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I compromessi sono utili agli avversari (la Turchia ha brutte esperienze con le coalizioni)
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Stati uniti d'europa di Redazione
15 dicembre 2017 19:35
 
 Nella politica turca il termine “coalizione” è sinonimo di “caos”. Si ritiene che il paese, con le coalizioni, abbia molto sofferto. Ma con questo va detto che su 65 governi solo 16 si sono presentati come coalizioni.
Negli anni Settanta si ebbero coalizioni difficili, centro-destra con centro-sinistRa, i rappresentanti dei due principali filoni politici del Paese, non riuscirono a trovare l’accordo, il Parlamento non poté scegliere per sei mesi il presidente della Repubblica.
Alla fine, nel 1980, i militari presero il potere. Alzarono al 10 percento la soglia di sbarramento alle elezioni per rendere possibili governi forti e indebolire i partiti estremisti. Inoltre si emanò un bando contro la guardia dei vecchi politici. Così, Turgut Özal fu l’unico ad arrivare al governo e divenne presidente del Consiglio dei ministri.
Nel 1987, dopo l’abolizione della messa al bando [di cui sopra] l’epoca delle coalizioni tornò in vita. Nel 1991 centro-destra e centro-sinistra arrivarono a una Grande Coalizione che comunque non durò a lungo. Qui furono messe le prime pietre che hanno pavimentato la via di Erdogan verso il potere.
Nel 1994, a Istanbul, centro-destra e centro-sinistra andarono alle elezioni regionali con due partiti ciascuno. Il “Partito del benessere” entrato per la prima volta in Parlamento col 17 percento dei voti presentava Erdogan quale candidato sindaco. Il risultato fu il 37,5 percento per i due candidati del centro-destra e 32,6 percento per i due candidati del centro sinistra.
Ma quando, successivamente, non si realizzò l’accordo in nessuno dei due raggruppamenti, Erdogan passò loro avanti col 25 percento delle preferenze. Da quel momento tenne Istanbul saldamente nelle proprie mani fino al recentissimo referendum.
Da ultimo, alla fine degli anni Novanta, la Turchia è stata retta da una coalizione che é stata spazzata via dalla crisi del 2001. Il sistema creato dai militari con lo slogan “Regni la stabilità, nessun partito di sinistra e islamista in parlamento”, alla fin dei conti ha giovato agli islamisti ed ha portato Erdogan al potere nel 2002.
Nei suoi quindici anni di governo Erdogan è inciampato solo una volta: nel 2015 ha perso cinque milioni di voti (il 10 percento) e ha ottenuto solo il 40 percento.
In tal modo non poté formare un governo. Per la prima volta fu presa in considerazione una “Grande coalizione” coi socialdemocratici. I capi dei due grandi partiti fecero trattative, ma il presidente della repubblica Erdogan aveva altro in mente: credeva che il processo di pace avviato coi Curdi gli fosse costato la vittoria elettorale. Prese come pretesto un attacco del PKK per far saltare le trattative di pace, interruppe la ricerca di una soluzione politica e tornò all’opzione militare. “Ci troviamo in guerra, c’è bisogno di un governo forte”, fu il suo messaggio, e “Dateci 400 deputati, risolviamo la cosa in modo pacifico”.
Le trattative per la coalizione fallirono e cinque mesi dopo ci furono nuove elezioni. Erdogan riebbe i cinque milioni di voti e fu di nuovo al 50 percento.
La Turchia diventa di giorno in giorno più autoritaria per diversi motivi, ma anche questi fattori stabilizzano l’autocrazia e il potere dell’uomo solo: la soglia del dieci percento, che impedisce il pluralismo, ma rende più grandi i partiti forti; la mancanza di una tradizione di intese; la paura del caos a causa delle coalizioni; e la convinzione che un unico partito al governo possa assicurare la stabilità.

(articolo di Can Dündar, pubblicato su “Die Zeit” 49/2017 del 29 novembre 2017)
 
 
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