Booking.com, una società di diritto olandese con sede ad Amsterdam (Paesi Bassi), offre un servizio mondiale di intermediazione online per prenotazioni alberghiere. Le strutture alberghiere pagano una commissione a Booking.com per ogni prenotazione effettuata dai viaggiatori tramite la piattaforma. Benché tali strutture possano avvalersi di canali di vendita alternativi, è loro vietato offrire pernottamenti a prezzi inferiori a quelli offerti sul sito di Booking.com. Inizialmente tale divieto si applicava tanto all’offerta sui canali di vendita propri degli albergatori, quanto all’offerta su canali di vendita gestiti da terzi (clausola c.d. di «parità ampia»). Dal 2015, una versione ristretta di tale clausola vieta unicamente di offrire pernottamenti a prezzo inferiore mediante i propri canali di vendita.
I giudici tedeschi, senza interpellare la Corte, hanno statuito che le clausole di parità (ristretta o ampia) della tariffa utilizzate dalle piattaforme di prenotazione alberghiera erano in contrasto con il diritto della concorrenza, in particolare, dell’Unione. L’autorità federale tedesca garante della concorrenza era già giunta alla stessa conclusione.
Il Tribunale di Amsterdam, adito da Booking.com con una domanda diretta a far dichiarare, in particolare, la validità delle clausole di cui si avvale tale società, ha deciso di sottoporre alla Corte di giustizia talune questioni pregiudiziali riguardanti la compatibilità delle clausole di parità, sia ampia che ristretta, della tariffa, rispetto al diritto dell’Unione in materia di concorrenza.
Nella sua sentenza, la Corte sottolinea che la fornitura di servizi di prenotazione alberghiera online da parte di piattaforme come Booking.com ha prodotto un effetto neutro se non addirittura positivo, sulla concorrenza. Tali servizi consentono, da un lato, ai consumatori, di accedere ad un’ampia gamma di offerte di alloggio e di confrontare tali offerte in modo semplice e rapido secondo diversi criteri e, dall’altro, ai prestatori di servizi alberghieri, di acquisire una maggiore visibilità.
Non è invece dimostrato che le clausole di parità, sia ampia che ristretta, della tariffa, da una parte, siano oggettivamente necessarie per la realizzazione di tale operazione principale e, dall’altra, siano proporzionate rispetto all’obiettivo perseguito da quest’ultima.
A questo proposito, per quanto riguarda le clausole di parità ampia, si deve constatare che esse, oltre ad essere tali da ridurre la concorrenza tra le varie piattaforme di prenotazione alberghiera, comportano rischi di espulsione delle piccole piattaforme e delle nuove piattaforme dal mercato.
Lo stesso vale per le clausole di parità ristretta. Per quanto esse generino, prima facie, un effetto restrittivo della concorrenza inferiore e mirino a scongiurare il rischio di parassitismo, non risulta che siano oggettivamente necessarie per garantire la redditività della piattaforma di prenotazione alberghiera.
Sentenza della Corte nella causa C-264/23
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