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I mercati finanziari sono pazzi? Non proprio…
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Editoriale di Alessandro Pedone
8 luglio 2020 11:45
 
 Il trimestre che si è chiuso il mese scorso ha visto, forse, la più grande contraddizione fra le prospettive dell’economia reale e le valutazioni delle corrispondenti attività finanziarie che si siano mai verificata a memoria d’uomo.
Per un buon numero di attività finanziarie (azioni ed obbligazioni) i prezzi sono paragonabili, se non superiori, a quelli dell’epoca pre-covid, ma le prospettive economiche sono quelle della peggiore crisi nell’economia reale che si sia mai avuta da quando si registrano questi dati. Come è possibile? Come si spiega questa distanza? Dobbiamo dire semplicemente che i mercati finanziari sono pazzi?
Le cose sono molto più complicate, o meglio: complesse.

Teoria dei mercati efficienti
La teoria prevalente nel mondo accademico su cui si fonda la comune operatività nel settore degli investimenti finanziari prende il nome di “efficient-market hypothesis (EMH)” o teoria dei mercati efficienti. L’assunto di base di questa teoria è che i prezzi riflettono tutte le informazioni disponibili. In che senso?
L’assunto ancora più basilare è che gli operatori dei mercati finanziari (cioè chi compra-vende) sono agenti razionali che scelgono di agire avendo come unico criterio quello di massimizzare il rendimento monetario dei capitali impiegati. In altre parole, gli agenti finanziari, in questa teoria, sarebbero dei “calcolatori” i quali tradurrebbero tutte le informazioni disponibili in modelli matematici che suggerirebbero cosa comprare e cosa vendere al fine di massimizzare le probabilità di avere il maggior denaro possibile in futuro. Questa è la teoria. Ovviamente, la realtà è ben distante.

Negli ultimi decenni, questa teoria è stata messa in crisi dalla cosiddetta “finanza comportamentale” (in particolare la “Prospect Theory” di Kahneman e Tversky), la quale ha posto tutta una serie di obiezioni relative alla capacità degli esseri umani di fare scelte razionali.
Accademicamente, il dibattito è andato avanti a colpi di paper per molti anni, sprecando fiumi di parole, poiché il dibattito purtroppo, prende in considerazione solo un aspetto del problema e trascura il contesto generale nel quale le scelte finanziarie sono inserite.

Teoria dei mercati adattativi
Una teoria molto più sensata è stata proposta da Andrew Lo, professore di finanza e direttore del laboratorio di ingegneria della finanza al MIT Sloan School of Management.
Andrew Lo l’ha chiamata Adaptive Market Hypothesis e la propone come una riunificazione della teoria della finanza comportamentale con quelle dell’efficienza dei mercati.
Purtroppo non ho trovato testi in italiano che ne parlano, ma gli appassionati che hanno la fortuna di leggere in inglese dovrebbero assolutamente leggere il suo libro “Adaptive Markets: Financial Evolution at the Speed of Thought” Princeton Press 2018 - Andrew W. Lo. Anche la lettura del suo paper del 2005 può dare una visione sufficientemente ampia della teoria.

L’approccio di base consiste nell’applicazione del modello evoluzionistico ai mercati finanziari. In questa teoria, i mercati finanziari sono assimilati ad un “ambiente” popolato da una serie di “specie” (investitori individuali, fondi d’investimento, banche, fondi pensione, hedge fund, grandi investitori, fondi sovrani, ecc. ecc. ecc.) in lotta fra loro per la “sopravvivenza” garantita all'accaparramento del “cibo” corrispondente ai guadagni monetari. Le varie “specie” hanno caratteristiche diverse e l’ambiente interagisce con queste specie favorendone alcune a scapito di altre. Al tempo stesso, la composizione delle varie specie tende a modificare l’ambiente finanziario stesso in una relazione di retroazione positiva o negativa che modifica costantemente il contesto generale.
Questo modello è molto più aderente alla realtà, anche se - ovviamente - le applicazioni pratiche che se ne possono ricavare sono molto meno operative di quelle derivate dall’ipotesi dei mercati efficienti.

Cosa muove i mercati?
In questa chiave di lettura, il fatto che l’economia stia andando molto male è sicuramente un’informazione che influisce sui prezzi delle azioni, ma è solo uno (e non necessariamente il più importante) dei fattori e non si può dire a priori se li faccia alzare o abbassare.
La preoccupazione principale degli attori finanziari è quella di sopravvivere nell’ambiente stesso. Per la maggioranza delle “specie” che popolano l’ambiente, non è tanto importante se il prezzo di un’azione sia “adeguato”, ma se ci sono alternative che migliorano la probabilità di prosperare nell’ambiente.
Bisogna considerare che per molte “specie” (in particolare gli “intermediari”), la sopravvivenza non è garantita dal rendimento degli strumenti compravenduti, ma dalla mediazione e gestione degli stessi, se poi avranno rendimenti negativi, loro comunque hanno garantita la sopravvivenza immediata (se la cosa continua all’infinito, ovviamente, il discorso cambia).
Non investire nei mercati finanziari, per la quasi totalità degli agenti professionali, semplicemente non è un’opzione in campo, perché la loro sopravvivenza sarebbe irreparabilmente compromessa.

