'inizio di
ottobre, la
famiglia Condello è persino riuscita ad ottenere la lettura
delle parole
di felicitazione diBenedetto XVI trasmesse nella cattedrale
di Reggio
Calabria da don Roberto Lodetti, parroco di Archi, agli
sposiCaterina
Condello e Daniele Ionetti:la prima, figlia diPasquale; il
secondo, il
figlio diAlfredo Ionetti,ritenuto il tesoriere della cosca.
"Increscioso
e deplorevole" ha definito l'episodio il settimanale
diocesano
l'Avvenire di Calabria. La prassi vuole che quando gli sposi
desiderano
ricevere un telegramma o una pergamena del papa, ne facciano
richiesta
al parroco o ad un prete di loro conoscenza, il quale
trasmette la
richiesta all'ufficio matrimoni della Curia. Non è il
telegramma a
destare scandalo quanto piuttosto il via libera dato dalla
Curia reggina
per le nozze in cattedrale di due rampolli di una
potentissima ?ndrina
calabrese. Difficile credere che non si sia prestata
attenzione ai
cognomi dei due sposi. Anche perchè Caterina Condello e
Daniele Ionetti
sono cugini di primo grado e il diritto canonico (art. 1091)
consente un
matrimonio tra consanguinei solo con motivata dispensa
richiesta dal
parroco e sottoscritta dal vescovo.
Il clan Condello da oltre 25 anni ha comandato a Reggio. I
matrimoni
dovrebbero essere molto controllati e i preti dovrebbero
davvero
interessarsi alla motivazione delle unioni. Nel 2003 fu
sequestrata una
lettera a Cesena a casa di Alfredo Ionetti, lettera scritta
dalla moglie
del Supremo, Maria Morabito. In questa lettera spedita a
un'amica si
parlava dell'altra figlia femmina, Angela: "Cara Anna (...)
mia figlia
ha dovuto lasciare un bel ragazzo solamente perchè, nel
passato, alcuni
suoi parenti erano nemici di mio marito (...) Non c'è stato
niente da
fare, hanno dovuto smettere (...) Avevo sperato in un futuro
migliore
per mia figlia, che sarebbero stati bene insieme. (...) Ma
dobbiamo
portare la nostra croce?".
Le famiglie di Reggio vivono di questi vincoli, e spesso le
prime
vittime sono i familiari. In questo contesto, rompere il
ruolo del
sacramento religioso come patto di sangue tra mafiosi è
qualcosa che
solo i sacerdoti coraggiosi - e per fortuna ce ne sono -
possono fare.
è importante che le istituzioni diano una risposta forte
dopo la vicenda
dell'attentato in Calabria. Quindi è bene che Maroni visiti
Reggio, ma
dovrebbe farlo anche il Ministro della Giustizia. Ai
messaggi mafiosi
bisogna rispondere subito, duramente, e soprattutto
comprendendoli e non
lasciandoli passare come un generico assalto alle
istituzioni. Le mafie
sanno che la più grande tragedia e la più grande festa non
durano per
più di cinque giorni. Quindi l'attenzione si abbassa, il
giunco si cala
e passa la china. Oggi la situazione storica sembra
pericolosamente
somigliare a quella già passata in Sicilia. Non è questo
un governo con
la priorità antimafia, non è questa un'opposizione con una
priorità
antimafia. Nonostante gli sforzi degli arresti.
Ad esempio: la legge sulle intercettazioni. Nella lotta alla
mafia sono
uno strumento indispensabile. E ora diviene talmente
difficile poterle
fare e ancora più poterle far proseguire per un tempo
adeguato per
ottenere dei risultati, che la macchina della giustizia
viene nuovamente
oberata di burocrazia, rallentata. Si rischia di privare gli
inquirenti
dell'unico strumento capace di stare al passo con una
criminalità che
dispone di ogni mezzo moderno per continuare a fare i propri
interessi.
Se i magistrati si trovano davanti a grossissime limitazioni
nell'uso
delle intercettazioni, è come se dovessero tornare a
combattere con lo
schioppetto contro chi possiede nel proprio armamentario
ogni
sofisticato dispositivo tecnologico.
L'altro problema sta in ogni disegno che cerca di accorciare
i tempi
processuali. Abolito il patteggiamento in appello, resta in
vigore il
rito abbreviato. Per un mafioso è conveniente: così - fra
vari sconti e
discrezionalità della pena valutata dai giudici - va a
finire che spesso
un boss può cavarsela con cinque anni di galera. Per lui e
il suo potere
non sono nulla, anzi sono quasi un regalo. E questa
situazione col
disegno sul processo breve cambia, ma solo in peggio.
