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5 ottobre 2018 14:48 - federico6198
Debito sovrano: la pagliuzza nell’occhio italiano, la trave in quello tedesco :
La pagliuzza nell’occhio italico, la trave in quello teutonico. Il tema del giorno è il “tetto” all’ammontare di debito sovrano (titoli di stato) che le banche europee possono detenere; il “rischio” ventilato è che i titoli di stato di alcuni paesi (come i Piigs: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) siano più rischiosi di altri, e che il loro possesso da parte delle banche debba essere limitato, o rapidamente ridotto, per evitare “rischi sistemici”. In termini numerici (fonte: Economic Policy), se questo “tetto” dovesse essere adottato sulla base delle proposte sul tavolo (che provengono dai governi dei “paesi forti” della Ue) le banche italiane, da sole, dovrebbero dismettere (vendere) fra 100 e 300 miliardi, a seconda di come si fissi l’”asticella” del limite imposto alle banche; se il limite fosse fissato al 25% del loro capitale, Mediobanca ha stimato che le banche italiane dovrebbero vendere 152 miliardi di euro di titoli di stato italiani; secondo Bankitalia, le banche italiane dovrebbero invece venderne 100 miliardi, quelle tedesche 160, quelle spagnole 60. Oggi l’esposizione bancaria al debito sovrano pesa per il 6,7% degli attivi bancari per le banche italiane, il 3,3% per quelle tedesche, il 2,7% per le spagnole, l’1,5% per le francesi (fonte: Eba).
La storia passata è nota: le banche europee hanno fatto una scorpacciata di titoli di stato nel 2011-2012 al tempo della crisi dello spread, salvando i rispettivi stati quando era difficile trovare investitori privati ed istituzionali disposti a sottoscrivere le emissioni: inoltre le banche europee (e quelle italiane in modo significativo) hanno comprato dagli investitori istituzionali (atterriti dal rischio-sovrano dei paesi più deboli come quelli del Club Med) tutti i titoli che questi riversavano sul mercato, deprimendone i prezzi; per l’Italia, l’effetto è stato un “travaso” di titoli di stato da investitori esteri (che ante-crisi ne possedevano oltre il 40% da investitori esteri, ed oggi poco oltre il 15%) ai portafogli delle banche italiane (e delle gestioni obbligazionarie e dei fondi posseduti da risparmiatori).
E’ chiaro a tutti che non esiste un “rischio zero” sui titoli di stato (come la esperienza greca ben dimostra) e che la riduzione del rischio contenuto nei portafogli delle banche (e così pure delle compagnie di assicurazione) debba essere ridotto: quanto, quando, in quanto tempo, come è molto meno chiaro. Ed è altrettanto chiaro che per rendere più “europeo” il sistema bancario e finanziario europeo occorre un sistema di assicurazione dei depositi condiviso e comune, e su questo secondo aspetto le differenze di opinione sono, se possibile, ancor più diverse e non componibili fra “soliti noti” e “soliti ripetenti”.
E’ prevedibile che una vendita “forzata” di titoli di stato avrebbe esiti gravi e seri: caduta dei prezzi (se vendi, vendi al prezzo che vuole l’acquirente, ed in caso di vendita “forzata” l’acquirente paga meno, spesso molto meno), rarefazione del mercato (meno venditori, meno compratori), perdita del ruolo dei titoli di stato (tradizionalmente, lo strumento liquido per eccellenza) come “riferimento” per altre operazioni sui mercato; ed altro. Ma forse … stiamo parlando della classica “pagliuzza nell’occhio”, questa volta italico; sì, perché il rischio vero dei mercato finanziari europei (e non solo europei) si annida in ben altro strumento: i derivati; e governo tedesco e Bundesbank conoscono bene questo rischio, poiché il maggiore sottoscrittore di derivati è la Deutsche Bank: la banca di Francoforte ha emesso derivati per 75.000 miliardi di euro, 20 volte il Pil tedesco, che vengono contabilizzati nel bilancio della banca per 32 miliardi di euro.
