il commento di cui sopra è un esempio da manuale, ispirato
a vecchi metodi collaudati dalle 'democrazie popolari',
ispirate da ideologie storicamente superate, dove
l'avversario politico doveva essere eliminato, in tutti i
sensi, ancora prima di essere condannato dai 'tribunali del
popolo e/o speciali'; usando sistemi e teoremi ad hoc,
supportati da ogni forma di menzogna e falsità magari con
l'ausilio di mezze verità, debitamente manipolate.-
l'italia necessita, come tutte le democrazie, di una seria
alternativa politica e di governo, per non correre il
pericolo di una dittatura strisciante, ma è necessario sia
propositiva e moderna e non richiami alla memoria i metodi
di lugubri ideologie che si sperava superate, almeno in
occidente.-
vorrei umilmente ricordare all'autore di queste inquietanti
argomentazioni, che in una democrazia senza aggettivi,
l'avversario politico si combatte con un libero confronto e
non demonizzandolo come un 'nemico del popolo' che deve
essere 'fatto sparire'-
31 maggio 2011 19:50 - lucillafiaccola1796
ah ah ah
bin laden un attore di hollywood...
fortunatamente, grazie azzìo, c'è qualcuno che le
strozcazzate non le beve:
FALLITA LA GUERRA TECNOLOGICA, LA NATO TENTA ORA QUELLA
PSICOLOGICA Raramente s'è vista una guerra vinta da
leader incapaci ed arroganti. Sarkozy, Obama e Cameron non
fanno certamente eccezione. Fallito il loro obiettivo di
guerra lampo i tre inetti si ritrovano, com'era prevedibile,
con le spalle al muro. Personalmente non so davvero fino a
che punto sia credibile l'ipotesi di un intervento di terra
in Libia da parte delle forze NATO. Quest'ultima, com'è
noto, si trova a corto di mezzi e, sebbene ultimamente nel
Mediterraneo stiano entrando troppe navi militari, ciò non
significa automaticamente che ci si trovi alla vigilia di
uno sbarco sulle coste libiche da parte di un'armata anglo -
franco - americana. Francia e Inghilterra tagliano sul
settore militare da anni: la prima risulterebbe essere
praticamente impossibilitata nel fornire un numero
significativo di uomini con cui partecipare ad un'azione di
terra, mentre la seconda ne avrebbe da parte ancora un
modesto quantitativo, nonostante il già gravoso impegno in
Afghanistan ed Iraq. In una situazione non molto dissimile
si trovano anche gli Stati Uniti, imprescindibili per
qualsivoglia intervento militare di matrice atlantista in
virtù delle loro elevate masse critiche. Da soli gli USA
possono certamente fornire un buon numero di soldati, più
dei loro due alleati europei messi insieme, ma anche in
questo caso raschiando il barile e sovraccaricando la
macchina bellica nazionale e l'apparato finanziario che la
alimenta. In questo momento la priorità degli statunitensi
è quella di svincolarsi in una maniera o nell'altra dal
disastro da loro stessi provocato in Afghanistan e in Iraq.