Per i reati di mafia bisogna fare il contrario: creare un
sistema più
certo e più serio delle pene, tale da rendere non
conveniente essere
mafiosi. La pena deve essere comminata in dibattimento,
senza
possibilità di abbreviazione del rito. Lo stato non può
rinunciare a
celebrare processi regolari contro chi si macchia di certi
reati e,
peggio ancora, inquina il suo stesso funzionamento. Non si
tratta di
giustizialismo, ma semplicemente dell'esigenza che una
condanna equa
scaturisca da un processo fatto come si deve.
Questo governo agisce soprattutto a livello di ordine
pubblico. In primo
luogo con gli arresti, che divengono l'unica prova
dell'efficacia della
lotta alla mafia. Ma l'esecutivo non ha approntato strumenti
per colpire
il punto nevralgico delle organizzazioni criminali: la loro
forza
economica. Sì certo, i sequestri di beni ci sono, ma i
sequestri dei
beni materiali sono il risultato di imprese che invece
ancora
proliferano e di un sistema economico che non è stato
affatto aggredito.
Sul piano legislativo sarebbe gravissimo reimmettere
all'asta i beni dei
mafiosi. Li acquisterebbero di nuovo.Lo scudo fiscale per le
mafie è un
favore. E questa è la valutazione di moltissimi
investistigatori
antimafia. Bisogna fare invece altro.Intervenire sul piano
legislativo
altrove. Cominciare col mettere uno spartiacque tra i reati
comuni e
quelli della criminalità organizzata. Ma bisogna anche
smettere una
volta per tutte di definire "diffamatori" coloro che
accendono una luce
sui fenomeni di mafia. Anche perchè non è purtroppo con
l'episodio di
Reggio che si chiude una vicenda. Questo è soltanto
l'inizio.
4 gennaio 2010 17:48 - Lusnam
Grazie dottor Parisi, ieri leggevo un articolo
da "il fatto quodidiano" che mi ha ricordato i bei
tempi...
quando la gente si svegliera' dal torpore?
fonte:
Il Fatto Quotidiano, 3 gennaio 2009.
TENDENZE
CRITICI ADDIO Recensioni virtuali da lettore a lettore
Si chiama aNobii ed è il maggior social network letterario
sulla piazza:
in catalogo quindici milioni di titoli e un'utenza che
viaggia verso il
milione di unità
di Nicola Lagioia
I Miserabili: titanico e geniale polpettone della
letteratura moderna.
Mostra i segni del tempo ma il tempo non avrebbe proceduto
sugli umani come
ha fatto se il suo autore ("un pazzo che si credeva Victor
Hugo", lo definì
Cocteau) non lo avesse scritto.
Questo sofisticato giudizio su uno dei romanzi più
importanti del XIX
secolo non è opera di uno scrittore, né di un critico, e
nemmeno di un
giornalista culturale. Si tratta di una delle tante
recensioni che vi
compariranno sullo schermo del computer alla voce "I
Miserabili"
collegandovi ad aNobii, il maggior social network letterario
presente sulla
piazza. Con un catalogo di quindici milioni di titoli e
un'utenza che
viaggia verso il milione di unità, questa sorta di Cafè le
Procope del web
2.0 ha creato in poco tempo la più vasta e febbrile
comunità di lettori che
si sia mai data appuntamento in un luogo. Fondata a Hong
Kong nell'agosto
del 2005, la comunità telematica che prende il nome dal
tarlo della carta
(Anobium) si è espansa rapidamente, dischiudendo ai
fanatici della lettura
scenari che solo la Rete può rendere reali: riuscire a
entrare in contatto
nello spazio di un clic con chi ama (o odia, o
semplicemente possiede) il
libro che ci interessa, scambiare idee con lui o lei,
esplorare - puro
voyeurismo a fin di bene - la sua libreria seguendo commenti
e voti dati a
ogni volume (da una a quattro stellette), quindi magari
trarre ispirazione
per il prossimo libro da acquistare, leggere e segnalare a
propria volta on
li-ne.