Secondo criteri di sua totale discrezione (non esistendo un mercato attivo su di essi e non essendo essi equiparabili ad altri strumenti consimili); governo tedesco e Bundesbank sanno bene di che si tratta e quanti danni un calo del valore di tali strumenti avrebbe sui conti della banca “fiore all’occhiello” del prestigio teutonico: un calo del 4% nel valore nozionale dei derivati azzererebbe il capitale della Bundesbank, secondo stime recenti. Da qui, la “missione” di governo e banca centrale tedesca che si oppongono alla introduzione di norme europee che regolino i derivati, la loro contabilizzazione, l’effetto-leva, e la cui introduzione è ufficialmente prevista dal gennaio 2018. Bloccare i regolatori europei e “salvare” le banche tedesche (più precisamente, “mettere la polvere schifosa sotto il tappeto, e per chissà quanto tempo”) è l’impegno tedesco, e la “guerra” contro le banche del Club Med è allora il chiaro sintomo che quando si è in difficoltà, molto serie difficoltà, è opportuno colpire per primi e sotto la cintura: tanto dall’altra parte ci sono i “soliti ripetenti” privi di adeguati attributi.
4 ottobre 2018 17:03 - savpg8801
Tutte le ipotesi hanno del vero e del falso. Non serve tirare in ballo le scuole di pensiero economico e finanziario espresse in passato. Le condizioni non sono mai uguali. I fattori economici mutano a sparo di bit. Anche solo qualche decennio fa studiare e sciorinare teorie economiche permetteva ai fatti di essere esaminati nel tempo, con calma.
Quando in banca si acquistavano o vendevano titoli lo si faceva quasi esclusivamente per lettera onde, spesso, una settimana non bastava per concludere e conoscere l'esito.
Anche un telex o un telegramma (poi nei casi più importanti) non era che un milionesimo di quello che si fa oggi in un minuto.
Oggi puoi rovinare o mandare in paradiso la reputazione di una azienda, o di uno Stato in poche ore.
Ci si rende, allora, conto che estrapolando anche solo questi concetti e realtà a tutto il mondo economico, finanziario, politico , quello che diciamo adesso in quasi chiusura domani può essere rivoltato?
La nostra sapienza sulle grandi teorie economiche, del lavoro, della politica, cade perchè, come si diceva, una farfalla che svolazza sul Mekong può provocare una tempesta ai Caraibi. Solo che adesso lo sappiamo subito, ma la vera teoria è che non riusciamo in tempo a staccare la buona ricetta.
4 ottobre 2018 15:36 - Toio68
Il signoraggio non è altro che il reddito derivante dall'emissione della moneta. Se la banca centrale venezuelana stampa banconote per pagare beni e servizi, è un'altra maniera per dire che li finanzia con il reddito da signoraggio.
Emettere più moneta di quella di cui il sistema economico ha bisogno per finanziare i bisogni statali, da Nerone e Diocleziano a Maduro ha sempre provocato inflazione.
E' vero che il Quantitative Easing è emissione di moneta, ma non è esattamente la stessa cosa. E ci sono due buoni motivi per cui non ha provocato inflazione. Primo perché è stata una politica adottata per contrastare (a torto o a ragione) fenomeni di deflazione, non per coprire buchi nel bilancio pubblico. Secondo, perché l'immissione di moneta è solo molto parzialmente entrata in circolazione, mentre ìè stata perlopiù utilizzata per ricapitalizzare il sistema bancario. Infatti nonostante l'enorme iniezione di moneta rispetto a M0, M2 è rimasta sostanzialmente stabile. Inoltre, la moneta emessa con il QE, tenderà a rientrare nella banca centrale una volta che sarà terminato (come già succede in USA).
Insomma, paragonare Draghi a Maduro non ha proprio senso.
4 ottobre 2018 13:16 - Alessandro Pedone
@Toio68
Sarebbe molto lungo interloquire punto per punto ed il tempo non lo consente.
E' evidente che abbiamo due impostazioni filosofiche opposte.
In gioventù mi sono innamorato della scuola Austriaca ed mi sono abbeverato a Von Mises oltreché Von Hayek.
Sinceramente, credo che Von Hayek non sia neppure paragonabile a Keynes, anche come conoscenza dei mercati finanziari.
Durante la sua vita, e particolarmente fra le due guerre, fece una fortuna con i mercati finanziari e divenne un mecenate. Nella sua veste di economo del King’s College migliorò moltissimo le finanze dell'istituto proprio grazie alla sua sagacia nei mercati finanziari. Imputare a Keynes la "matematizzazione" dell'Economia significa non conoscere evidentemente il suo pensiero. Era il primo critico contro l'utilizzo della statistica e dell'economia. Poi la matematica è un linguaggio. Un conto è utilizzarlo per sintetizzare certi concetti, altro conto è creare assurde formule come poi è stato fatto da Samuelson in poi.
