Debito sovrano: la pagliuzza nell’occhio italiano, la
trave in quello tedesco :
La pagliuzza nell’occhio italico, la trave in quello
teutonico. Il tema del giorno è il “tetto”
all’ammontare di debito sovrano (titoli di stato) che le
banche europee possono detenere; il “rischio” ventilato
è che i titoli di stato di alcuni paesi (come i Piigs:
Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) siano più
rischiosi di altri, e che il loro possesso da parte delle
banche debba essere limitato, o rapidamente ridotto, per
evitare “rischi sistemici”. In termini numerici (fonte:
Economic Policy), se questo “tetto” dovesse essere
adottato sulla base delle proposte sul tavolo (che
provengono dai governi dei “paesi forti” della Ue) le
banche italiane, da sole, dovrebbero dismettere (vendere)
fra 100 e 300 miliardi, a seconda di come si fissi
l’”asticella” del limite imposto alle banche; se il
limite fosse fissato al 25% del loro capitale, Mediobanca ha
stimato che le banche italiane dovrebbero vendere 152
miliardi di euro di titoli di stato italiani; secondo
Bankitalia, le banche italiane dovrebbero invece venderne
100 miliardi, quelle tedesche 160, quelle spagnole 60. Oggi
l’esposizione bancaria al debito sovrano pesa per il 6,7%
degli attivi bancari per le banche italiane, il 3,3% per
quelle tedesche, il 2,7% per le spagnole, l’1,5% per le
francesi (fonte: Eba).
La storia passata è nota: le banche europee hanno fatto una
scorpacciata di titoli di stato nel 2011-2012 al tempo della
crisi dello spread, salvando i rispettivi stati quando era
difficile trovare investitori privati ed istituzionali
disposti a sottoscrivere le emissioni: inoltre le banche
europee (e quelle italiane in modo significativo) hanno
comprato dagli investitori istituzionali (atterriti dal
rischio-sovrano dei paesi più deboli come quelli del Club
Med) tutti i titoli che questi riversavano sul mercato,
deprimendone i prezzi; per l’Italia, l’effetto è stato
un “travaso” di titoli di stato da investitori esteri
(che ante-crisi ne possedevano oltre il 40% da investitori
esteri, ed oggi poco oltre il 15%) ai portafogli delle
banche italiane (e delle gestioni obbligazionarie e dei
fondi posseduti da risparmiatori).
E’ chiaro a tutti che non esiste un “rischio zero” sui
titoli di stato (come la esperienza greca ben dimostra) e
che la riduzione del rischio contenuto nei portafogli delle
banche (e così pure delle compagnie di assicurazione) debba
essere ridotto: quanto, quando, in quanto tempo, come è
molto meno chiaro. Ed è altrettanto chiaro che per rendere
più “europeo” il sistema bancario e finanziario europeo
occorre un sistema di assicurazione dei depositi condiviso e
comune, e su questo secondo aspetto le differenze di
opinione sono, se possibile, ancor più diverse e non
componibili fra “soliti noti” e “soliti
ripetenti”.
E’ prevedibile che una vendita “forzata” di titoli di
stato avrebbe esiti gravi e seri: caduta dei prezzi (se
vendi, vendi al prezzo che vuole l’acquirente, ed in caso
di vendita “forzata” l’acquirente paga meno, spesso
molto meno), rarefazione del mercato (meno venditori, meno
compratori), perdita del ruolo dei titoli di stato
(tradizionalmente, lo strumento liquido per eccellenza) come
“riferimento” per altre operazioni sui mercato; ed
altro. Ma forse … stiamo parlando della classica
“pagliuzza nell’occhio”, questa volta italico; sì,
perché il rischio vero dei mercato finanziari europei (e
non solo europei) si annida in ben altro strumento: i
derivati; e governo tedesco e Bundesbank conoscono bene
questo rischio, poiché il maggiore sottoscrittore di
derivati è la Deutsche Bank: la banca di Francoforte ha
emesso derivati per 75.000 miliardi di euro, 20 volte il Pil
tedesco, che vengono contabilizzati nel bilancio della banca
per 32 miliardi di euro.
Secondo criteri di sua totale discrezione (non esistendo un
mercato attivo su di essi e non essendo essi equiparabili ad
altri strumenti consimili); governo tedesco e Bundesbank
sanno bene di che si tratta e quanti danni un calo del
valore di tali strumenti avrebbe sui conti della banca
“fiore all’occhiello” del prestigio teutonico: un calo
del 4% nel valore nozionale dei derivati azzererebbe il
capitale della Bundesbank, secondo stime recenti. Da qui, la
“missione” di governo e banca centrale tedesca che si
oppongono alla introduzione di norme europee che regolino i
derivati, la loro contabilizzazione, l’effetto-leva, e la
cui introduzione è ufficialmente prevista dal gennaio 2018.
