La storia di un qualsiasi
turista che arriva a Pyongyang non è una storia qualsiasi, a partire dalle letture serali: una Bibbia lasciata distrattamente sul comò della stanza d'albergo può trasformarsi in un biglietto di sola andata per un campo di lavoro. In Corea del Nord c'è l'ateismo di Stato (come nell'Albania stalinista di Enver Hoxha): e lo fanno rispettare con metodi persuasivi.
Il turista, reduce da una giornata di visita al complesso di tombe Goguryeo, deve stare attento a crollare sul letto: magari non si accorge che la foto del leader Kim Jong-un, che campeggia su ogni parete, si trova proprio lì accanto: stampata su una rivista. Appoggia il gomito per sbaglio sul ritratto e, in un attimo (occhio alle telecamere), si ritrova circondato da agenti della sicurezza che lo trascinano via. Sedersi per sbaglio su una foto del leader supremo? Sacrilegio. Non importa se per errore, in Corea del Nord non si può toccare materiale di propaganda, l'intento non conta (si chiama legalità socialista e non necessita del principio di colpevolezza).
E poi c'è la questione delle fotografie. Un turista non può semplicemente farle al paesaggio e sperare di portarsi a casa un ricordo. Se per caso negli scatti compare un ritratto di Kim Jong-un o di suo padre Kim Jong-il, non deve mai tagliare un pezzo di corpo: il leader non può essere mutilato, neanche in una foto, solo immagini complete. Nessuna libertà di movimento: il viaggiatore non può deviare dal percorso del tour, deve comprare solo da negozi specifici e guai a salire sui mezzi pubblici. Attenzione alle guide turistiche: parlano lingue straniere, ma spesso hanno il compito di fare la spia per il regime e sono sempre due: si controllano a vicenda in un reciproco gioco di delazioni.
Ce ne son di leggi bizzarre nel Paese più chiuso del mondo: jeans vietati perché troppo occidentali, tagli di capelli rigorosamente approvati dal governo: auto che, in un Paese comunista, possono appartenere solo agli ufficiali; e ufficiali che possono essere mandati al patibolo per uno sbadiglio di troppo. Ma non finisce qui: nelle case dei cittadini nordcoreani campeggiano i ritratti dei leader, appesi alle pareti come santi protettori. Gli ispettori governativi fanno regolarmente visita alle abitazioni per assicurarsi che siano ben visibili e tenuti in alto: se trovano un grammo di polvere, si rischia il plotone di esecuzione.
Ma l'apoteosi è arrivata nel 2021 con le commemorazioni dedicate all'anniversario della morte del caro leader Kim Jong-il. Per undici giorni, il popolo nordcoreano è stato costretto a piangere. Un sorriso di troppo e qualcuno ha dovuto spiegare alle autorità perché non avesse rispettato il dolore del popolo: in quei giorni Kim vietò anche shopping e alcol. Tra le poche libertà concesse c'è quella di fumare marijuana. Ma con un appunto: se qualcuno si azzarda a rollare usando come cartina una pagina con l’immagine del leader, la sua trasgressione potrebbe costargli carcere, campo di lavoro o morte (inferta in qualsiasi modo fantasioso, c'è chi è stato sbranato e chi bombardato: tutto a discrezione di Kim e famiglia).
I tribunali ci sono, ma non c'è il principio di legalità, caposaldo del diritto penale moderno: qualsiasi comportamento, anche se non esplicitamente vietato, può diventare reato se offende in concreto il culto della personalità. Le pene non sono proporzionali ai fatti commessi, e il principio di responsabilità individuale non esiste: molte famiglie sono state chiuse nei campi di lavoro per un 'crimine' commesso da qualche parente. Alcuni vengono discriminati ancora in società perché gli avi si opposero alla dittatura comunista. Non c'è diritto di libera manifestazione o diritto di sciopero: la verità è solo quella di Stato.
(Andrea Persili su Adnkronos el 26/08/2024)
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