Il grosso delle truppe è impegnato in quei due paesi, con
la progressiva evacuazione degli uomini messa a repentaglio
dai sommovimenti in Pakistan e Bahrain (dove si trovano le
basi e gli scali indispensabili per muoversi da e verso
l'Afghanistan e l'Iraq). Non è il caso di mettere troppa
carne al fuoco; e così gli Stati Uniti preferiscono
disimpegnarsi dall'avventura libica, seppure con movimenti
ondivaghi e di una lentezza impressionante. Si tratta
infatti di salvare anche l'alleanza atlantica, o per lo meno
quel che ne resta, offrendo una copertura pure agli alleati
europei. Il coinvolgimento della Russia, registrato in
questi ultimissimi giorni, dimostra la volontà di cercare
una soluzione tardivamente diplomatica ad un conflitto nel
quale la mediazione avrebbe dovuto svolgere un ruolo di
primo piano fin dal principio, com'era stato saggiamente
auspicato dalle cancellerie di molti paesi (Brasile e
alleati sudamericani in testa). Dimostra anche l'impotenza
di un gruppo, capeggiato e condizionato soprattutto dalla
Francia di Sarkozy, che ha creduto di poter passare sopra a
tali legittime e sensate richieste, mettendo il mondo di
fronte al fatto compiuto di una guerra con rapido tracollo
del nemico. Obiettivo raggiunto solo a metà perchè, come
ben sappiamo, la guerra è stata tutt'altro che fulminea e
oggi è in fase di stallo, mentre il nemico è
vittoriosamente alla controffensiva. Una controffensiva non
solo militare ma anche politica e diplomatica, come
testimonia il rapido spostamento del Sudafrica e di tutta
l'Unione Africana a favore della Libia, e l'accrescersi dei
dissapori con la Cina. Fallita la loro fuga in avanti, i
francesi coi loro alleati inglesi ed americani trascinati un
po' per i capelli si ritrovano all'angolo, sempre più
sull'orlo di una crisi di nervi. Dalla loro hanno solo un
processo avviato dalla Corte Penale Internazionale che è
carta straccia, come la storia del Sudan c'insegna (a tacere
poi del fatto che la CPI è roba loro e quindi lascia il
tempo che trova), e una fragile sponda diplomatica aperta da
una Russia ancora intenta a fare il doppio gioco per salvare
capra e cavoli, ovvero i buoni rapporti con l'Europa, gli
Stati Uniti e la Cina allo stesso tempo (un'operazione che
riflette più la ricerca di un equilibrio interno fra
Medvedev e Putin, che una reale presa di posizione in
politica estera). A questo punto, per i capitani
coraggiosi Sarkozy, Cameron e Obama (più il mozzo paraculo
Berlusconi) ci sarebbe solo una remota speranza, l'ennesimo
colpo di scena e fuga in avanti con cui mettere nuovamente
la comunità internazionale di fronte al fatto compiuto dopo
lo scoppio della rivolta da loro orchestrata in Cirenaica,
le risoluzione 1970 e 1973 del Consiglio di Sicurezza ONU,
il riconoscimento del regime di Bengasi e le bombe su tutta
la Tripolitania ed il Fezzan: l'uccisione di Gheddafi. E'
un'ipotesi, come sappiamo, molto remota e che riflette
l'ingenuità e la mancanza di conoscenza della realtà
libica da parte dell'intelligence e delle élites
governative (chiamiamole pure oligarchie) occidentali.
Gheddafi potrebbe sì morire sotto le bombe, ma ciò non
priverebbe il suo regime del sostegno popolare (che anzi
potrebbe accrescere ulteriormente, anche all'estero,
diventando a quel punto Gheddafi un martire a tutti gli
effetti) e men che meno condurlo allo sfaldamento, proprio
per come si struttura la forma di Stato della Jamahiriyya.
Per la stessa identica ragione, è impossibile che qualcuno
della sua cerchia lo faccia fuori per evitare alla Libia
bombardamenti e sanzioni a tempo indeterminato da parte
della NATO. Penso infatti che l'Occidente e soprattutto gli
Stati Uniti, esattamente come avvenne dopo i bombardamenti
su Tripoli e Bengasi del 15 aprile 1986, stia attuando una
guerra psicologica nei confronti del Colonnello Gheddafi e
dei suoi uomini. Tale guerra, che va di pari passo a quella
tecnologica a base di bombe dal cielo e mercenari e
consiglieri militari a rinforzo dei golpisti di Bengasi, ha
lo scopo di mettere alle corde Gheddafi, il Consiglio del
Comando della Rivoluzione e tutto il gruppo di potere che lo
circonda. Si vuol far credere al governo di Tripoli che a
breve vi sarà un'invasione di terra da parte della NATO
lanciando così agli uomini di Gheddafi l'implicito
messaggio che l'unico modo per evitarla risieda
nell'eliminare il Qaid e porre così fine alla Jamahiriyya.
Questo estremo e disperato tentativo dell'Occidente, che
dubito possa conoscere un buon esito, riflette il senso
d'impotenza che francesi, inglesi e americani avvertono di
fronte a un avversario che si sta dimostrando molto più
compatto e combattivo di quanto mai avrebbero immaginato. E'
lo stesso errore che portò francesi ed americani alla
sconfitta in Indocina, contro il Vietnam del Nord. Il loro
terrore, allora, si chiamava Ho Chi Minh insieme al generale
Giap. Oggi invece il loro terrore si chiama Muhammar
Gheddafi.