Bloccare i regolatori europei e “salvare” le banche
tedesche (più precisamente, “mettere la polvere schifosa
sotto il tappeto, e per chissà quanto tempo”) è
l’impegno tedesco, e la “guerra” contro le banche del
Club Med è allora il chiaro sintomo che quando si è in
difficoltà, molto serie difficoltà, è opportuno colpire
per primi e sotto la cintura: tanto dall’altra parte ci
sono i “soliti ripetenti” privi di adeguati attributi.
4 ottobre 2018 17:03 - savpg8801
Tutte le ipotesi hanno del vero e del falso. Non serve
tirare in ballo le scuole di pensiero economico e
finanziario espresse in passato. Le condizioni non sono mai
uguali. I fattori economici mutano a sparo di bit. Anche
solo qualche decennio fa studiare e sciorinare teorie
economiche permetteva ai fatti di essere esaminati nel
tempo, con calma.
Quando in banca si acquistavano o vendevano titoli lo si
faceva quasi esclusivamente per lettera onde, spesso, una
settimana non bastava per concludere e conoscere l'esito.
Anche un telex o un telegramma (poi nei casi più
importanti) non era che un milionesimo di quello che si fa
oggi in un minuto.
Oggi puoi rovinare o mandare in paradiso la reputazione di
una azienda, o di uno Stato in poche ore.
Ci si rende, allora, conto che estrapolando anche solo
questi concetti e realtà a tutto il mondo economico,
finanziario, politico , quello che diciamo adesso in quasi
chiusura domani può essere rivoltato?
La nostra sapienza sulle grandi teorie economiche, del
lavoro, della politica, cade perchè, come si diceva, una
farfalla che svolazza sul Mekong può provocare una
tempesta ai Caraibi. Solo che adesso lo sappiamo subito, ma
la vera teoria è che non riusciamo in tempo a staccare la
buona ricetta.
4 ottobre 2018 15:36 - Toio68
Il signoraggio non è altro che il reddito derivante
dall'emissione della moneta. Se la banca centrale
venezuelana stampa banconote per pagare beni e servizi, è
un'altra maniera per dire che li finanzia con il reddito da
signoraggio.
Emettere più moneta di quella di cui il sistema economico
ha bisogno per finanziare i bisogni statali, da Nerone e
Diocleziano a Maduro ha sempre provocato inflazione.
E' vero che il Quantitative Easing è emissione di moneta,
ma non è esattamente la stessa cosa. E ci sono due buoni
motivi per cui non ha provocato inflazione. Primo perché è
stata una politica adottata per contrastare (a torto o a
ragione) fenomeni di deflazione, non per coprire buchi nel
bilancio pubblico. Secondo, perché l'immissione di moneta
è solo molto parzialmente entrata in circolazione, mentre
ìè stata perlopiù utilizzata per ricapitalizzare il
sistema bancario. Infatti nonostante l'enorme iniezione di
moneta rispetto a M0, M2 è rimasta sostanzialmente stabile.
Inoltre, la moneta emessa con il QE, tenderà a rientrare
nella banca centrale una volta che sarà terminato (come
già succede in USA).
Insomma, paragonare Draghi a Maduro non ha proprio senso.
4 ottobre 2018 13:16 - Alessandro Pedone
@Toio68
Sarebbe molto lungo interloquire punto per punto ed il tempo
non lo consente.
E' evidente che abbiamo due impostazioni filosofiche
opposte.
In gioventù mi sono innamorato della scuola Austriaca ed mi
sono abbeverato a Von Mises oltreché Von Hayek.
Sinceramente, credo che Von Hayek non sia neppure
paragonabile a Keynes, anche come conoscenza dei mercati
finanziari.
Durante la sua vita, e particolarmente fra le due guerre,
fece una fortuna con i mercati finanziari e divenne un
mecenate. Nella sua veste di economo del King’s College
migliorò moltissimo le finanze dell'istituto proprio grazie
alla sua sagacia nei mercati finanziari. Imputare a Keynes
la "matematizzazione" dell'Economia significa non conoscere
evidentemente il suo pensiero. Era il primo critico contro
l'utilizzo della statistica e dell'economia. Poi la
matematica è un linguaggio. Un conto è utilizzarlo per
sintetizzare certi concetti, altro conto è creare assurde
formule come poi è stato fatto da Samuelson in poi.
