COMMENTI
  (Da 1 a 3 di 3)  
5 gennaio 2010 19:15 - lucillafiaccola1796
Bello questo articolo di Giuseppe Parisi! Scientifico! Me lo sono copiato... me lo stampo e me lo centellino!
5 gennaio 2010 10:41 - Lusnam
Ecco come il Governo attuale vuole sconfiggere le Mafie.... una metodologia sinceramente vincente!
spiegato da Roberto Saviano....
buona lettura

Il caso
Saviano: perchè la 'ndrangheta scende in guerra contro i pm
ROBERTO SAVIANO
Chi parla di mafia diffama il Paese? Chi parla di mafia difende il Paese. Le organizzazioni criminali contano molto: solo con la coca i clan fatturano sessanta volte quanto fattura la Fiat. Calabria e Campania forniscono i più grandi mediatori mondiali per il traffico di cocaina. Si arriva a calcolare che 'ndrangheta e camorra trattano circa 600 tonnellate di coca l'anno, ed è una stima per difetto. La 'ndranghetacome dimostrano le inchieste di Nicola Grattericompra coca a 2.400 euro al kilo e la rivende a 60 euro al grammo, guadagnando 60.000 euro. Quindi con meno di 2.400 euro di investimento iniziale, percepisce una entrata pulita di 57.600 euro. Basta moltiplicare questa cifra per le tonnellate di coca acquistate e distribuite da tutte le mafie italiane e diventa facile capire la quantità di denaro di cui dispongono, al netto di cemento ed estorsioni.
Quell'esplosione è solo l'inizio
Capire il messaggio e rispondere
COSì L'ALTRA MAFIA HA SCELTO LA GUERRA
Lo scrittore
La 'ndrangheta e la svolta del tritolo

Se volessero, le cosche potrebbero far saltare in aria tutta la città.
Ma stavolta non volevano colpire duramente, solo dare inizio a un
confronto militare
Ai messaggi della criminalità organizzata bisogna rispondere subito,
evitando l'errore di lasciarli passare come un generico assalto alle
istituzioniE raffrontarla con il peso industriale delle imprese leader - che hanno
molti meno profitti - per comprendere il potere che oggi hanno realmente
nel paese e in Europa le organizzazioni criminali.
Proprio dinanzi a fatti come l'attentato di Reggio Calabria diventa
imperativa la necessità di capire. è la conoscenza che permette di
capire cosa stia accadendo. E non raccontare questa azione come un
episodio avvenuto in un altro mondo, in un altro paese. Un paese di
quelli lontani dove una bomba o un morto rientrano nel quotidiano. Le
organizzazioni criminali italiane quando agiscono e quando decidono di
mandare un segnale, sanno perfettamente cosa fanno e dove vogliono
arrivare. La bomba non è stata messa davanti a una caserma, nè alla sede
della Direzione Antimafia, ma alla Procura generale. Il messaggio,
dunque, è rivolto alla Procura Generale. E forse - ma qui si è ancora
nel territorio delle ipotesi - a Salvatore Di Landro, da poco più di un
mese divenuto Procuratore generale. Da quando si è insediato, il clima
non è più quello che le ?ndrine reggine conoscevano. Le cose stanno
cambiando e le ?ndrine non apprezzano questo cambiamento. Preferirebbero
magari che le difficoltà burocratiche e certe gestioni non proprio
coraggiose del passato possano continuare. Le mafie sanno che la
giustizia italiana è complicata e spesso così lenta che è come se un
bambino rompesse un vaso a sei anni e la madre gli desse uno schiaffo
quando ne ha compiuti trenta.
Se volessero, le cosche potrebbero far saltare in aria tutta Reggio
Calabria. La ?ndrangheta possiede esplosivo c3 e c4. Decine di bazooka.
