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Incontrarsi a Trieste
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
13 luglio 2014 10:15
 
 Fra il 20 e il 30 giugno ero stata invitata a Monza e a Trieste a parlare di Bertha von Suttner e del suo carteggio con Alfred Nobel in occasione del centenario della morte della pacifista austriaca, avvenuta a Vienna il 21 giugno 1914, una settimana esatta prima dell’assassinio di Sarajevo e poco più di un mese avanti lo scoppio della prima guerra mondiale.
In queste due occasioni sono venuta in contatto con un buon numero di persone interessanti e simpatiche; se l’incontro con quelle, con cui avevo già instaurato un rapporto promettente grazie alla magia di Internet, ha confermato l’idea positiva che me ne ero già fatta, l’incontro con le altre, perfettamente sconosciute, ha costituito una più che piacevole sorpresa. Ciò è avvenuto in particolare a Trieste, dove pensavo che mi sarei trovata a disagio, perché immaginavo che il convegno su “I profeti inascoltati” fosse un evento molto solenne e paludato, visto che tutti gli altri relatori erano docenti universitari o comunque esperti studiosi del pacifismo. Invece, per fortuna, non è stato così e io mi sono trovata a tu per tu con persone certamente molto competenti e, insieme, prive di qualsivoglia presunzione (una mia amica ha commentato che sono semplicemente “intelligenti”).

Ma qui non intendo parlare di loro che pure meriterebbero una menzione particolare, se non altro, per le notizie e le valutazioni interessantissime che hanno fornito. Qui desidero, piuttosto, dedicare queste noterelle a due donne che mi è capitato di conoscere inaspettatamente, e con le quali ho scambiato qualche parola: senza alcuna pretesa, ma proprio per questo in un modo più denso di significato. Perché in quella manciata di minuti (se non addirittura di secondi) si è concretizzato il dono inatteso di una autentica relazione.

Il primo di questi due incontri è avvenuto il sabato pomeriggio in un famoso negozio triestino, dove mi sono fermata per acquistare un paio di regali. A servire c’era una giovane donna, a cui avrei anche dato appena 20 anni, se non mi avesse poi detto che aveva già conseguito la laurea breve in scienze politiche. Una ragazza alta, dotata di una armoniosa distinzione ancorché distaccata, e dall’aria vagamente spaesata in quel negozio algido (come sono, del resto, tutti i negozi moderni, dove tutto è troppo lustro, ordinato e in vista), la quale mi ha illustrato le diverse possibilità di “assemblare” i prodotti disponibili, e che, mentre impacchettava con paziente abilità ciò che avevo scelto, mi ha chiesto da dove venivo. Io uso rispondere “dalla Toscana”, perché, anche se amo Firenze a dismisura, non mi sento di una città in particolare delle tre in cui ho vissuto finora (forse a causa del fatto che non sono nata in nessuna di esse). Ma lei ha voluto sapere la città e allora, barando appena un po’, tanto per semplificare (!?) le cose, ho detto proprio: “Firenze”.
Magia del nome! Le si sono illuminati gli occhi, e il distacco è scomparso, sostituito da un atteggiamento di nostalgia – dal timbro della voce fino all’espressione del volto. Ci ha vissuto, mi ha raccontato, negli ultimi cinque anni, frequentandoci gli ultimi due anni del liceo e il triennio universitario di scienze politiche, e ci si è trovata tanto bene.
E come mai, le ho chiesto, adesso era a Trieste? Mi ha accennato a un ragazzo, che ha seguito fino nella città giuliana, dove, per guadagnare qualcosa nell’estate, ha trovato lavoro in quel negozio. Un impiego passeggero, ha aggiunto spontaneamente, in attesa di riprendere gli studi per conseguire la laurea magistrale in vista della realizzazione di un suo desiderio … che di lì a poco mi ha svelato: entrare in diplomazia.
Allora tornerà a Firenze? No, sceglierà tra altri due atenei che, secondo lei, garantiscono una formazione migliore riguardo al suo obiettivo.
A questo punto i due pacchetti erano pronti e non mi restava che pagare e congedarmi, il che ho fatto porgendo alla giovane auguri sinceri per tutto ciò che le sta a cuore.

Il secondo incontro è avvenuto lunedì mattina, l’ultimo giorno di giugno. Aspettavo, nelle vicinanze del mio albergo, l’autobus che doveva portarmi in stazione, quando all’improvviso una passante, una signora di mezza età, dallo sguardo vivo in un volto alquanto segnato, si è fermata e mi ha salutato, dicendomi che le era piaciuta la mia relazione su Bertha von Suttner. Da dove venivo? – mi ha chiesto immediatamente, ignorando, lì per lì, il mio ringraziamento e il tentativo di strapparle un apprezzamento anche per gli altri relatori. Dalla Toscana, non si sente? Oh che bella la Toscana! Ci aveva insegnato alcuni anni, a Livorno, per la precisione, e aveva trovato gente calda e accogliente, come a Trieste non ce n’è. “Sono un’insegnante di chimica con la passione della storia”, mi ha confidato prima di congedarsi, ma al convegno non era potuta restare ad ascoltare tutte le relazioni del pomeriggio, perché ha la mamma molto anziana bisognosa di assistenza. E mi ha salutato, dirigendosi verso il mare, proprio mentre arrivava il mio autobus.
Poche battute, eppure anche qui un mondo che si dischiude, una relazione che si instaura - in una manciata di secondi, ma non per questo superficiale.



 
 
 
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