La pratica commerciale in cui viene proposto simultaneamente a un consumatore un finanziamento personale e un prodotto assicurativo non collegato al prestito non costituisce né una pratica commerciale in ogni caso aggressiva né una pratica commerciale considerata in ogni caso sleale, ai sensi del diritto Ue
Tra il gennaio 2015 e il luglio 2018 la Compass Banca ha offerto in vendita ai propri clienti, in aggiunta a varie tipologie di finanziamenti personali, polizze assicurative che fornivano una copertura per determinati eventi personali scollegati dal finanziamento. La sottoscrizione di una polizza assicurativa non era una precondizione per la concessione del finanziamento, ma veniva offerta in abbinamento con detto prodotto. Inoltre, i contratti per i due prodotti venivano sottoscritti contemporaneamente. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha constatato che la Compass Banca aveva adottato una pratica commerciale «aggressiva», e quindi «sleale». Le ha quindi irrogato una sanzione pecuniaria. L’AGCM sostiene che la Compass Banca avrebbe condizionato e limitato considerevolmente la libertà di scelta dei clienti, in particolare omettendo di fornire informazioni ai propri clienti in merito al carattere opzionale della polizza assicurativa. Secondo l’AGCM, la pratica attuata dalla Compass Banca non sarebbe stata «aggressiva» se la data di sottoscrizione dei due contratti fosse stata separata da periodo di riflessione di sette giorni.
Il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte alcune questioni pregiudiziali relative all’interpretazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori.
In primo luogo, il giudice di rinvio, si chiede, anzitutto, se la nozione di «consumatore medio», attribuisca sufficiente importanza alla teoria della «razionalità limitata», secondo la quale i consumatori spesso sarebbero soggetti a distorsioni, dette di «incorniciamento» (framing). In particolare, i consumatori potrebbero modificare le loro preferenze secondo le modalità di presentazione delle offerte contrattuali che vengono loro fatte. La Corte, nella sua sentenza, precisa che la nozione di «consumatore medio», ai sensi di tale direttiva, deve essere definita con riferimento a un consumatore normalmente informato nonché ragionevolmente attento ed avveduto. Questa definizione non è statica, e non esclude che la capacità decisionale di un individuo possa essere falsata da limitazioni, quali distorsioni cognitive. Spetta agli organi giurisdizionali determinare la reazione tipica del consumatore medio in una determinata situazione.
In secondo luogo, il giudice di rinvio si chiede se una pratica come quella della Compass Banca debba essere considerata una pratica commerciale «aggressiva» e, quindi, «sleale», quando le offerte commerciali fatte ai consumatori per un contratto di finanziamento e un prodotto assicurativo siano presentate con la distorsione dell’«incorniciamento» (framing), in modo da far credere loro che la concessione di un finanziamento personale sia subordinata alla sottoscrizione di un’assicurazione.
La corte ritiene che la pratica commerciale consistente nel proporre simultaneamente al consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale prestito non costituisce né una pratica commerciale in ogni caso aggressiva né una pratica commerciale considerata in ogni caso sleale, ai sensi di tale direttiva. Questo perché la direttiva prevede un allegato in cui vengono elencate tutte le pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali, che può essere modificato solo mediante revisione della direttiva, e la circostanza in esame non rientra in questo elenco.
Tuttavia, l’articolo 8 della direttiva riconosce come aggressiva la pratica commerciale che, mediante indebito condizionamento, limiti la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Per «indebito condizionamento», si intende lo sfruttamento di una posizione di potere nei confronti del consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole. Non è necessariamente un condizionamento illecito, bensì un condizionamento che, fatta salva la sua liceità, comporta in modo attivo, attraverso una certa pressione, il condizionamento forzato della volontà del consumatore. Nel caso in esame una prassi consistente nel presentare simultaneamente ad un consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento, senza che gli venga lasciato un periodo di riflessione tra la sottoscrizione dei contratti relativi a tali offerte, non implica, di per sé, l’esistenza di atti di pressione, quand’anche tale prassi possa generare una distorsione di incorniciamento. Di conseguenza, una siffatta prassi non può caratterizzare, da sola, un «indebito condizionamento».
Per quanto concerne la possibilità per un’autorità nazionale di poter imporre al professionista di concedere al consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date della firma del contratto di assicurazione e del contratto di finanziamento, una volta accertato il carattere «aggressivo» o, «sleale», di una pratica commerciale, la Corte considera che, conformemente al principio di proporzionalità, un’autorità nazionale può ricorrere a una siffatta misura solo se è dimostrato che non esistono altri mezzi altrettanto efficaci per porre fine a tale pratica che siano meno lesivi della libera prestazione di servizi e della libertà d’impresa del professionista interessato.
CHI PAGA ADUC
l’associazione non percepisce ed è contraria ai finanziamenti pubblici (anche il 5 per mille)
La sua forza economica sono iscrizioni e contributi donati da chi la ritiene utile
DONA ORA