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 ITALIA - ITALIA - Coronavirus. Che cibo stiamo mangiando
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21 aprile 2020 17:14
 
 Prima delle restrizioni per contenere il contagio da coronavirus, gli italiani mangiavano spesso fuori casa, cucinavano sempre meno, erano sempre più attenti ai cibi biologici e considerati salutari (più o meno a ragione), consumavano pochi prodotti industriali, e quando non avevano voglia di cucinare ricorrevano alle consegne a domicilio. Le restrizioni hanno completamente ribaltato queste abitudini, come mostrano i dati sui consumi dei prodotti alimentari delle ultime settimane.

Nel 2019, secondo il rapporto della Federazione Italiana Pubblici Esercizi (FIPE), i consumi alimentari delle famiglie fuori casa erano stati il 36 per cento del totale; nel 2018 erano pari a 84 miliardi di euro e nel 2019 le spese erano aumentate ancora dello 0,7 per cento. Dal 2008 al 2018 la quantità di pasti consumati fuori era cresciuta del 5,7 per cento, pari a 4,9 miliardi di euro in più; nello stesso periodo c’era stata una riduzione di 8,6 miliardi di euro nei consumi alimentari a casa.
Si mangiava fuori soprattutto a colazione e a pranzo (circa il 10 per cento degli intervistati lo faceva ogni giorno). Secondo il rapporto FIPE del 2018, il 32,7 per cento degli intervistati cucinava a pranzo tutti i giorni e il 53 per cento cucinava a cena tutti i giorni; in media all’operazione erano dedicati 37 minuti. Sempre nel 2018 il settore del food delivery aveva registrato un fatturato di 350 milioni di euro, il 69 per cento in più rispetto al 2017.

Queste tendenze andavano avanti da anni e già nel 2016 un rapporto Nielsen parlava del poco tempo passato a cucinare e dei cibi ordinati o comprati pronti al supermercato. L’acquisto di prodotti base, come burro, latte, farina e uova, era calato del 5,3 per cento; i pomodori pelati, che fino agli anni Ottanta rappresentavano il 50 per cento degli acquisti di prodotti lavorati, erano scesi al 10 per cento, soppiantati dai sughi pronti. Erano invece cresciute le vendite di spuntini e tramezzini (+27,9 per cento, nei primi mesi del 2016) e delle zuppe pronte (+45,2 per cento nello stesso periodo).

L’arrivo del coronavirus ha fatto chiudere bar, pub, ristoranti – che devono limitarsi solo alle consegne a domicilio – ma anche mense aziendali e scolastiche, visto che tutte le scuole sono chiuse e che soltanto circa due terzi degli occupati italiani continuano a lavorare (una percentuale che comprende anche quelli che lo fanno da casa). Cucinare a casa e fare la spesa è diventato imprescindibile: secondo l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA), dal 16 febbraio al 15 marzo nella grande distribuzione organizzata (GDO, cioè i grandi negozi al dettaglio, dai 200 metri quadri in su) sono stati spesi circa 750 milioni di euro in più rispetto allo stesso periodo del 2019. Intanto, segnala il FIPE, il 15 per cento dei ristoratori si è organizzato per fare consegne a domicilio.
Nelle prime tre delle cinque settimane di restrizioni, i prodotti più acquistati sono stati quelli di prima necessità e non deperibili, come burro, zucchero, pasta, riso, farina e pelati. Nelle ultime due settimane l’acquisto di questi prodotti si è assestato o ridotto e sono cresciute soprattutto le vendite di farina e lievito – che in molti supermercati è ancora introvabile – per preparare pane e altri prodotti da forno, pizza e dolci; per lo stesso motivo è aumentata anche la vendita di uova.

Secondo dati Nielsen sulla GDO, nella settimana che va dal 9 al 15 marzo, cioè quella in cui sono entrate in vigore le misure restrittive in tutta Italia, la vendita in tutti i canali (quindi ipermercati, supermercati, discount e negozi più piccoli) è aumentata del 16,4 per cento rispetto alla stessa settimana del 2019 (il dato maggiore è al Sud, con un aumento del 28,4 per cento). Sono state acquistate soprattutto provviste di latte UHT a lunga conservazione (+62 per cento), pasta (+65 per cento), farina (+185 per cento), uova di gallina (+59,6 per cento), surgelati (+48 per cento), caffè macinato (+26 per cento), burro, (+71,9 per cento), riso (+71,2 per cento) e conserve rosse (+82,2 per cento).
È aumentata la vendita di mozzarelle (+43,4 per cento), patatine (+31,3 per cento) e affettati (+32,4 per cento) che, secondo Nielsen, potrebbero indicare la preparazione di aperitivi in casa, e di altri tipi di “comfort food” come le creme spalmabili dolci (+57,7 per cento), la pizza surgelata (+54,3 per cento), tavolette e barrette di cioccolato (+21,9 per cento).

