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Noterelle dal diluvio universale del XXI secolo/8 – Tenerezza e riconoscenza
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
31 dicembre 2020 20:39
 
 Penso che l’attuale passaggio da un anno all’altro sia scevro, come non mai, dell’aspettativa più o meno segreta che l’anno nuovo spazzi via tutti i malanni del precedente. L’apoteosi di questo atteggiamento la vivemmo nell’attesa del fatidico 2000, ma proprio in questi ultimi vent’anni abbiamo visto quanti enormi problemi si siano sommati a quelli già grandi che avevamo nel secolo scorso, fino ad arrivare alla pandemia, che ci ha dissestato la vita di prima e che non accenna a demordere.
Allora via l’immagine dolciastra del vecchio anno con una pesante bisaccia sulle spalle che se ne va, incrociando un bambino saltellante e leggero! La bisaccia non se ne va; resta con noi, su di noi.
Ce la dobbiamo portare, senza illuderci che una bacchetta magica possa risolvere tutto.
Una cosa, però, possiamo fare. Sta a ciascuno di noi discernere, in questa bisaccia, qualche insegnamento positivo e metterlo in pratica. Questo è il mio augurio per il 2021.
Personalmente ho individuato il binomio tenerezza e riconoscenza che sono alla portata di tutti; basta guardarsi intorno con occhi bene aperti e ascoltare i palpiti del nostro cuore.  
 
Ho raccolto su Internet alcuni articoli che ci portano in questa direzione e li voglio proporre adesso più o meno in ordine cronologico. Ma prima, per spiegare bene la semplicità della cosa, voglio accennare a quanto sta succedendo qui sotto casa mia. I vicini di casa, che abitano al piano terreno e hanno un cancellino d’ingresso separato e un piccolo spazio davanti al portone, hanno fatto l’albero di Natale all’esterno, invece che in casa – un albero ornato con gusto, che la sera si accende di tante luci che infondono allegria e calore.
Diverse persone, tra cui anche io, hanno apprezzato la delicatezza di questa scelta che è stata proprio voluta: portare, appunto, un po’ di “luce” soprattutto nel buio di queste lunghe sere. Così, la tenerezza di questi signori ha suscitato la riconoscenza di altre persone, che l’hanno espressa, anche suonando il campanello per ringraziare.
 
E dunque, la prima storia, del 15 novembre, viene dal “Lanzo Hospital” di Alta Valle Intelvi, in provincia di Como. Il dottor Giuseppe Vallo narra del suo incontro con un vecchio di quasi 91 anni, malato di Covid, che doveva essere passato alla terapia intensiva. Il malato non voleva e ha pregato i medici di “lasciarlo andare”, poiché nella vita aveva avuto tante cose; che, per favore, pensassero a chi era più giovane di lui. Al medico questo vecchio ha ricordato suo padre, suo coetaneo, e, osserva: “Il tuo sorriso e la tua dignità mi hanno stretto il cuore così forte che mi sembrava di essere io quello a cui mancava l’ossigeno”.
Il vecchio signore è andato in terapia intensiva, medici, infermieri e gli altri operatori socio-sanitari  si sono presi cura di lui, facendogli anche vedere, col telefono, i suoi parenti, e nel giro di 15 giorni quest’uomo è uscito dalla camera intensiva e sottoposto a fisioterapia per essere rimandato a casa guarito e in forma. Conclude il dottor Vallo: “Ci hai ringraziato così tante volte, ma, la verità, è che noi dobbiamo ringraziare te perché tu ci dai la speranza e la voglia di continuare ogni giorno a lottare. Noi abbiamo salvato te, tu hai salvato noi […]”. Che bello quando ci si può ringraziare a vicenda! Provare per credere.

Il secondo episodio l’ho letto su”La Stampa” del 17 novembre, ma risale a pochi giorni prima.
Qui c’è il sindaco di Petrosino, un piccolo Comune del trapanese, che si è fatto pastore di un gregge di pecore per aiutare il vero pastore che si era ammalato di Covid con la sua famiglia. Gaspare Giacalone ha ricevuto una mattina la telefonata di Antonio, disperato perché non poteva più accudire alle sue pecore e agnellini e non aveva trovato nessuno che lo sostituisse. Un SOS in piena regola, al quale il sindaco ha risposto senza indugio, recandosi all’ovile appena in tempo per aiutare a far nascere un agnellino, a cui ha messo nome White.
Sono interessanti alcune considerazioni di Gaspare Giacalone che si è reso conto, per esempio, come ci siano fasce di lavoratori che nei “ristori” per la pandemia non sono neppure immaginati, riferendosi proprio ai pastori che, se si ammalano, non solo non possono accudire al gregge, ma neppure occuparsi della produzione di latte e formaggi, che dà loro da vivere. E per quanto riguarda il suo impegno nell’ovile, osserva di non avere mai pensato che fare il sindaco fosse tutto onore e gloria, anzi “è mettere i piedi nella terra bagnata di sudore, dove c’è lavoro e sacrificio. Dove c’è sofferenza e bisogno”, per concludere che “Oggi mi sento un po’ più sindaco”.
Il bello di questa storia è che c’è pure il lieto fine, narrato in un articolo del 7 dicembre su “Telesud”. Il pastore è guarito ed ha fatto ritorno al suo gregge. Lo ha subito annunciato il sindaco Giacalone su Facebook: “Che sollievo e che gioia  vederlo nuovamente portare il suo gregge a pascolare nel verde delle nostre campagne. Sono tornato ieri  per salutarlo e per rivedere gli agnellini a cui, vi confesso, mi ci sono affezionato. Per me è stata una meravigliosa esperienza. Ho imparato tante cose da queste creature. E ogni cosa nuova che scoprivo da solo correvo a telefonare Antonio per conferma”.
Da ora in poi sembra che il sindaco sarà chiamato “u picuraro”. Un appellativo forse nato per sbeffeggiarlo, ma che lui considera una medaglia al valore.
Anche qui quale scambio di profonda umanità! Che meraviglia!
 