Abbiamo visto, quindi, che gli agenti finanziari sono di diverse specie, con interessi e caratteristiche molte diverse. Anche l’ambiente è caratterizzato da diversi fattori. I mercati finanziari sono fatti in primo luogo da una combinazione di regole e regolatori. Questi fattori cambiano nel tempo. A partire dal 2008, ad esempio il ruolo dei regolatori, cioè delle Banche Centrali, è stato sempre più determinante (di fatto i prezzi delle obbligazioni sono stati determinati dalle scelte dei regolatori).
La quantità di moneta circolante nel sistema è uno dei fattori più importante. La tecnologia in uso è un altro fattore ambientale chiave. I mercati finanziari prima dell’avvento dei computer sono un ambiente completamente diverso da quello degli anni ‘90, i quali, a loro volta sono molto diversi da quelli attuali dominati da internet, l’intelligenza artificiale e l’high-frequency trading.
L’invenzione di determinati tipi di contratti e molti altri aspetti più tecnici che qui non è il caso di trattare sono tutte caratteristiche che mutano, talvolta in modo significativo, l’ambiente. Anche per quanto riguarda l’ambiente esistono dei meccanismi di retroazione che rendono “non lineare” la relazione tra una variabile del sistema ed il suo risultato finale.
Quest’ultima frase necessita di una spiegazione ulteriore perché la differenza tra relazione lineare e non lineare non è chiara alla maggioranza dei lettori.

Si parla di relazione lineare quando esiste una proporzionalità fra due entità collegate. Se aumenta una cosa, aumenta (o diminuisce) l’altra (e viceversa) in modo proporzionale.
Ad esempio, il capitale investito in un BTP è in relazione lineare con le cedole che percepisco. Se investo 1000 euro ed il titolo ha una cedola dell’1% significa che ricevo 10 euro. Se raddoppio il capitale, raddoppia la cedola. Se quadruplico il capitale, quadruplica la cedola. Questa è una relazione lineare diretta. Possono esistere relazioni lineari inverse. Ad esempio esiste un relazione lineare inversa tra il rendimento di mercato delle obbligazioni a tasso fisso ed il prezzo delle stesse. Più il rendimento di mercato sale, più il prezzo scende e viceversa.
Queste sono relazioni lineari, dirette o inverse.
Esistono poi relazioni non lineari. Questo significa che se un’entità aumenta, fino ad un certo momento aumenta (o diminuisce) anche un’entità collegata, ma se continua ad aumentare oltre un certo punto si ha un effetto inverso.
Questo avviene in tutte quelle relazioni nelle quali sono previste delle retroazioni (feedback loop). Ad esempio, la relazione fra prezzo di mercato e numero successivo di compratori o venditori è una relazione non lineare. Il variare del prezzo incide nel numero di compratori ed il numero di compratori incide nel prezzo in una relazione reciprocamente auto-influenzante ma non chiaramente definita né modellizzabile con equazioni lineari.
In questo genere di relazioni, non si può affatto affermare che maggiore sarà il prezzo e maggiore sarà il numero di compratori, né viceversa.

Conclusioni
Un’analisi meno superficiale del funzionamento dei mercati finanziari, rispetto a quella che sta alla base della teoria classica, mostra che sostanzialmente i mercati finanziari sono matematicamente imprevedibili. Non esistono modelli matematici basati su equazioni lineari che possono descrivere in modo accettabilmente una relazione fra un fatto qualsiasi e l’andamento futuro dei prezzi.
Qualunque considerazione di “causa-effetto” basata sul buonsenso (ad esempio: “poiché c’è la pandemia le azioni scenderanno”) è destinata ad infrangersi nella complessità di un sistema strutturalmente, matematicamente, imprevedibile.
In presenza di questo dato di fatto, le opzioni possibili per fare scelte finanziarie ragionevoli sono solo due: 1) ignorarla, facendo finta che sia possibile applicare relazioni lineari ad un sistema complesso governato da equazioni non lineare oppure 2) applicare la teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza ed inglobare l’imprevedibilità nei nostri processi decisionali.
E’ triste osservare come in finanza predomini di gran lunga la prima scelta e questo perché gli interessi degli investitori finali sono profondamente diversi dagli interessi degli intermediari finanziari.
 
 
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