Perchè, allora, far esplodere una bomba artigianale davanti alla
Procura, quasi fosse una lettera da imbucare? Evidentemente non volevano
colpire duramente, ma lanciare un primo segnale, dare inizio a un
"confronto militare". Anche l'operatività potrebbe essere stata di una
sola famiglia, con una sorta di silenzio-assenso delle altre che in
questo modo hanno reso il gesto collettivo.
Ora bisogna accendere una luce su ogni angolo della Procura generale,
stare al fianco di chi sta attuando questo cambiamento. Capire se le
?ndrine vogliono che una corrente prevalga sull'altra. Capire, parlarne,
dare visibilità alla Calabria, alle dinamiche che legano imprenditoria,
criminalità, massoneria, politica in un intreccio che fattura miliardi
di euro di cui nessuno viene investito in Calabria e tutti fuori. Da
Montreal a Sidney. E alla solita idiozia che verrà ripetuta a chi scrive
di questi temi, ossia di essere "professionisti dell'antimafia", occorre
rispondere che il vero problema è che esistono troppi "dilettanti"
dell'antimafia.
Le mafie stanno alzando il tiro. O almeno, si sente in diversi territori
una forte tensione. Dovuta a diversi motivi, non ultima la chiusura di
importanti processi, come il terzo grado del processo Spartacus di cui
fra pochi giorni verrà pronunciata la sentenza. I Casalesi potrebbero
agire militarmente dopo una condanna definitiva. Avevano nei loro
referenti politici una sorta di garanzia che si sarebbero occupati dei
loro processi. In caso di ergastoli, gli inquirenti temono risposte e
l'attenzione mediatica dovrebbe essere massima, ma non lo è.
A Reggio Calabria l'arresto di Pasquale Condello, nel giugno dell'anno
scorso, fatto dai Carabinieri comandati da una leggenda del contrasto
alle ?ndrine, il colonnello Valerio Giardina, ha rotto gli equilibri di
pace. Pasquale Condello detto "il supremo" era riuscito a mettere pace
tra le ?ndrine di Reggio dopo una faida tra 1985 e il 1991 tra i De
Stefano-Tegano e Condello-Imerti che aveva portato ad una mattanza di
più di mille persone. Condello faceva affari ovunque: senza un suo si o
un suo no nulla sarebbe potuto accadere a Reggio. Quindi è anche alla
sua famiglia che bisogna guardare per capire da dove è partito l'ordine
della bomba. La sua capacità di aprire verticalmente e orizzontalmente i
propri affari era la garanzia di pace. All'inizio di ottobre, la
famiglia Condello è persino riuscita ad ottenere la lettura delle parole
di felicitazione diBenedetto XVI trasmesse nella cattedrale di Reggio
Calabria da don Roberto Lodetti, parroco di Archi, agli sposiCaterina
Condello e Daniele Ionetti:la prima, figlia diPasquale; il secondo, il
figlio diAlfredo Ionetti,ritenuto il tesoriere della cosca. "Increscioso
e deplorevole" ha definito l'episodio il settimanale diocesano
l'Avvenire di Calabria. La prassi vuole che quando gli sposi desiderano
ricevere un telegramma o una pergamena del papa, ne facciano richiesta
al parroco o ad un prete di loro conoscenza, il quale trasmette la
richiesta all'ufficio matrimoni della Curia. Non è il telegramma a
destare scandalo quanto piuttosto il via libera dato dalla Curia reggina
per le nozze in cattedrale di due rampolli di una potentissima ?ndrina
calabrese. Difficile credere che non si sia prestata attenzione ai
cognomi dei due sposi. Anche perchè Caterina Condello e Daniele Ionetti
sono cugini di primo grado e il diritto canonico (art. 1091) consente un
matrimonio tra consanguinei solo con motivata dispensa richiesta dal
parroco e sottoscritta dal vescovo.