Del 19 novembre – è la terza storia - è la notizia che riporta la tenerezza di Rosa Esposito  per 16 migranti afgani e iracheni sbarcati a sera sulla spiaggia di Nerano (Massa Lubrense/Napoli). La donna è corsa a riaprire la sua pizzicheria e ha dato da mangiare e da bere a queste persone giovani, stanche e affamate, che ha riconosciuto come figli suoi. Possiamo immaginare la riconoscenza di questi 14 uomini e due donne per la cura inaspettata, che hanno ricevuto?
Il gesto ha fatto il giro d’Italia in poche ore. Ai commenti, che la elogiavano, la signora Rosa ha risposto di non avere fatto niente di straordinario: “E’ stato un fatto così … è semplicemente che l’umanità ci deve essere”.
 
Merita certo una menzione – e siamo alla quarta storia - anche la tenerezza mostrata da una giovane donna della Costa d’Avorio verso il figlio di 5 anni di una sua connazionale che, nel mese di aprile, era stata separata dal bambino, mentre salivano su un barcone in Tunisia. Il bambino e la sua vicemamma, senza documenti, sono arrivati dopo poco a Reggio Emilia e qui, a quanto riporta “La Stampa” del 24 dicembre,  si è dispiegato il grandissimo, puntuale impegno del tribunale dei minorenni e di altre autorità, per verificare la giustezza del racconto della giovane donna e, quindi, per collocare lei e il bambino in una struttura educativa adatta. Impegno che si è rinnovato quando la mamma del bambino è sbarcata in Sicilia ad agosto ed è riuscita a mettersi in contatto con la connazionale. Anche in questa occasione tutti i servizi di Reggio Emilia hanno lavorato di buona lena “per verificare la validità del legame tra madre e figlio”, come si legge nell’articolo, “e, appurata la volontà di ricongiungimento, hanno insistito perché la donna potesse essere ospitata in un centro di accoglienza della stessa città del figlio”. Con l’intervento anche della Prefettura e di una cooperativa sociale, il 22 dicembre madre e figlio si sono potuti ricongiungere.
Ecco, a me pare che si possa parlare di tenerezza non solo a proposito della giovane ivoriana, che si è presa cura del bambino per parecchi mesi, ma anche a proposito di ciò che hanno fatto le autorità sopra menzionate. Certo, hanno fatto il loro dovere, ma io penso che anche fare con serietà e umanità il proprio dovere sia uno dei modi in cui si esplica la tenerezza.
 
E, forse, la tenerezza non si esplica anche nel difendere una persona derubata che grida aiuto e nel fermare il ladro? Secondo me, sì. La tenerezza non è imbelle, non si limita alle coccole, ma è un sentimento forte che può dare coraggio e, per così dire, ristabilire la giustizia
Una cosa del genere la riporta  “La Stampa” del 28 novembre (quinta storia): A Catania un giovane senegalese insegue, blocca e fa arrestare un ladro. Quest'ultimo, che  era un sorvegliato speciale, aveva preso di mira una lavanderia; quando la proprietaria si è messa a urlare e il ladro si è dato alla fuga, il giovane, che vive nella zona da molto tempo, lo ha inseguito e bloccato qualche centinaio di metri più avanti, mentre stavano arrivando anche i Carabinieri in servizio alla vicina sede della Banca d’Italia.
A lui sono andate la riconoscenza della proprietaria della lavanderia e anche i complimenti dei Carabinieri.
 
Ecco solo una piccola selezione di episodi, fra tantissimi altri, che scaldano il cuore e ci infondono speranza nella vita e nello spirito di umanità.
Ripeto il mio augurio: non restiamo immoti spettatori di essi, ma guardiamoci intorno e scopriamo le situazioni, in cui anche noi possiamo agire con tenerezza e riconoscenza.
 
P.S. Mentre rileggevo queste noterelle, mi è arrivato un WhatsApp da un’amica della mia età. Dice così: “Cara Annapaola, voglio solo diriti che noi, persone sagge (hem!), anziché scaricare su quel poveraccio del 2021 tutte le aspettative del globo, ci impegneremo per vivere giorno per giorno come meglio ci riesce. Giusto? Con tanto affetto, auguri!”.
Anche tale sintonia, non sempre comune, con questa amica desta in me tanta riconoscenza e mi rende serena, perfino allegra.
Sì, vivere meglio è possibile e dipende anche da noi.

 
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