Sul moltiplicatore, conosco vari studi che dicono ciò che ha riferito, ma ci sono anche molti altri studio che riferiscono di una maggiore efficacia di certa spesa pubblica. E' ovvio che la verità sta sempre nel mezzo. Un conto - ad esempio - è la spesa pubblica per la ricerca di base, un conto è la spesa pubblica per far fare i panettoni allo stato. Un conto è la spesa pubblica per sostenere i redditi ai disoccupati, altro conto è la spesa pubblica per pagare gli stenografi in parlamento. Non ha senso generalizzare.
La frase però mi trova in forte contrasto del suo commento è: "tampa moneta provocando inflazione che è a sua volta una terribile forma di tassazione (cd signoraggio)" (a parte la confusione con il signoraggio che non c'entra niente) l'idea che ogni volta che si emetta moneta si crei inflazione è la più pericolosa bufala che si porta con se il pensiero neoliberista. Questo non è affatto vero (ed abbiamo la chiara dimostrazione recentissima perché è stata stampata una quantità di moneta enorme non riuscendo a far innalzare l'inflazione).
Concordo, ovviamente, che non si possa stampare moneta all'infinito né che si possa fare debito pubblico all'infinito. Tutto deve avere una misura. Il fatto è che la riduzione del rapporto debito/PIL va perseguita aumentando il PIL non riducendo lo stock nominale di debito. Il problema è tutto qui.
4 ottobre 2018 11:36 - Toio68
Carissimo Pedone, sono assolutamente d'accordo che economia e finanza sono scienze umane e non scienze esatte. Questa è tra l'altro la posizione della cosiddetta scuola economica austriaca, in aperta polemica con la macroeconomia keynesiana. Non si può non ricordare che Von Hayek con la sua visione "umanistica" dell'economia predisse il crollo di Wall Street già nel 1924, mentre Keynes con i suoi eleganti modelli matematici non solo non la predisse ma ci rimase quasi sul lastrico.
Mi lascia invece molto perplesso l'idea che lo Stato dovrebbe avere una sua agenzia di rating. Con lo stesso ragionamento le squadre di calcio dovrebbero scegliersi gli arbitri, gli imputati ai processi dovrebbero scegliersi i giudici e così via. Soprattutto sfugge il ragionamento per cui una agenzia controllata dallo stato sarebbe più indipendente di una agenzia indipendente. Una agenzia di rating per lavoro giudica i debitori nell'interesse dei creditori; se l'agenzia è controllata dai mercati (ossia dai creditori) è un bene, se è controllata dallo Stato (che è un grosso debitore) è un male. Peraltro, in questo momento i mercati scontano i nostri titoli di stato come junk bond, mentre per le agenzie di rating sono ancora investment grade. Segno che secondo i mercati (ossia noi investitori) le agenzie di rating sono persino troppo tenere nei confronti del nostro Paese.
Riguardo al fatto che lo Stato non debba spendere meno di quello che incassa va fatta una precisazione. Quando uno Stato spende lo fa sempre grazie alle tasse dei contribuenti. La spesa pubblica 1) o viene coperta direttamente dalle tasse 2) o lo stato si indebita e pagaghera' gli interessi futuri con le tasse 3) o stampa moneta provocando inflazione che è a sua volta una terribile forma di tassazione (cd signoraggio). Il nostro avanzo primario è sicuramente negativo, ma deriva dal fatto che dobbiamo pagare gli interessi sul debito pregresso. Il passato cioè ha imposto una tassa sul presente. Per questo persino Keynes a chi diceva che si poteva indebitarsi all'infinito rispondeva che erano boiate. Perché se il debito raggiunge un livello troppo alto e con esso la quantità di interessi da pagare, si finisce a pagare tasse per pagare gli interessi anziché per investimenti e servizi. Ecco perché secondo la macroeconomia keynesiana ortodossa non appena la crisi della domanda è passata, occorre riassorbire il debito: perché altrimenti si arriva al punto di non poterla più stimolare. Le politiche espansive sono come una spugna che prima di poterla riutilizzare bisogna prima strizzarla.
Proprio perché è con le tasse che alla fine viene pagata la spesa pubblica corrente e per interessi è sensato usare il rapporto tra debito pubblico e PIL, perché è da questo che viene attinto per pagarle. Può essere utile ragionare in termini di debito netto (ossia al netto degli attivi statali), cosa che ad esempio fa scendere il debito giapponese dal primo al secondo posto nel mondo (mentre Grecia e Italia restano al primo e terzo posto anche così). Ma, ad esempio, sommare i debiti o i patrimoni di debitori diversi (cioè pubblico e privato) non ha senso. Se qualcuno le chiede in prestito dei soldi e le dice "tanto se non ho da ridarteli, vendo il tuo scooter" ha un qualche tipo di senso economico? No, vero? Alla stessa maniera, uno stato che si indebita e da in garanzia il patrimonio dei suoi cittadini rischia solo di creare un fuggi fuggi generale.
