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Natale 2017 - Un invito alla nonviolenza
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
25 dicembre 2017 13:46
 
Negli anni passati ho fatto conoscere alcune omelie sul Natale del teologo cattolico tedesco Eugen Drewermann.
Quest’anno propongo un sermone tenuto dal pastore avventista Saverio Scuccimarri nell’occasione dell’inaugurazione della mostra “La Riforma radicale” a Firenze il 17 settembre 2017. [per vedere i pannelli della mostra cliccare qui e poi sulla dizione “scarica i pannelli della mostra". Sulla nonviolenza specialmente il pannello 10].
A prima vista questo sermone, col Natale, non c’entra niente; questa grande festa cristiana non vi è neppure menzionata.
Ma, se è vero che il Natale, come generalmente si dice, è la festa della pace (e io credo che lo sia e in un senso molto più profondo dello stare a tavola tutti insieme), allora tale sermone qualcosa col significato di questa festa ha a che fare.
Esso infatti si sofferma soprattutto sulla frase di Matteo 5, 38-39 “«Voi avete udito che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico: non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra»”; prima chiarisce l’equivoco della regola giuridica “occhio per occhio dente per dente”, e poi quello relativo al “porgi l’altra guancia”, che non significa accettare la violenza passivamente, bensì contrastarla senza usarla a nostra volta. E qui siamo alla base, appunto, della nonviolenza.
Ecco dunque il sermone nella sua versione integrale
 
Introduzione
 Quello di stamattina è un culto di inaugurazione della mostra sulla Riforma radicale.
Io innanzitutto vorrei complimentarmi per questa iniziativa, e vi spiego il perché. Oggi la collaborazione e la comunione tra le chiese evangeliche è tale che non si fa caso alle generalizzazioni della comunicazione, per le quali saremmo tutti eredi dell’unico capostipite, l’Abramo dei protestanti, che è stato Martin Lutero. La verità è che, pur riferendoci tutti al famoso gesto delle 95 tesi come data convenzionale di inizio della Riforma, la Riforma è nata plurale e ha avuto più padri. Non solo, ma era stata preceduta da altre riforme, di cui la più nota, soprattutto alle nostre latitudini, è quella valdese. Ma oggi noi vogliamo celebrare la Riforma radicale, riportando all’attenzione di tutti una storia ancora più sconosciuta rispetto a quella della riforma plurale. E cioè che oltre alla riforma cosiddetta «magisteriale», perché appoggiata dai magistrati e dalle autorità, è esistita una riforma radicale, che si poneva in termini dialettici nei confronti della prima. Le caratteristiche della riforma radicale evangelica erano il battesimo dei credenti, la netta separazione tra Chiesa e Stato e il rifiuto della violenza e delle armi. In generale perseguivano una netta e rapida decattolicizzazione della fede evangelica. Infine, i princípi della riforma radicale hanno influenzato in maniera importante i movimenti di risveglio che, nei secoli successivi, hanno dato origine a diverse delle denominazioni oggi qui rappresentate.
Nonostante la profonda comunione che oggi ci lega, è importante ricordare, dunque, che le radici protestanti sono plurime fin dall’inizio. Questo, sia per un dovere di verità storica sia per fedeltà a un principio teologico: la pluralità. Troppo spesso, mi pare, in ambito ecumenico, che nel dolore per le divisioni del cristianesimo, si incorra nell’errore del rimpianto delle differenze. Le differenze sono il prezzo della libertà di coscienza, e sono volute dallo Spirito Santo che ci rende diversi e rende diverse le esperienze, in modo che nessun credente o chiesa possa credere di poter essere sufficiente a se stessa e ignorare la responsabilità del dialogo e della comunione con le altre chiese. No alle divisioni, ma sì alle differenze. No a fare delle differenze un motivo di conflitto e separazione, ma sì alle differenze che sono la base di un dialogo fruttuoso e costruttivo, e un baluardo contro ogni tentazione di supremazia e potere.

Porgi l’altra guancia
Dopo questa ampia introduzione, passerei a commentare il testo biblico letto, un testo biblico caro alla tradizione mennonita e anabattista in generale: «porgi l’altra guancia». Quanto questo slogan della non violenza è in grado di interpellarci oggi? Che cosa rimane di questo principio dopo Auschwitz e tutti i genocidi del 1900, che hanno mostrato gli effetti collaterali di questo principio quando viene inteso come non opporre alcuna resistenza al carnefice? In un mondo come quello di oggi, in cui la violenza, in ogni campo, anche in quello politico e verbale in generale, sembra essere tornata di moda, come può aiutarci il porgi l’altra guancia a mantenere una responsabilità profetica?
Queste le domande a cui cercherò di rispondere. Innanzitutto, precisiamo che «porgi l’altra guancia» è un detto di Gesù molto controverso. Non solo perché è percepito come un ideale troppo elevato, troppo distante dall’esperienza comune, anche quella dei credenti, troppo «radicale» per poter essere di ispirazione concreta per i credenti. Ma anche perché questo principio, bellissimo nella sua formulazione, rischia, a seconda di come viene inteso, di perpetuare il male e la violenza, e quindi di indurre la chiesa a rinunciare al suo dovere fondamentale di difendere e tutelare gli oppressi. Se per esempio, alla donna che subisce violenze domestiche viene chiesto di porgere l’altra guancia, si condanna lei alla sofferenza perpetua, il marito a continuare a vivere nel suo stato di subumana bestialità, e la collettività a continuare a perpetrare il modello ingiusto del maschio padrone.
In questa riflessione, allora, porterò avanti tre tesi:
Al tempo di Gesù c’era un equivoco sul principio “occhio per occhio dente per dente”, soprattutto in merito all’estensione di quel principio;
Nel nostro tempo c’è un equivoco in merito al porgere l’altra guancia, soprattutto in merito al significato di quel principio;
Porgi l’altra guancia, compreso nella giusta sfera, è un principio ancora valido e necessario.
 
