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Dio non fa preferenza di persone
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
6 marzo 2019 11:38
 
  “Circoncidete dunque il vostro cuore e non indurite più il vostro collo; poiché il Signore, il vostro Dio, è il Dio degli dèi, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e tremendo, che non ha riguardi personali e non accetta regali,  che fa giustizia all’orfano e alla vedova, che ama lo straniero e gli dà pane e vestito. Amate dunque lo straniero, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto” (Deuteronomio 10,16-19)

Allora Pietro, cominciando a parlare, disse: «In verità comprendo che Dio non ha riguardi personali,  ma che in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito” (Atti 10, 34-35)

Chi ha una certa familiarità con la Bibbia, non necessariamente come Libro della fede, ma magari soltanto come importante opera letteraria, si sarà imbattuto in questi testi; il primo, che proviene dal Deuteronomio, testo comune a Ebrei e Cristiani , il secondo da Atti, testo cristiano che segue immediatamente gli Evangeli.
Dio non ha riguardi personali”, cioè non usa parzialità, non fa preferenza di persone.
A questo concetto, così bene scolpito nei testi biblici, è corsa la mia mente quando ho letto su Internet di un episodio accaduto a Mira, in provincia di Venezia, che è stato raccontato direttamente dal parroco della chiesa di San Niccolò in un suo articolo comparso il 3 marzo scorso sul foglio parrocchiale.
Ebbene, questo parroco, don Gino Ciccuto, ha trovato nella  cassetta delle offerte per la “Caritas” una busta con una somma di denaro non specificata.
L’ignoto benefattore aveva però personalizzato, se così si può dire, la propria offerta, scrivendo sulla busta che essa era «Pro anziani, malati, al freddo o alla fame, italiani da sempre, in primis! Gli stranieri per ultimi!».
Come riferisce “La Stampa”, tanto è bastato perché don Gino si sia sentito, anziché contento, “profondamente amareggiato e umiliato”. Tanto da invitare il benefattore ad andarsi a riprendere l’offerta, perché la condizione posta, che riecheggia slogan purtroppo abituali di questi tempi, “non ha niente a che fare con la fede che considera i più poveri tra i primi, senza guardare il colore della pelle o la provenienza”. Anzi, osserva ancora don Gino, nel fare una graduatoria tra i poveri, quella persona mostra di avere bisogno di “interrogarsi seriamente sul suo essere cristiano”, aggiungendo che, “se non è d’accordo su quello che è la vera carità”, può, appunto, “passare per la canonica a riprendersi la sua ‘offerta’; eventualmente può consegnarla a chi la pensa come lui”.
Parole severe e recise quelle del prete di Mira, che hanno ricevuto l’approvazione sia di molti fedeli sia del vicario parrocchiale, Don Mauro Margagliotti, che ha commentato l’operato del parroco con queste  parole: “Don Gino ha ricordato con forza il messaggio del Vangelo e di Gesù”.
Dal canto suo, monsignor Dino Pistolato, per lunghi anni direttore della “Caritas” diocesana, e adesso parroco in una chiesa vicina a quella di san Niccolò, ha dichiarato che “Don Gino  ha fatto benissimo a rifiutare quell’offerta. L’offerta caritatevole nel messaggio cristiano non può essere esclusiva, ma inclusiva. Questa vicenda purtroppo è anche un segno dei tempi, ma casi del genere nel corso degli anni sono capitati anche a me e ho sempre ribadito il rifiuto ad offerte che escludessero persone o categorie di persone al posto di altre, o che non garantissero una provenienza chiara o lecita”.
Personalmente ho letto con favore questo episodio. Mi rammarico anch’io che ci siano persone  che, pur essendo magari buoni praticanti, tuttavia vogliono, a differenza di Dio, fare delle graduatorie che non attengono al bisogno, ma alla nazionalità (o magari al colore della pelle). Trovo però nella risposta del parroco di Mira grande coerenza e coraggio, perché così facendo, con l’attuale propaganda di tipo nazionalistico, si possono perdere anche consensi e addirittura essere segnati a dito come “nemici della nazione”; il che può comportare pure, ad esempio, una diminuzione delle offerte per i poveri e per la chiesa.
Che questo rischio sia stato assunto in nome della fedeltà alla Parola di Dio è una testimonianza importante, un richiamo urgente rivolto alle persone a riflettere su cosa significa veramente dirsi cristiani. Che è uno dei primi compiti, mi sembra, di un buon pastore di anime.
 
 
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