Il clan Condello da oltre 25 anni ha comandato a Reggio. I matrimoni
dovrebbero essere molto controllati e i preti dovrebbero davvero
interessarsi alla motivazione delle unioni. Nel 2003 fu sequestrata una
lettera a Cesena a casa di Alfredo Ionetti, lettera scritta dalla moglie
del Supremo, Maria Morabito. In questa lettera spedita a un'amica si
parlava dell'altra figlia femmina, Angela: "Cara Anna (...) mia figlia
ha dovuto lasciare un bel ragazzo solamente perchè, nel passato, alcuni
suoi parenti erano nemici di mio marito (...) Non c'è stato niente da
fare, hanno dovuto smettere (...) Avevo sperato in un futuro migliore
per mia figlia, che sarebbero stati bene insieme. (...) Ma dobbiamo
portare la nostra croce?".
Le famiglie di Reggio vivono di questi vincoli, e spesso le prime
vittime sono i familiari. In questo contesto, rompere il ruolo del
sacramento religioso come patto di sangue tra mafiosi è qualcosa che
solo i sacerdoti coraggiosi - e per fortuna ce ne sono - possono fare.
è importante che le istituzioni diano una risposta forte dopo la vicenda
dell'attentato in Calabria. Quindi è bene che Maroni visiti Reggio, ma
dovrebbe farlo anche il Ministro della Giustizia. Ai messaggi mafiosi
bisogna rispondere subito, duramente, e soprattutto comprendendoli e non
lasciandoli passare come un generico assalto alle istituzioni. Le mafie
sanno che la più grande tragedia e la più grande festa non durano per
più di cinque giorni. Quindi l'attenzione si abbassa, il giunco si cala
e passa la china. Oggi la situazione storica sembra pericolosamente
somigliare a quella già passata in Sicilia. Non è questo un governo con
la priorità antimafia, non è questa un'opposizione con una priorità
antimafia. Nonostante gli sforzi degli arresti.
Ad esempio: la legge sulle intercettazioni. Nella lotta alla mafia sono
uno strumento indispensabile. E ora diviene talmente difficile poterle
fare e ancora più poterle far proseguire per un tempo adeguato per
ottenere dei risultati, che la macchina della giustizia viene nuovamente
oberata di burocrazia, rallentata. Si rischia di privare gli inquirenti
dell'unico strumento capace di stare al passo con una criminalità che
dispone di ogni mezzo moderno per continuare a fare i propri interessi.
Se i magistrati si trovano davanti a grossissime limitazioni nell'uso
delle intercettazioni, è come se dovessero tornare a combattere con lo
schioppetto contro chi possiede nel proprio armamentario ogni
sofisticato dispositivo tecnologico.
L'altro problema sta in ogni disegno che cerca di accorciare i tempi
processuali. Abolito il patteggiamento in appello, resta in vigore il
rito abbreviato. Per un mafioso è conveniente: così - fra vari sconti e
discrezionalità della pena valutata dai giudici - va a finire che spesso
un boss può cavarsela con cinque anni di galera. Per lui e il suo potere
non sono nulla, anzi sono quasi un regalo. E questa situazione col
disegno sul processo breve cambia, ma solo in peggio.
Per i reati di mafia bisogna fare il contrario: creare un sistema più
certo e più serio delle pene, tale da rendere non conveniente essere
mafiosi. La pena deve essere comminata in dibattimento, senza
possibilità di abbreviazione del rito. Lo stato non può rinunciare a
celebrare processi regolari contro chi si macchia di certi reati e,
peggio ancora, inquina il suo stesso funzionamento. Non si tratta di
giustizialismo, ma semplicemente dell'esigenza che una condanna equa
scaturisca da un processo fatto come si deve.
Questo governo agisce soprattutto a livello di ordine pubblico. In primo
luogo con gli arresti, che divengono l'unica prova dell'efficacia della
lotta alla mafia. Ma l'esecutivo non ha approntato strumenti per colpire
il punto nevralgico delle organizzazioni criminali: la loro forza
economica. Sì certo, i sequestri di beni ci sono, ma i sequestri dei
beni materiali sono il risultato di imprese che invece ancora
proliferano e di un sistema economico che non è stato affatto aggredito.