Occhio per occhio
Andiamo alla prima tesi. Pare che al tempo di Gesù “occhio per occhio dente per dente” fosse inteso come una regola generale di gestione dei conflitti, e quindi un invito alla vendetta. Ma questo non è ciò che il PT [Primo Testamento], da cui la regola è tratta, dice. Il PT invoca questo principio solo in tre casi:
Esodo 21:24: una donna incinta che viene colpita e che in seguito al trauma abortisce;
Levitico 24:20: lesioni fisiche inferte al prossimo;
Deuteronomio 19:21: i falsi testimoni, su cui viene eseguita la stessa pena che essi chiedevano per la vittima delle loro false accuse.
Tutti e tre gli ambiti in cui il PT invoca il principio, sono ambiti gravissimi, che non riguardano la quotidianità dei rapporti tra le persone, ma le manifestazioni eccezionali di violenza e malvagità. Ma soprattutto, proprio perché si tratta di crimini, sono ambiti che non riguardano solo la sfera privata dell’individuo, ma attengono alla sfera pubblica e richiedono l’intervento della legge. Al tempo di Gesù, quindi, si cadeva nell’equivoco di scambiare una norma penale per un principio relazionale. Un principio di certezza della pena, veniva scambiato per un invito alla vendetta nella gestione dei conflitti interpersonali.

Resa o contrasto?
Andiamo alla seconda tesi. C’è stata tutta una pastorale, nel passato, e forse c’è ancora oggi, che invita le mogli che subiscono violenza a restare coi mariti, per salvare il sacro vincolo del matrimonio. Questa pastorale si basa sul “porgi l’altra guancia”, e sulla necessità di ognuno di prendere la propria croce. Gesù si è lasciato crocifiggere, dobbiamo farlo anche noi.
In questa formulazione, a mio avviso, c’è più di un equivoco. Il primo mi sembra lampante: la sofferenza e la morte di Cristo, assieme alla sua vita e alla sua resurrezione, hanno sconfitto il male, ma la sofferenza e la morte di un qualunque altro essere umano, perpetuano il male. Fino a quando ci sarà al mondo una persona che subisce violenza, il male non sarà sconfitto.
Il secondo equivoco è sul significato del “porgi l’altra guancia”. Significa davvero subire in silenzio, come la pecora muta dinanzi a chi la tosa? Non è piuttosto un invito a reagire al torto subito non attraverso la strategia della violenza, che è un moltiplicatore del male, ma attraverso le armi che il bene ci mette a disposizione? Porgi l’altra guancia è davvero un invito a lasciare le cose come sono, condannando all’infelicità sia chi subisce violenza e sia chi la pratica? O è, piuttosto, un invito a trovare una soluzione che possa non solo salvare chi è oppresso, ma invitare a riflettere anche l’oppressore?
La risposta la conosciamo tutti: Gandhi, Martin Luther King, Nelson Mandela, sono grandi esempi di una corretta comprensione della non violenza di Gesù: non si tratta di arrendersi al male, ma di studiare strategie che salvino l’oppresso senza distruggere l’oppressore, ma aiutandolo a crescere. Strategie di pace, di amore, di perdono, ma anche di ferma condanna e contrasto dell’ingiustizia, perché la pace, l’amore, il perdono e la giustizia sono armi ben più potenti di tutti i test nucleari nordcoreani.

La nonviolenza oggi
Porgi l’altra guancia, intesa come strategia di contrasto all’ingiustizia attraverso progetti di pace e di perdono, è ciò di cui il mondo ha tanto bisogno oggi. La guerra è tornata a essere percepita come normale azione di politica internazionale, ritornano le minacce nucleari, i nazionalismi, le frontiere chiuse, i razzismi, il linguaggio violento nella politica e sui social, il disprezzo per i diritti umani. Anche la chiesa rischia, in tutta questa confusione, di farsi travolgere in questa spirale di violenza. Sto pensando a quel pastore evangelico che nei suoi sermoni non fa che elogiare Trump e la sua politica di pancia, per usare un eufemismo. Ecco, credo che il miglior onore che possiamo rendere oggi alla Riforma radicale, è quello di rispolverare il principio del porgi l’altra guancia, e fare progetti di pace, che contrastino l’ingiustizia con parole e azioni improntate sul rispetto e l’attenzione verso ogni creatura.
 
 
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