Nella settimana successiva, quella dal 16 al 22 marzo, le vendite nella GDO sono continuate a crescere, del 5,4 per cento rispetto allo stessa settimana nel 2019, ma con rallentamenti. I prodotti da dispensa sono ancora molto richiesti, così come i surgelati e i comfort food: oltre alla pizza surgelata e agli affettati, alle patatine e alle creme spalmabili, anche mozzarelle (+44,6 per cento), wurstel (+44,2 per cento), gelati (+21,5 per cento) e camomilla (+76,3 per cento).
I supermercati COOP condividono dati sulle vendite simili. Dal 24 febbraio al 23 marzo hanno visto un aumento dell’11,3 per cento delle vendite, con un rallentamento nelle ultime due settimane. In questo periodo la pasta, per esempio, ha venduto solo il 14 per cento in più rispetto alle analoghe settimane del 2019, e l’olio è calato dell’8 per cento dopo un aumento del 35 per cento.

Sono cresciuti ancora di più, come dicevamo, i prodotti per fare pane, pasta e pizza: la farina e il lievito di birra sono aumentati rispettivamente del 205 per cento e del 203 per cento, la mozzarella del 125 per cento, mentre le conserve sono stabili. È cresciuta la vendita di uova, mentre quella di zucchero resta costante.
Lo stesso è accaduto nei supermercati Carrefour, dove il consumo della farina è salito del 400 per cento. «In un primo momento abbiamo registrato un incremento per ogni tipo di farina», ci ha detto l’azienda, «mentre ora le richieste iniziano ad essere più ricercate […]. Ci stiamo rivolgendo a piccoli fornitori, specializzati, che prima seguivano più i ristoranti. Ma con loro ci sono tempi più lunghi e non è facile tenere i banchi pieni. La farina comunque non manca, manca la capacità di imballarla e approvvigionare gli scaffali perché l’acquisto è compulsivo». Da Carrefour anche i lieviti registrano un incremento simile.

Secondo i dati di Coop, nelle ultime 5 settimane la vendita di carne è aumentata in media del 20 per cento, l’ortofrutta del 16 mentre il pesce è diminuito dell’8 per cento, forse perché più difficile da conservare. ISMEA mostra che nella prima fase della crisi c’era stato un acquisto importante di ortaggi e pizze pronte, che si era successivamente affievolito. Findus ha notato un aumento «sensibile» nelle vendite dei prodotti surgelati, sia di quelli rivolti ai bambini, come Sofficini e Bastoncini, sia di piselli, filetti di pesce, minestrone e della linea “4 Salti in padella”.

A metà marzo c’era stato anche un aumento dell’acquisto di vino rispetto allo stesso periodo del 2019, ma la crescita più interessante è avvenuta su siti specializzati online, tra cui Tannico, probabilmente il più importante e fornito. Nelle ultime tre settimane di marzo gli acquisti sono aumentati del 100 per cento, accompagnati dall’incremento del 10 per cento della frequenza di acquisto e del 5 per cento del numero di bottiglie per ordine. Gli ordini arrivavano soprattutto dalle regioni più coinvolte dalle restrizioni: Lombardia (+100 per cento), Piemonte (+90 per cento), Emilia (+85 per cento) e Veneto (+82 per cento).

La crescita delle vendite online riguarda comunque tutto il settore. Quasi la metà degli acquisti alimentari è avvenuta nei supermercati e poi nei discount, parecchi si sono rivolti a negozi ortofrutticoli e macellerie, per spostarsi il meno possibile e perché sono considerati più sicuri visto il minor passaggio di persone. Molti però hanno cercato di comprare online, finendo per intasare la capacità dei supermercati di gestire le consegne: secondo ISMEA nell’ultima settimana di febbraio gli acquisti online sono aumentati dell’81 per cento, nella seconda settimana di marzo del 97 per cento.

