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L’irriverente alle prese con la libertà di pensiero e le istituzioni
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L'irriverente di Vincenzo Donvito
24 settembre 2018 9:29
 
 Mi immagino il nostro primo ministro, Giuseppe Conte, ogni volta che “azzarda” qualcosa su cui non ha estrema certezza, mentre tocca l’immaginetta di padre Pio che porta sempre nel suo portafogli. E’ come il cornetto rosso, con maggiore credito diffuso tra le persone per bene. Non ho potuto non pensare a questo quando ho visto le immagini per la sua visita in quel della provincia di Foggia per un anniversario del suo santo preferito che, immagino viste le sue origini, abbia fatto parte dei suoi sogni e delle sue preghiere fin da piccino. Non sarebbe il primo e neanche l’ultimo. E, in parallelo, mi viene da pensare al suo e nostro vice-primo ministro e ministro plurimo, Luigi Di Maio, mentre bacia a Napoli la liquefazione del sangue di San Gennaro; anche questo, rito di tutti i politici di zona a cui non si sottraggono per la loro fede o convenienza che sia.
Pensando al primo ministro non mi può non venire in mente la grande macchina turistica messa in piedi in quel di San Giovanni Rotondo, quasi o meglio di quanto accade, per esempio, nella francese Lourdes o nella bosniaca Medjugorje. Fanno bene, secondo me, a non disdegnare lo “sporco denaro” che dicono essere alla base della credenza dell’occasione. Il problema, per noi contribuenti di uno Stato aconfessionale come dicono che sia il nostro (art.7 della Costituzione a parte), è che queste credenze trovano buono spazio anche nei soldi pubblicamente erogati; certo, c’é un ritorno, a anche non indifferente, e quindi non ne faccio una questione di soldi senza ritorno. Ma siccome ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, visto che lo Stato dovrebbe impegnarsi per la crescita dei suoi cittadini, avrei preferito che tanti di questi soldi fossero investiti, per esempio, nella scuola pubblica e nell’università che -ufficialmente- non si basano sulle stimmate o sul sangue che eternamente si rigenera, ma su scienza, storia e umanesimo.
Sembra ovvio che ognuno ami chi vuole, ma non lo è. Si è liberi di amare ciò che viene considerato buono dallo Stato, altrimenti non si capisce perché, per esempio, non sia consentito il matrimonio tra persone dello stesso sesso, e un giorno dietro l’altro il ministro della famiglia (ministro, non uno qualunque, quindi ministro di tutti) faccia di tutto per limitare le libertà degli individui rispetto al proprio corpo.
C’è quindi un diritto superiore per un certo amore e un non-diritto per altri amori. E mentre il primo vede le processioni dei governanti ai suoi riti, il secondo al massimo si deve accontentare di qualche politico birbone trattato da depravato (giudicare, liberi di farlo, altro è trattare).
In questi momenti in cui osserviamo e riflettiamo su questi fenomeni antropologici e politici, ci domandiamo se sia giusto così. E ci sentiamo a disagio. Non perché, da appartenenti alla categoria dei depravati, vorremmo assurgere a quella delle processioni accettate, ma solo perché non vorremmo -civicamente- essere depravati, ma solo noi stessi, senza doverlo imporre ad altri grazie ai privilegi che ci prendiamo a discredito di altri.
 
 
 
 
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