Sul piano legislativo sarebbe gravissimo reimmettere all'asta i beni dei
mafiosi. Li acquisterebbero di nuovo.Lo scudo fiscale per le mafie è un
favore. E questa è la valutazione di moltissimi investistigatori
antimafia. Bisogna fare invece altro.Intervenire sul piano legislativo
altrove. Cominciare col mettere uno spartiacque tra i reati comuni e
quelli della criminalità organizzata. Ma bisogna anche smettere una
volta per tutte di definire "diffamatori" coloro che accendono una luce
sui fenomeni di mafia. Anche perchè non è purtroppo con l'episodio di
Reggio che si chiude una vicenda. Questo è soltanto l'inizio.
4 gennaio 2010 17:48 - Lusnam
Grazie dottor Parisi, ieri leggevo un articolo
da "il fatto quodidiano" che mi ha ricordato i bei tempi...
quando la gente si svegliera' dal torpore?

fonte:
Il Fatto Quotidiano, 3 gennaio 2009.

TENDENZE
CRITICI ADDIO Recensioni virtuali da lettore a lettore
Si chiama aNobii ed è il maggior social network letterario sulla piazza:
in catalogo quindici milioni di titoli e un'utenza che viaggia verso il
milione di unità
di Nicola Lagioia
I Miserabili: titanico e geniale polpettone della letteratura moderna.
Mostra i segni del tempo ma il tempo non avrebbe proceduto sugli umani come
ha fatto se il suo autore ("un pazzo che si credeva Victor Hugo", lo definì
Cocteau) non lo avesse scritto.
Questo sofisticato giudizio su uno dei romanzi più importanti del XIX
secolo non è opera di uno scrittore, né di un critico, e nemmeno di un
giornalista culturale. Si tratta di una delle tante recensioni che vi
compariranno sullo schermo del computer alla voce "I Miserabili"
collegandovi ad aNobii, il maggior social network letterario presente sulla
piazza. Con un catalogo di quindici milioni di titoli e un'utenza che
viaggia verso il milione di unità, questa sorta di Cafè le Procope del web
2.0 ha creato in poco tempo la più vasta e febbrile comunità di lettori che
si sia mai data appuntamento in un luogo. Fondata a Hong Kong nell'agosto
del 2005, la comunità telematica che prende il nome dal tarlo della carta
(Anobium) si è espansa rapidamente, dischiudendo ai fanatici della lettura
scenari che solo la Rete può rendere reali: riuscire a entrare in contatto
nello spazio di un clic con chi ama (o odia, o semplicemente possiede) il
libro che ci interessa, scambiare idee con lui o lei, esplorare - puro
voyeurismo a fin di bene - la sua libreria seguendo commenti e voti dati a
ogni volume (da una a quattro stellette), quindi magari trarre ispirazione
per il prossimo libro da acquistare, leggere e segnalare a propria volta on
li-ne.
A chi scrive è ad esempio capitata la seguente avventura: considerando un
mezzo bluff Nicolai Lilin, l'autore di "Educazione siberiana", storia
autobiografica di un giovane che cresce tra i criminali della Transnistria
prima di trasferirsi nel cuneese come tatuatore e saltuario frequentatore di
Casa Pound a Roma, ho cercato il suo libro su aNobii sperando in molte
stroncature. Ho trovato al contrario parecchi giudizi positivi, ma tra le
stroncature ce n'era una che mi ha subito conquistato. Il titolo che
precedeva la puntigliosa demolizione dell'opera di Lilin, a firma EnzoB
("Sono un uomo di mondo, ho fatto il militare a Cuneo - Nicolai Lilin:
educato male"), era una presa in giro che sintetizzava molto bene la
velleità del libro. Ho pensato che questo EnzoB doveva essere un mezzo
genio, e mi sono lanciato nell'esplorazione della sua libreria. Vi ho
trovato la stroncatura di un clone di Millennium ("Stieg Larsson è morto,
fatevene una ragione"), un elogio sperticato del bellissimo "Suttree" di
Cormac Mc-Carthy, fino a quando (dopo altre stellette e commenti che
facevano guadagnare sempre più a EnzoB la mia fiducia) ho pescato la
recensione del libro che da mesi sapevo inconsapevolmente di voler leggere:
"Il fabbricante di eco" di Richard Powers. E poiché la recensione di EnzoB
superava - per passione e competenza - tutti i pezzi su carta che avevo
letto sull'ultimo Powers, a un certo punto ho spento il computer e sono
andato finalmente a comprare il romanzo. Grazie aNobii, e grazie EnzoB.
