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Noterelle dal diluvio universale del XXI secolo/6 – Quando si dice tagliare le gambe
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
1 dicembre 2020 16:16
 
Dedicato a tutte le persone per le quali il Covid sta rappresentando un vero attentato alla loro integrità fisica e morale
 
Confesso una mia  superficialità: non ho mai creduto che ci fossero persone nate con la camicia e altre perseguitate dalla sfortuna.
Ma, in questo ormai lungo periodo all’insegna del Covid19, mi sono imbattuta in diverse situazioni che mi hanno fatto riflettere parecchio sul fatto che, sì, ci possano essere persone bersagliate dalla sfortuna.
 
I due esempi, che porto, valgono per ogni altra situazione, in cui delle persone hanno avuto le gambe tagliate dalle conseguenze della pandemia – magari proprio nel momento in cui pensavano di avere davanti un avvenire più roseo, addirittura il successo a portata di mano.
 
Primo caso. Nella cittadina, in cui abito, seguii per alcuni mesi i preparativi per l’apertura di un ristorante che voleva essere alquanto sfizioso. Dico “seguii i preparativi” perché questo locale sta in una via, che io percorro quasi tutti i giorni; una strada un po’ separata dalle vie dello struscio, ma comunque nel circuito del centro.
La cosa cominciò a ottobre-novembre 2019 con dispiego di muratori, arredatori, eccetera eccetera. Finché, finalmente, verso febbraio, vidi annunciata a grandi lettere la data dell’inaugurazione: ore 19:00 del 14 marzo 2020!
 
Ma, come sappiamo, il 10 marzo fu imposta la clausura a tutta l’Italia, con chiusura esercizi commerciali, in primis bar e ristoranti, e divieto di uscire di casa se non per motivi ritenuti validi e con l’autocertificazione.
 
Fu a questo punto che mi posi una domanda sulla “sfortuna” dei proprietari di quel locale, e di tutti quelli che avevano fissato date analoghe per l’inaugurazione delle loro attività non rientranti tra quelle strettamente necessarie, come i negozi di alimentari, farmacie, edicole e poco altro.
I proprietari di quel ristorante hanno tenuto duro, ma immagino con quanta pena e angoscia, e hanno fatto slittare l’inaugurazione, sia pure in tono dimesso, a più di due mesi dopo la data prevista.
Poi hanno lavorato certamente a scartamento ridotto, mettendo, nella bella stagione, i tavoli fuori, lungo la strada, fino alle rinnovate recentissime restrizioni, a causa delle quali ho visto che il locale resta aperto per il cibo da asporto. Ma non so con quanto successo. Come potranno rientrare degli investimenti fatti, magari anche con l’accensione di un mutuo?
La scommessa, legittima, su un’attività fino a poco tempo fa considerata di successo sembra essere – almeno ai miei occhi di persona estranea – pressoché perduta; certamente molto compromessa.
 
