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Tia, rimborso dell'Iva: dieci anni per richiederlo al giudice ordinario
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Articolo di Antonella Pedone
29 gennaio 2018 10:33
 
E' illegittima l'IVA sulla Tariffa di igiene ambientale: è possibile chiedere il rimborso entro dieci anni dinanzi al Giudice ordinario.
E' nota la questione relativa alla legittimità o meno dell'IVA applicata sulla TIA (Tariffa di igiene ambientale), su cui si erano formati due orientamenti contrastanti:
  • il primo riteneva che l'IVA fosse legittima in quanto la TIA avrebbe la natura di "corrispettivo" per un servizio reso, e come tale "imponibile";
  • il secondo, invece, sosteneva l'illegittimità dell'IVA in quanto la TIA avrebbe la natura non già di corrispettivo, bensì di "tributo". In ragione di ciò il contribuente avrebbe diritto al rimborso dell'IVA indebitamente versata (Cassazione, sentenza del 10 marzo 2015, n. 4723).
La soluzione adottata dalla Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza del 15 marzo 2016, n. 5078, è conforme al secondo orientamento.
Occorre fare una breve premessa sulla normativa che aveva introdotto la TIA.

Si tratta in particolare del Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, articolo 49, con il quale venne soppressa la Tarsu a decorrere dal 1 gennaio 1999 e venne disposto che i costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, fossero coperti dai comuni mediante l'istituzione di una tariffa (denominata Tariffa di Igiene ambientale).
Tale tariffa sarebbe stata composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.
Orbene, esaminando i caratteri distintivi della TIA, tratti dalla normativa sopra citata, la Cassazione ha ritenuto che la stessa deve considerarsi non già come il corrispettivo per un servizio bensì un vero e proprio "tributo", su cui pertanto non può applicarsi l'IVA.
E infatti l'IVA mira a colpire una qualche capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo, in linea con la previsione di cui all'articolo 3 del D.P.R. n. 633/1972, e non quando si paga un'imposta, anche se destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente (in tal senso, Cassazione, sentenza n. 3756/2012). 
I caratteri distintivi della TIA, da cui la Cassazione ha dedotto la natura tributaria della stessa, sono:
  • l'assenza di volontarietà nel rapporto fra gestore ed utente;
  • la totale predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico, essendo irrilevanti le varie forme di attribuzione a soggetti privati di servizi (ed entrate) pubblici;
  • l'assenza del rapporto sinallagmatico a base dell'assoggettamento ad IVA (laddove per "rapporto sinallagmatico" si intende quel rapporto in cui il compenso ricevuto dal prestatore  costituisce il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario - in tal senso si veda Corte di Giustizia della Comunità europea, sentenza Serebryannay veli, C-283/12, EU:C:20I 3:599, punto 37; Corte di Giustizia della Comunità europea, sentenza del 20 giugno 2013, nella causa C-653/11; Corte di Giustizia della Comunità europea,sentenza Commissione/Paesi Bassi, C-79/09, EU:C:2010:171, punto 76).
Anche l'esame della normativa europea conduce a tale conclusione: l'articolo 13 della Direttiva 2006/112 CE stabilisce infatti che "Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni".  

Diritto al rimborso
Alla luce dei principi sopra enunciati, i contribuenti hanno il diritto di chiedere il rimborso dell'IVA indebitamente versata, maggiorata degli interessi legali.
E' opportuno inviare prima di tutto una lettera a mezzo raccomandata a.r. entro il termine di prescrizione di dieci anni (decorrente dal giorno del pagamento).
In caso di mancato positivo riscontro, è possibile promuovere una azione giudiziaria.
Sul punto, è poi sorta un'ulteriore questione riguardo l'individuazione dell'Autorità giudiziaria competente a decidere sulla domanda di rimborso, e in particolare se la domanda giudiziale debba essere proposta dinanzi alla Commissione tributaria o al Giudice ordinario.
Il problema è stato risolto da una recente pronuncia della Cassazione, Sezioni Unite, del 20 novembre 2017, n. 27437, secondo cui la domanda va proposta al Giudice ordinario (e quindi Giudice di pace o Tribunale a seconda dell'importo richiesto).
Ciò in quanto l'azione esercitata per il rimborso dell'imposta illegittimamente versata dal fruitore dei beni o dei servizi nei confronti del fornitore è un'azione di ripetizione d'indebito di rilevanza civilistica (in tal senso si è espressa anche la Corte di Giustizia, in tema di iva, con sentenza del 15 dicembre 2011, causa C-427/10, Banca popolare antoniana veneta, punto 42; nonchè in tema di accise, con sentenza del 20 ottobre 2011, causa C-94/10, Danfoss).
Afferma infatti la Cassazione che "Il soggetto passivo dell'imposta è difatti esclusivamente colui che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi; sicchè la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente ed amministrazione finanziaria, ma un rapporto di natura privatistica tra soggetti privati, che comporta un mero accertamento incidentale in ordine alla debenza ed all'ammontare dell'imposta applicata in misura contestata.
Il che vale anche quando il debito iva sia totalmente contestato, come appunto nell'ipotesi di indebita applicazione di tale imposta alla tariffa comunale di igiene ambientale (Tia), poichè si tratta in ogni caso di una controversia tra privati, alla quale è estraneo l'esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario".
Il principio è stato di recente ribadito anche con riguardo alla controversia insorta tra il prestatore ed il destinatario della prestazione, in ordine alla pretesa rivalsa dell'IVA esposta in fattura (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 31 maggio 2017, n. 13721; sentenza del 4 aprile 2016, n. 6451).
 
 
 
AVVERTENZE. Quotidiano dell'Aduc registrato al Tribunale di Firenze n. 5761/10.
Direttore Domenico Murrone
 
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