A chi scrive è ad esempio capitata la seguente avventura:
considerando un
mezzo bluff Nicolai Lilin, l'autore di "Educazione
siberiana", storia
autobiografica di un giovane che cresce tra i criminali
della Transnistria
prima di trasferirsi nel cuneese come tatuatore e saltuario
frequentatore di
Casa Pound a Roma, ho cercato il suo libro su aNobii
sperando in molte
stroncature. Ho trovato al contrario parecchi giudizi
positivi, ma tra le
stroncature ce n'era una che mi ha subito conquistato. Il
titolo che
precedeva la puntigliosa demolizione dell'opera di Lilin,
a firma EnzoB
("Sono un uomo di mondo, ho fatto il militare a Cuneo -
Nicolai Lilin:
educato male"), era una presa in giro che sintetizzava molto
bene la
velleità del libro. Ho pensato che questo EnzoB doveva
essere un mezzo
genio, e mi sono lanciato nell'esplorazione della sua
libreria. Vi ho
trovato la stroncatura di un clone di Millennium ("Stieg
Larsson è morto,
fatevene una ragione"), un elogio sperticato del bellissimo
"Suttree" di
Cormac Mc-Carthy, fino a quando (dopo altre stellette e
commenti che
facevano guadagnare sempre più a EnzoB la mia fiducia) ho
pescato la
recensione del libro che da mesi sapevo inconsapevolmente di
voler leggere:
"Il fabbricante di eco" di Richard Powers. E poiché la
recensione di EnzoB
superava - per passione e competenza - tutti i pezzi su
carta che avevo
letto sull'ultimo Powers, a un certo punto ho spento il
computer e sono
andato finalmente a comprare il romanzo. Grazie aNobii, e
grazie EnzoB.
La cosa più sorprendente di aNobii (le cui 600 recensioni
più popolari
sono state raccolte da poco su volume per Rizzoli) non è
tuttavia la qualità
degli interventi, ma il fatto che la maggior parte di questi
provenga dall'Italia.
Tra gli oltre cinquantacinque Paesi che compongono la
comunità virtuale,
il nostro è il più rappresentato. "Madame Bovary", che per
esempio su
aNobii-Francia conta appena 30 lettori, è finito nelle
librerie di ben 6800
anobiiani d'Italia. E "Pastorale americana"? Mentre i
connazionali di Roth
che lo hanno inserito nella bacheca virtuale sono 39, i
lettori di casa
nostra ammontano provvisoriamente a 3063. Per non parlare
dei best seller
("La solitudine dei numeri primi", recensita e discussa da
oltre diecimila
utenti) e del fatto che sono italiani i gruppi di lettura
più vitali, e le
più attive costellazioni di forum che fanno capo al social
network. Il che
ha del miracoloso, tenuto conto che l'Italia non brilla per
numero di
lettori, è meno popolata di Paesi come gli Stati Uniti, e
soprattutto tra le
nazioni del primo mondo è molto indietro in fatto di
informatica. A che
imputare questo successo?
Mi sono immerso tra le pagine del social network alla
ricerca di una
spiegazione, fino a quando di spiegazioni me ne sono venute
in mente
addirittura due. Uno: in un Paese come il nostro, che ha
visto negli
ultimi anni la cultura sempre più oggetto di disprezzo
(vedi le sorti
della ricerca, o le esternazioni dei vari Brunetta), trovare
un luogo in cui
poter condividere questa passione è quanto meno
rivitalizzante. Due: i
lettori italiani si fidano sempre meno dei loro tradizionali
mediatori
culturali. Ho assistito a molti dibattiti in cui i soloni
delle nostre
lettere rimestavano fino alla morte Adorno, Horkheimer e
Andy Warhol per
giustificare storicamente concetti quali la "morte della
critica militante".
Mai uno però che provasse a fare meaculpa sollevando il
velo sulla natura
di tante recensioni professionali: pezzi scritti spesso in
batteria,
prevedibili, mancanti di passione o in trasparenza servili o
astiosi o
stiticamente entusiasti quando non inutilmente cervellotici,
il cui vero
destinatario non è mai il lettore ma altri addetti ai
lavori ("e allora
perché non ricorrere alle mail collettive invece che a un
quotidiano
nazionale"? mi sono spesso domandato).
I commentatori italiani di aNobii , al contrario -
troppo numerosi per
non rompere il recinto di intellettuali, scrittori e
aspiranti tali in cui
spesso sono chiusi anche i lit blog - sono lettori accaniti
e
disinteressati, e mostrano di avere attraversato l'intera
esperienza di un
libro: hanno speso soldi per acquistarlo, e tempo per
leggerlo, lo hanno
davvero amato o detestato, e spesso con competenza e senza
inutili puzze
sotto al naso restituiscono una passione e un'intelligenza
che risultano
contagiose. Motivo per cui preferiscono consigliarsi i
libri tra di loro
piuttosto che aspettare l'ennesima recensione capace di
accostarsi a un
libro come a un topo morto. Forse, per una volta, i soloni
di cui sopra
potrebbero mettersi in discussione davanti a un'esperienza
come questa. A
meno che non preferiscano morire comodamente sotto il crollo
delle torri d'avorio
e di risentimento dentro cui si addormentano ogni sera.