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2020 - Pasqua silente
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
11 aprile 2020 19:24
 
Dopo l’Elogio del non fare , tessuto dal direttore del mensile “Azione Nonviolenta” , Mao Valpiana, del 31 marzo scorso, ecco un’altra proposta analoga, ma in forma di poesia, che fu pubblicata nel 1958 in una raccolta dal titolo “Estravagario”.
Questa volta è il poeta cileno
Pablo Neruda a invitare a fare silenzio e a fermarsi, a non fare niente, perché in quel caso, dice, “forse un immenso silenzio interromperebbe la tristezza/di non riuscire mai a capirci/e di minacciarci con la morte”.

Nel nostro caso, di oggi, è proprio la morte, il pericolo di morte che corriamo in tutto il mondo a causa dell’epidemia di Covid-19, ad averci obbligato  a fermarci, a rivoluzionare le nostre vite, limitando o abolendo le uscite da casa, chiudendo negozi, uffici, laboratori … e creando situazioni molto difficili per tanta gente che trae il pane dalle proprie attività adesso sospese.
Avendo presente tutte queste difficoltà, così come la dedizione e il sacrificio fino a quello della vita del personale sanitario e di tanti volontari, e con un pensiero reverente a coloro che sono morti e ai loro familiari, credo comunque che la poesia di Neruda ci dia un aiuto a riflettere. A usare la costrizione dello stare in casa, il ridimensionamento drastico delle relazioni, per andare dentro di noi, conoscerci meglio, scoprire le priorità autentiche per vivere nel rispetto della vita – la nostra e quella degli altri che sono, tutti, di qualunque colore ed etnia, perfettamente simili a noi.
 
 
Fare silenzio (Pablo Neruda)

«Ora conteremo fino a dodici
e tutti resteremo fermi.
Una volta tanto sulla faccia della terra,
non parliamo in nessuna lingua;
fermiamoci un istante,
e non gesticoliamo tanto.

Che strano momento sarebbe
senza trambusto, senza motori;
tutti ci troveremmo assieme
in un improvvisa stravaganza.

Nel mare freddo il pescatore
non attenterebbe alle balene
e l'uomo che raccoglie il sale
non guarderebbe le sue mani offese.

Coloro che preparano nuove guerre,
guerre coi gas, guerre col fuoco,
vittorie senza sopravvissuti,
indosserebbero vesti pulite
per camminare coi loro fratelli
nell'ombra, senza far nulla.

Ciò che desidero non va confuso
con una totale inattività.
La vita è soltanto ciò che si fa,
non voglio niente con la morte.

Se non fossimo così votati
a tenere la nostra vita in moto
e per una volta tanto non facessimo nulla,
forse un immenso silenzio interromperebbe la tristezza
di non riuscire mai a capirci
e di minacciarci con la morte.

Forse la terra ci può insegnare,
come quando tutto d'inverno sembra morto
e dopo si dimostra vivo.

Ora conterò fino a dodici
e tu stai zitto e io andrò via».
 
 
In lingua originale, la poesia si intitola “A callarse” e si può leggere qui .
 
 
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