La cosa più sorprendente di aNobii (le cui 600 recensioni più popolari
sono state raccolte da poco su volume per Rizzoli) non è tuttavia la qualità
degli interventi, ma il fatto che la maggior parte di questi provenga dall'Italia.
Tra gli oltre cinquantacinque Paesi che compongono la comunità virtuale,
il nostro è il più rappresentato. "Madame Bovary", che per esempio su
aNobii-Francia conta appena 30 lettori, è finito nelle librerie di ben 6800
anobiiani d'Italia. E "Pastorale americana"? Mentre i connazionali di Roth
che lo hanno inserito nella bacheca virtuale sono 39, i lettori di casa
nostra ammontano provvisoriamente a 3063. Per non parlare dei best seller
("La solitudine dei numeri primi", recensita e discussa da oltre diecimila
utenti) e del fatto che sono italiani i gruppi di lettura più vitali, e le
più attive costellazioni di forum che fanno capo al social network. Il che
ha del miracoloso, tenuto conto che l'Italia non brilla per numero di
lettori, è meno popolata di Paesi come gli Stati Uniti, e soprattutto tra le
nazioni del primo mondo è molto indietro in fatto di informatica. A che
imputare questo successo?
Mi sono immerso tra le pagine del social network alla ricerca di una
spiegazione, fino a quando di spiegazioni me ne sono venute in mente
addirittura due. Uno: in un Paese come il nostro, che ha visto negli
ultimi anni la cultura sempre più oggetto di disprezzo (vedi le sorti
della ricerca, o le esternazioni dei vari Brunetta), trovare un luogo in cui
poter condividere questa passione è quanto meno rivitalizzante. Due: i
lettori italiani si fidano sempre meno dei loro tradizionali mediatori
culturali. Ho assistito a molti dibattiti in cui i soloni delle nostre
lettere rimestavano fino alla morte Adorno, Horkheimer e Andy Warhol per
giustificare storicamente concetti quali la "morte della critica militante".
Mai uno però che provasse a fare meaculpa sollevando il velo sulla natura
di tante recensioni professionali: pezzi scritti spesso in batteria,
prevedibili, mancanti di passione o in trasparenza servili o astiosi o
stiticamente entusiasti quando non inutilmente cervellotici, il cui vero
destinatario non è mai il lettore ma altri addetti ai lavori ("e allora
perché non ricorrere alle mail collettive invece che a un quotidiano
nazionale"? mi sono spesso domandato).
I commentatori italiani di aNobii , al contrario - troppo numerosi per
non rompere il recinto di intellettuali, scrittori e aspiranti tali in cui
spesso sono chiusi anche i lit blog - sono lettori accaniti e
disinteressati, e mostrano di avere attraversato l'intera esperienza di un
libro: hanno speso soldi per acquistarlo, e tempo per leggerlo, lo hanno
davvero amato o detestato, e spesso con competenza e senza inutili puzze
sotto al naso restituiscono una passione e un'intelligenza che risultano
contagiose. Motivo per cui preferiscono consigliarsi i libri tra di loro
piuttosto che aspettare l'ennesima recensione capace di accostarsi a un
libro come a un topo morto. Forse, per una volta, i soloni di cui sopra
potrebbero mettersi in discussione davanti a un'esperienza come questa. A
meno che non preferiscano morire comodamente sotto il crollo delle torri d'avorio
e di risentimento dentro cui si addormentano ogni sera.
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