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Il mantenimento dei figli maggiorenni
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Famiglia e individuo di Claudia Moretti
1 giugno 2009 0:00
 
Prendiamo spunto da una recente pronuncia della Corte di Cassazione per fare il punto sulla questione relativa al mantenimento dei figli maggiorenni da parte dei genitori. Si tratta della Sent. N.8227/2009, che ripercorre le tappe, seppur in via incidentale, sulla distribuzione dell'onere della prova in merito alla autosufficienza dei figli maggiorenni ancora a carico della famiglia. Nel caso in questione, in un giudizio di modifica delle condizioni di separazione, accadeva che un padre chiedesse la revoca o la diminuzione dell'assegno di mantenimento dei figli maggiorenni, in ragione della raggiunta autosufficienza economica. Vinta in primo grado, l'ordinanza veniva annullata in secondo grado, perche' ritenuto non provato l'assunto della raggiunta indipendenza della prole.  
Posto che, come ricorda la Corte di Cassazione nella sentenza, e' ormai consolidato il diritto del figlio maggiorenne non ancora in grado di mantenersi da solo, di farsi mantenere dai genitori (e dunque il conseguente diritto del genitore convivente a percepire un contributo agli oneri da parte dell'altro genitore), su chi grava il compito di provare la situazione reddituale dei figli? E con quali mezzi? E quando puo' ritenersi irreversibile la raggiunta autosufficienza?  
In merito a quest'ultimo quesito la giurisprudenza e' oscillante. Di certo la nozione di indipendenza economica non coincide con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma e' altrettanto certo che non basta un impiego sporadico una tantum per giustificare l'interruzione al mantenimento.  
Secondo la Corte di Cassazione (sent. 24498 del 17 novembre 2006) la prova di tale indipendenza puo' esser data ad esempio con la dimostrazione del possesso da parte del figlio di un motoveicolo di elevata potenza, unita alla dimostrazione dell'avvenuto svolgimento, con rapporto di collaborazione continuativa, di attivita' lavorativa, seppur al momento cessata, in quanto elemento indicativo di capacita' reddituale. Secondo una parte della giurisprudenza di merito, il dovere di mantenimento dei genitori viene meno quando il figlio abbia superato trent'anni di eta, dovendo prevalere il dovere filiale, non piu' procrastinabile, di rendersi economicamente indipendente (Trib. Bari 23 settembre 2008 n. 2120). Certo e' che se il mancato raggiungimento della autonomia e' frutto di inerzia e approfittamento viene meno l''obbligo a carico dei genitori.  
Ma a chi spetta provare cosa? Seppur sembrano questioni procedurali da tecnici, non lo sono affatto!  
La giurisprudenza, avendo generalmente affrontato il tema nei giudizi di separazione fra genitori e relative decisioni in merito al contributo agli oneri del mantenimento, si e' assestata nel senso di ritenere a carico di colui che chiede l'assegno per il figlio maggiorenne, la prova della mancata raggiunta indipendenza economica. Ovviamente spettera' al genitore che resiste in giudizio, poter provare il contrario, dimostrando invece l'autosufficienza dello stesso. Ora, come evidenziato nella sentenza della Corte di Cassazione n. 8227 su citata, cio' crea una gravosa situazione probatoria in capo al genitore che intenda far valere l'autonomia e togliere ed eventualmente ridurre l'assegno per il figlio maggiorenne. In caso di litigio ad esempio, come potra' reperire le informazioni in merito alla posizione lavorativa e reddituale? Certo, potra' effettuare una domanda di accesso agli atti secondo quanto previsto dalla legge n.241/90, nei confronti delle Pubbliche amministrazioni ovvero dell'Agenzia delle Entrate. Chi ha provato a farlo pero' sa bene che detti enti oppongono al richiedente (in modo illegittimo) la questione della Privacy e di fatto si rimane con un pugno di mosche. Si puo' chiedere al giudice procedente di ordinare l'esibizione della documentazione relativa a impiego e reddito dei figli, ma cio' comporta per il richiedente di effettuare una causa senza sapere se e quanto fondata.  
E allora, non sarebbe invece il caso di lasciare che sia il figlio maggiorenne stesso, titolare del beneficio e del mantenimento in questione, a farsi valere se vuole mantenerlo?  
Siamo in un'epoca di "bamboccioni", dove i figli stagnano nelle case dei genitori, un po' per tradizione e mammismo, un po' per le gravi condizioni occupazionali della fascia di eta' che va' dai venti ai trentacinque anni, un po' per il precariato che ormai e' diventata la forma naturale di assunzione. Crediamo che i figli maggiorenni, che scelgono di rimanere in casa, per studiare o per aspettare una situazione lavorativa e economica soddisfacente, debbano si' averne la possibilita' (sempre che ve e siano le condizioni) ma che detta possibilita' non si trasformi in un diritto sine die, salvo prova contraria!  
Insomma, in altre parole, se lo si considera, come crediamo opportuno, un beneficio ad una proroga al mantenimento della minore eta', e non come diritto e status assistenziale sine die, forse sarebbe anche l'ora di responsabilizzare chi lo richiede. In tal senso, attribuire al figlio stesso la sorte del beneficio, anche in termini processuali, significherebbe renderlo piu' protagonista della propria vita, e piu' consapevole del proprio essere adulto.
 
 
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