Riguardo, infine, al fatto che sia insensato sostenere che la spesa privata sia più produttiva di quella pubblica, una recente rassegna di 41 studi ha mostrato che dai primi anni '90 in poi nei paesi OCSE il moltiplicatore medio della spesa pubblica è stato 0,6. Anche nel nostro Paese uno studio di Piero Giarda ha evidenziato che il moltiplicatore è stato inferiore a 1 in quasi tutti i 50 anni presi in considerazione. Questo spiega perché i paesi che recentemente hanno aumentato la spesa pubblica (Italia e Francia ad esempio) crescono meno di quelli che l'hanno diminuita (Irlanda e Spagna, ad esempio). D'altra parte, come la stessa dieta non va bene per una persona sottopeso ed una superobesa, la stessa ricetta economica non può andare bene per l'America di Roosevelt (spesa pubblica 15% del PIL) e per l'Italia di oggi (spesa pubblica attorno al 50% del PIL).
Poi, in fondo a tutte queste considerazioni, concordo che la scelta di fare o no default è una scelta politica. L'Italia non ha mai fatto default neppure dopo le due guerre mondiali, anche se la scappatoia era di solito la svalutazione della moneta, ossia la forma più ingiusta di tassazione. Questo ragionamento era più rassicurante con Prodi o Berlusconi, lo è molto meno se al governo c'è Cirino Pomicino o uno dei suoi moderni emuli.
4 ottobre 2018 10:58 - gene
Sempre molto eloquente, grazie
3 ottobre 2018 19:35 - apaches
complimenti articolo chiaro ed esaustivo,però noto una totale assenza del governo per la lotta all'evasione,forse se si introducesse l'assioma che chi paga detrae e chi incassa paga il dovuto,tutti richiederebbero fattura o scontrino,basta andare da un professionista se vuoi fattura è tot ma se senza scala anche un 30% minimo, inoltre l'evasione dell'iva chi la incassa è un semplice passa carte prchè dovrebbe versarla ma se se la tiene è un auto finanziamento,se l'iva evasa si aggira sui 93 miliardi se vera è un bel finanziamento pagato dai cittadini mi piacerebbe un commento dai politici che continuano a strombazzare :lotta all'evasione e abasseremo le tasse .
3 ottobre 2018 10:28 - DanieleA
Anch'io ho molto apprezzato questo articolo!
3 ottobre 2018 9:07 - virginio6713
Ottimo articolo di Pedone, bravo.
Purtroppo siamo condizionati da nemici improvvidi quali Juncker e Moskovici che ci temono e cercano di farci fuori con l'aiuto delle agenzie.
Il governo ci fa correre qualche rischio ma fa bene a invertire la rotta visto che l'austerità seguita x tanti anni è stata un fallimento, e la Grecia poverina è stata stritolata, con critica a posteriori anche del FMI.
Forza Italiani che ce la facciamo !
3 ottobre 2018 7:25 - tadiottof
Per quanto ne so il debito pubblico e' rappresentato dai soldi prestati allo Stato in cambio di cartelle: BOT, BTP ecc.
Negli anni 70 il rendimento delle cartelle poliennali era di circa 1 %, mentre l'inflazione era a 2 cifre. I risparmiatori non potevano incassare i soldi prestati prima della scadenza e intanto il loro valore si azzerava.
Allora lo Stato emise cartelle trimestrali: i Buoni Ordinari Trimestrali; cosi' alla scadenza dei poliennali invece di riscuotere si compravano BOT.
Oggi gli interessi riconosciuti sono bassi, ma il debito e' grosso. Se tutti coloro che hanno diritto chiedessero il rimborso alla scadenza, lo Stato non avrebbe soldi per pagare e quindi bancarotta, default.
3 ottobre 2018 1:30 - federico6198
La Grecia è l’esempio più evidente di cosa potrebbe succedere ad un paese che viene indebolito , sicuramente l’Italia fa gola a molti.
Per non dimenticare :
Filamato youtube : Perché la Grecia non può fallire.
Il sole 24 ore : Grecia: i ricchi patrimoni sono al riparo della crisi. La casta degli imprenditori navali resta intoccabile.
Il fatto quotidiano : Grecia, l’ultima frustata di Tsipras ai suoi poveri .
E qui mi fermo Grecia a parte ma i politici europei sono tutti d’accordo .
Ed il teatrino Brexit ?
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