Sul moltiplicatore, conosco vari studi che dicono ciò che
ha riferito, ma ci sono anche molti altri studio che
riferiscono di una maggiore efficacia di certa spesa
pubblica. E' ovvio che la verità sta sempre nel mezzo. Un
conto - ad esempio - è la spesa pubblica per la ricerca di
base, un conto è la spesa pubblica per far fare i panettoni
allo stato. Un conto è la spesa pubblica per sostenere i
redditi ai disoccupati, altro conto è la spesa pubblica per
pagare gli stenografi in parlamento. Non ha senso
generalizzare.
La frase però mi trova in forte contrasto del suo commento
è: "tampa moneta provocando inflazione che è a sua volta
una terribile forma di tassazione (cd signoraggio)" (a parte
la confusione con il signoraggio che non c'entra niente)
l'idea che ogni volta che si emetta moneta si crei
inflazione è la più pericolosa bufala che si porta con se
il pensiero neoliberista. Questo non è affatto vero (ed
abbiamo la chiara dimostrazione recentissima perché è
stata stampata una quantità di moneta enorme non riuscendo
a far innalzare l'inflazione).
Concordo, ovviamente, che non si possa stampare moneta
all'infinito né che si possa fare debito pubblico
all'infinito. Tutto deve avere una misura. Il fatto è che
la riduzione del rapporto debito/PIL va perseguita
aumentando il PIL non riducendo lo stock nominale di debito.
Il problema è tutto qui.
4 ottobre 2018 11:36 - Toio68
Carissimo Pedone, sono assolutamente d'accordo che economia
e finanza sono scienze umane e non scienze esatte. Questa è
tra l'altro la posizione della cosiddetta scuola economica
austriaca, in aperta polemica con la macroeconomia
keynesiana. Non si può non ricordare che Von Hayek con la
sua visione "umanistica" dell'economia predisse il crollo di
Wall Street già nel 1924, mentre Keynes con i suoi eleganti
modelli matematici non solo non la predisse ma ci rimase
quasi sul lastrico.
Mi lascia invece molto perplesso l'idea che lo Stato
dovrebbe avere una sua agenzia di rating. Con lo stesso
ragionamento le squadre di calcio dovrebbero scegliersi gli
arbitri, gli imputati ai processi dovrebbero scegliersi i
giudici e così via. Soprattutto sfugge il ragionamento per
cui una agenzia controllata dallo stato sarebbe più
indipendente di una agenzia indipendente. Una agenzia di
rating per lavoro giudica i debitori nell'interesse dei
creditori; se l'agenzia è controllata dai mercati (ossia
dai creditori) è un bene, se è controllata dallo Stato
(che è un grosso debitore) è un male. Peraltro, in questo
momento i mercati scontano i nostri titoli di stato come
junk bond, mentre per le agenzie di rating sono ancora
investment grade. Segno che secondo i mercati (ossia noi
investitori) le agenzie di rating sono persino troppo tenere
nei confronti del nostro Paese.
Riguardo al fatto che lo Stato non debba spendere meno di
quello che incassa va fatta una precisazione. Quando uno
Stato spende lo fa sempre grazie alle tasse dei
contribuenti. La spesa pubblica 1) o viene coperta
direttamente dalle tasse 2) o lo stato si indebita e
pagaghera' gli interessi futuri con le tasse 3) o stampa
moneta provocando inflazione che è a sua volta una
terribile forma di tassazione (cd signoraggio). Il nostro
avanzo primario è sicuramente negativo, ma deriva dal fatto
che dobbiamo pagare gli interessi sul debito pregresso. Il
passato cioè ha imposto una tassa sul presente. Per questo
persino Keynes a chi diceva che si poteva indebitarsi
all'infinito rispondeva che erano boiate. Perché se il
debito raggiunge un livello troppo alto e con esso la
quantità di interessi da pagare, si finisce a pagare tasse
per pagare gli interessi anziché per investimenti e
servizi. Ecco perché secondo la macroeconomia keynesiana
ortodossa non appena la crisi della domanda è passata,
occorre riassorbire il debito: perché altrimenti si arriva
al punto di non poterla più stimolare. Le politiche
espansive sono come una spugna che prima di poterla
riutilizzare bisogna prima strizzarla.
Proprio perché è con le tasse che alla fine viene pagata
la spesa pubblica corrente e per interessi è sensato usare
il rapporto tra debito pubblico e PIL, perché è da questo
che viene attinto per pagarle. Può essere utile ragionare
in termini di debito netto (ossia al netto degli attivi
statali), cosa che ad esempio fa scendere il debito
giapponese dal primo al secondo posto nel mondo (mentre
Grecia e Italia restano al primo e terzo posto anche così).
Ma, ad esempio, sommare i debiti o i patrimoni di debitori
diversi (cioè pubblico e privato) non ha senso. Se qualcuno
le chiede in prestito dei soldi e le dice "tanto se non ho
da ridarteli, vendo il tuo scooter" ha un qualche tipo di
senso economico? No, vero? Alla stessa maniera, uno stato
che si indebita e da in garanzia il patrimonio dei suoi
cittadini rischia solo di creare un fuggi fuggi generale.