In Italia il mercato dell’online alimentare vale il 2 per cento del totale, mentre nei paesi europei, dov’è più sviluppato, si aggira tra il 4 e l’8 per cento. Da Esselunga copre solitamente il 4 per cento, ma nella prima settimana di marzo ha raggiunto il 20 per cento del totale: tanto che i turni delle consegne si sono esauriti in poco tempo ed era possibile prenotarne uno solo monitorando costantemente lo sbloccarsi di nuova disponibilità sul sito. È possibile che molti continueranno ad approfittare degli acquisti online anche nei prossimi mesi, e stanno già nascendo alcune società per rispondere a questa esigenza. Tra queste c’è Macai, un supermercato interamente digitale che consegna a Milano e Torino.

Non riuscendo ad acquistare sui siti dei supermercati, alcune persone hanno fatto ricorso alle società di food delivery che consegnano anche beni di prima necessità, come Glovo e Uber Eats. Uber Eats ha rafforzato il servizio di spesa a domicilio e dall’8 marzo all’8 aprile il valore degli acquisti di prodotti di prima necessità è aumentato di 55 volte rispetto alla norma; il numero di market, minimarket e negozi di generi alimentari presenti sulla piattaforma in Italia è triplicato. I prodotti più richiesti sono stati pane, verdure, yogurt e formaggi, latte, frutta, carne, pasta e uova.
Anche negozi di ortofrutta e associazioni che distribuiscono cibo biologico o a chilometro zero si sono attrezzati per consegnare a casa. Cortilia, una delle più note, ha potenziato la sua rete, altri piccoli produttori si sono organizzati in modalità più artigianali e hanno attivato la spesa a domicilio anche i mercati e gli agriturismi di Campagna Amica di Coldiretti.

Lo stesso stanno provando a fare alcune aziende agricole che non vendono alla GDO ma ai mercati all’aperto – che sono stati chiusi – e che si trovano in grande difficoltà; le consegne a domicilio però riescono a tappare solo qualche buco. Intanto sono aumentate anche le vendite del biologico: secondo Nomisma su dati Nielsen, da gennaio al 16 febbraio, prima dell’inizio dell’emergenza legata alla pandemia, erano cresciute del 4,1 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, dal 17 febbraio al 22 marzo sono aumentate del 20,1, per cento.

Per finire, il 15 per cento delle imprese della ristorazione tradizionale si è attrezzata per il food delivery e il 40 per cento ha notato una crescita della domanda. L’85 per cento di quelle che non facevano consegne a domicilio continueranno però a non farle, perché non hanno i mezzi o non le ritengono economicamente sostenibili. Tra chi non aveva mai ordinato cibo a casa prima della pandemia, ha iniziato a farlo il 10 per cento; c’è anche chi lo faceva abitualmente e lo ha ridotto, preferendo cucinare a casa, per paura del contagio o per risparmiare. Finora il piatto più ordinato è stato la pizza con il 68 per cento del totale, seguita da piatti italiani e da hamburger e patatine.

La situazione italiana ricorda in parte quella negli Stati Uniti, un altro paese dove prima del coronavirus si mangiava molto fuori casa e le vendite di cibi sani crescevano anno dopo anno. Anche là è cresciuto l’acquisto di cibo industriale e molto lavorato: ad aprile, la vendita di zuppe Campbell era aumentata del 59 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quella dei sughi pronti per la pasta Prego del 52 per cento e dei cracker al formaggio a forma di pesciolini di Pepperidge del 23 per cento, scrive il New York Times.

L’analista di Credit Suisse Robert Moskow ha ricordato che «negli ultimi 30 anni abbiamo avuto 3 recessioni e ogni volta i consumatori sono tornati a consumare cibo a casa per risparmiare. Mi aspetto che questa tendenza aumenti non solo per i prossimi 2 mesi ma per i prossimi 12 mesi». Il successo di merendine, caramelle, cibi molto lavorati, snack e patatine non è dovuto solo alla pigrizia e alla voglia di mangiare qualcosa di soddisfacente ma è anche la ricerca emotiva di ritrovare il cibo della propria infanzia.

Ora grosse aziende alimentari come Kraft Heinz o General Mills, in difficoltà da anni, hanno finalmente l’occasione di riprendere piede e convincere i clienti che i loro prodotti sono molto migliorati, per qualità e sapore. Kraft Heinz ha detto che alcune sue fabbriche stanno lavorando a pieno regime per soddisfare la richiesta dei suoi famosi macaroni and cheese (un barattolo di pasta e formaggio da riscaldare in padella), uno dei più classici piatti americani.

(articolo pubblicato su Il Post del 19/04/2020)
 
 
 
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