Il secondo caso, che mi ha fatto riflettere, è quello di un uomo sui quarant’anni, senza fissa dimora da sei anni, che ho imparato a conoscere in centro, dove aveva, fino a circa un mese fa, una postazione precisa nella zona pedonale per chiedere l’elemosina. Dico “aveva”, perché adesso il Comune ha proibito di sedersi in strada, sia pure in un luogo, che non pregiudica il normale passaggio delle persone, e quindi Sergio (nome di fantasia) deve stare  tristemente in piedi o seduto sul gradino di un portone, senza potere segnalare in modo più evidente la sua situazione di stabile precarietà. Scusate l’ossimoro; “stabile” e “precario” sono, per la logica astratta, in stridente contrasto, ma, nella pratica, purtroppo, vanno d’accordo per diverse persone afflitte da questa situazione.
Ebbene, sette/dieci giorni prima che la Toscana diventasse zona arancione e poi rossa e si tornasse, quindi alla clausura, con il divieto di spostarsi dal Comune di residenza, Sergio, che ha molta dignità e s’ingegna a fare dei lavoretti qua e là, e che è anche benvoluto da parecchie persone, aveva conosciuto un signore che gli aveva chiesto la disponibilità di fare compagnia alla sua mamma anziana, che non poteva restare da sola in casa per le quattro ore della mattina, in cui il figlio doveva uscire. E lui me l’aveva raccontato con vera gioia, aggiungendo che sarebbe stato contento di fare compagnia a questa signora, che aveva anche conosciuto, piacendole, perché gli sarebbe sembrato di fare compagnia alla sua mamma, che era stata a lungo malata e che lui aveva assistito, lasciando il lavoro; il che lo aveva poi messo sulla strada quando la mamma era morta e il padrone di casa non gli aveva rinnovato il contratto di affitto intestato a lei.
Ma Sergio ha la residenza virtuale in un Comune e la signora abita in un altro Comune, sia pure limitrofo e raggiungibile comodamente col treno.
Morale della favola, quando avrebbe dovuto cominciare il lavoro, discretamente remunerato, ma pur sempre al nero, il blocco degli spostamenti tra Comune e Comune ha colpito brutalmente Sergio.
Anche perché, appunto, non esisteva contratto di lavoro né assicurazione INPS, che consentissero a Sergio di viaggiare con l’autocertificazione in regola. La Polizia Ferroviaria, da lui interrogata, lo ha vivamente sconsigliato di mettersi a rischio.
A quello che lui mi ha raccontato a pezzi e a bocconi, non è la prima volta che gli succede una cosa analoga, ragion per cui l’ho sentito molto scoraggiato, demoralizzato.
La sola cosa “positiva” è che, nel frattempo, una coppia di anziani gli ha offerto una stanza al piano terra della loro abitazione, ragion per cui, per quanto esposto ai rigori del freddo, perché non c’è neppure una stufa, starà al riparo dalla pioggia, e non esposto alla paura di qualche aggressione, come quando dormiva, peraltro con un occhio solo, nelle stazioni o nei parchi. Ma non sa come fare a mangiare lui e la sua canina nera, che è l’unica sua consolazione.
Cerca di raggranellare qualche euro stando vicino a un supermercato della sua zona, ma non sempre ciò che gli viene dato basta a fare una sia pur modesta spesa. Un’ancora di salvezza, ma anch’essa molto instabile … la ricerca nei cassonetti del supermercato di qualche commestibile gettato via.
E io mi chiedo: ma si può essere più sfortunati di così?
 
Mentre rileggevo queste righe mi è venuto in mente un passaggio della Preghiera per i defunti di don Primo Mazzolari (1890-1959), presbitero cattolico che dal 1932 alla morte fu parroco di Bozzolo, in provincia di Mantova. Egli fu sempre accanto ai poveri, che difese, anche a costo di essere preso di mira come sovversivo, dall’arroganza dei ricchi proprietari di terre e da altri benpensanti, tanto da scrivere, nel 1939, un libretto di poche pagine, ma di grande tensione cristiana e morale, dal titolo La Via Crucis del povero.
Ebbene, in questa preghiera per i defunti, di cui segnalo un link, c’è un passaggio che mi ha fatto sempre riflettere molto, ma che solo ora credo di capire nella sua realtà più profonda:
A quelli che passarono nel dolore
a quelli che parvero sacrificati da un avverso destino
rivela [oh Dio], con te stesso, i segreti della tua giustizia
i misteri del tuo amore
”.
 
Parole severe, per certi versi inconcepibili per la mentalità comune, ma che prendono atto che la vita non è giusta per tutti – e don Mazzolari conosceva bene il suo gregge e, se ha parlato così, significa che ha partecipato a questi drammi umani, a questa ingiustizia che la vita appronta, non si sa perché, per alcune persone. Da qui mi pare che scaturisca un obbligo morale a guardare con compassione tutte le persone sfortunate, senza osare dire che è colpa loro se sono così.
 
 
La preghiera per i defunti di don Mazzolari è riportata nelle mie noterelle del 4 novembre 2018 https://www.aduc.it/articolo/preghiera+defunti_28675.php

 
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