Riguardo, infine, al fatto che sia insensato sostenere che
la spesa privata sia più produttiva di quella pubblica, una
recente rassegna di 41 studi ha mostrato che dai primi anni
'90 in poi nei paesi OCSE il moltiplicatore medio della
spesa pubblica è stato 0,6. Anche nel nostro Paese uno
studio di Piero Giarda ha evidenziato che il moltiplicatore
è stato inferiore a 1 in quasi tutti i 50 anni presi in
considerazione. Questo spiega perché i paesi che
recentemente hanno aumentato la spesa pubblica (Italia e
Francia ad esempio) crescono meno di quelli che l'hanno
diminuita (Irlanda e Spagna, ad esempio). D'altra parte,
come la stessa dieta non va bene per una persona sottopeso
ed una superobesa, la stessa ricetta economica non può
andare bene per l'America di Roosevelt (spesa pubblica 15%
del PIL) e per l'Italia di oggi (spesa pubblica attorno al
50% del PIL).
Poi, in fondo a tutte queste considerazioni, concordo che la
scelta di fare o no default è una scelta politica. L'Italia
non ha mai fatto default neppure dopo le due guerre
mondiali, anche se la scappatoia era di solito la
svalutazione della moneta, ossia la forma più ingiusta di
tassazione. Questo ragionamento era più rassicurante con
Prodi o Berlusconi, lo è molto meno se al governo c'è
Cirino Pomicino o uno dei suoi moderni emuli.
4 ottobre 2018 10:58 - gene
Sempre molto eloquente, grazie
3 ottobre 2018 19:35 - apaches
complimenti articolo chiaro ed esaustivo,però noto una
totale assenza del governo per la lotta all'evasione,forse
se si introducesse l'assioma che chi paga detrae e chi
incassa paga il dovuto,tutti richiederebbero fattura o
scontrino,basta andare da un professionista se vuoi fattura
è tot ma se senza scala anche un 30% minimo, inoltre
l'evasione dell'iva chi la incassa è un semplice passa
carte prchè dovrebbe versarla ma se se la tiene è un auto
finanziamento,se l'iva evasa si aggira sui 93 miliardi se
vera è un bel finanziamento pagato dai cittadini mi
piacerebbe un commento dai politici che continuano a
strombazzare :lotta all'evasione e abasseremo le tasse .
3 ottobre 2018 10:28 - DanieleA
Anch'io ho molto apprezzato questo articolo!
3 ottobre 2018 9:07 - virginio6713
Ottimo articolo di Pedone, bravo.
Purtroppo siamo condizionati da nemici improvvidi quali
Juncker e Moskovici che ci temono e cercano di farci fuori
con l'aiuto delle agenzie.
Il governo ci fa correre qualche rischio ma fa bene a
invertire la rotta visto che l'austerità seguita x tanti
anni è stata un fallimento, e la Grecia poverina è stata
stritolata, con critica a posteriori anche del FMI.
Forza Italiani che ce la facciamo !
3 ottobre 2018 7:25 - tadiottof
Per quanto ne so il debito pubblico e' rappresentato dai
soldi prestati allo Stato in cambio di cartelle: BOT, BTP
ecc.
Negli anni 70 il rendimento delle cartelle poliennali era di
circa 1 %, mentre l'inflazione era a 2 cifre. I
risparmiatori non potevano incassare i soldi prestati prima
della scadenza e intanto il loro valore si azzerava.
Allora lo Stato emise cartelle trimestrali: i Buoni Ordinari
Trimestrali; cosi' alla scadenza dei poliennali invece di
riscuotere si compravano BOT.
Oggi gli interessi riconosciuti sono bassi, ma il debito e'
grosso. Se tutti coloro che hanno diritto chiedessero il
rimborso alla scadenza, lo Stato non avrebbe soldi per
pagare e quindi bancarotta, default.
3 ottobre 2018 1:30 - federico6198
La Grecia è l’esempio più evidente di cosa potrebbe
succedere ad un paese che viene indebolito , sicuramente
l’Italia fa gola a molti.
Per non dimenticare :
Filamato youtube : Perché la Grecia non può fallire.
Il sole 24 ore : Grecia: i ricchi patrimoni sono al riparo
della crisi. La casta degli imprenditori navali resta
intoccabile.
Il fatto quotidiano : Grecia, l’ultima frustata di Tsipras
ai suoi poveri .
E qui mi fermo Grecia a parte ma i politici europei sono
tutti d’accordo .
Ed il teatrino Brexit ?