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Conferenza sul futuro dell'Europa. Com'è andata la prima plenaria
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Stati uniti d'europa di Redazione
21 giugno 2021 8:46
 
Il dibattito è aperto, anche se per il momento mancano i protagonisti più importanti. La sede del Parlamento europeo di Strasburgo ha visto sabato 19 giugno la prima riunione della Conferenza sul Futuro dell’Europa, formula innovativa allestita per coinvolgere i cittadini europei nella democrazia comunitaria. Una sessione plenaria incompleta, con buona parte dei politici collegati online e soprattutto senza le persone comuni, ancora da selezionare tra gli abitanti dei 27 Paesi membri.

«Questa è un’esperienza unica: per la prima volta Consiglio, Commissione e Parlamento europeo, insieme ai Parlamenti nazionali, discuteranno di una nuova visione dell’Europa», ha detto nel suo discorso inaugurale Guy Verhofstadt, uno dei tre presidenti del board della Conferenza e principale promotore dell’evento. Non sarà un semplice esercizio di ascolto, ma una discussione operativa, assicura Il deputato belga, che definisce l’intero processo come una «staffetta»: i cittadini elaborano le proprie proposte e poi le discutono con gli esponenti istituzionali, a cui, una volta terminata la Conferenza, tocca il compito di concretizzarle. Il tutto in meno di un anno: dopo quella d’esordio sono previste altre cinque sessioni plenarie, l’ultima tra febbraio e marzo 2022. «Lanciando questo evento, le istituzioni hanno accettato il fatto che cambiamenti e riforme sono necessari. Ora resta una sola domanda, ed è una grande domanda: Come?».

Se il formato della discussione è nuovo, infatti, le modalità decisionali resteranno inalterate. Non ci sono possibilità di aggirare le attuali procedure comunitarie per soddisfare le istanze promosse dai cittadini, ha ammesso lo stesso Verhofstadt rispondendo a una domanda di Linkiesta. Concetto ribadito nel discorso d’apertura: «L’approvazione e l’attuazione (di ogni riforma) avverranno attraverso le nostre istituzioni democratiche, come previsto nei Trattati». 
Ciò significa che più le richieste saranno inerenti a cambi strutturali nell’architettura comunitaria, più saranno difficili da esaudire. Un’eventuale modifica dei Trattati deve passare dall’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea, che prevede il consenso di tutti i 27 Stati membri. Anche per superare l’unanimità, obiettivo molto caro, tra gli altri, al presidente del Parlamento David Sassoli, sarà necessaria l’unanimità: i governi nazionali avranno comunque l’ultima parola sulla questione.

«La speranza è che davanti a un messaggio politico forte non si possa fare finta di niente», spiega a Linkiesta il capo-delegazione del Partito democratico al Parlamento europeo, Brando Benifei. Il deputato è convinto che la Conferenza sia l’occasione giusta per riformare l’Ue, allargandone le competenze. Una volta partito il processo, sostiene, sarà complicato per gli Stati membri governarlo a proprio piacimento e mantenere così inalterato lo status quo. 

In questo senso, una sponda per il rinnovamento dell’Unione andrà cercata in alcune capitali innovatrici e nei parlamentari nazionali, magari disallineati rispetto al governo del proprio Paese, perché all’opposizione o perché portatori di una visione differente. Le maggiori resistenze saranno invece espresse da quei Paesi che vogliono, per diversi motivi, mantenere limitate le competenze dell’Ue, come Polonia e Ungheria o gli Stati scandinavi.

Potrebbero remare contro pure i gruppi politici nazionalisti, se dai cittadini europei dovessero arrivare richieste nella direzione di un’integrazione più ampia e profonda. «Non possiamo concludere la Conferenza solo con un manifesto d’intenti generico. Serve un vero progetto costituente per cambiare l’Europa», afferma Benifei, in relazione alle conclusioni, che vedranno la luce la prossima primavera e saranno elaborate dal board insieme alla plenaria, dopo gli altri cinque incontri collettivi e decine di riunioni nei gruppi di lavoro. 
Le proposte da discutere arriveranno da uno spazio di discussione digitale, la piattaforma sul futuro dell’Europa, dove ogni cittadino può già inserire il proprio contributo e organizzare un dibattito. Intanto, si è partiti con il piede giusto, secondo il deputato dem: «Dalla prima plenaria ci si potevano aspettare parole formali, invece è già emerso un dibattito intenso».

La mancanza dei cittadini europei
Come hanno rimarcato molti degli interventi della prima giornata, la spinta propulsiva dei cittadini europei sarà ingrediente fondamentale per la buona riuscita del processo. La Conferenza sul Futuro dell’Europa ha infatti una composizione mista, che punta a bilanciare partecipazione popolare e rappresentanza istituzionale. 

Su 433 membri ci sono 108 eurodeputati e 108 parlamentari nazionali, di cui quattro italiani. La Commissione europea invia tre componenti e ogni Stato due, che per l’Italia sono il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e il sottosegretario agli Affari europei, Vincenzo Amendola. 18 partecipanti a testa sono assegnati al Comitato delle Regioni e al Comitato economico e sociale europeo, mentre altri 16 sono espressi da parti sociali (8) e associazioni della società civile (8). 

Poi ci sono i cittadini comuni: 27, uno per Paese, sono stati designati dai rispettivi governi, più la finlandese Silja Markkula, presidente del Forum della Gioventù Europea. All’appello nella prima sessione plenaria mancavano 80 persone: proverranno da quattro eventi previsti dopo l’estate a Firenze, Dublino, Maastricht e Natolin, in Polonia. I partecipanti a questi eventi, chiamati «European Citizens’s Panels», vengono scelti a sorte dall’agenzia Kantar, la stessa che conduce i sondaggi di Eurobarometro. 
La selezione è casuale, con il rispetto di alcuni parametri: una quota fissa di partecipanti per ogni Paese proporzionale alla popolazione, l’equilibrio di genere e l’apertura a tutte le classi d’età, le etnie e le religioni. Ogni panel elegge poi i propri 20 delegati, con la condizione che un terzo degli 80 rappresentanti complessivi dei cittadini europei abbia meno di 25 anni. 

Tirate le somme, la bilancia pende troppo a favore della politica e di ciò che gli ruota intorno, secondo due delle rappresentanti della società civile incluse nel progetto. «Abbiamo aspettative molto alte, ma la prima impressione è che non ci sia molta diversità tra i partecipanti. In questa plenaria le persone comuni arrivavano comunque da ambienti europei, sarà necessario invece coinvolgerle dai territori più sperduti dei vari Paesi», dice a Linkiesta Alexandrina Najmowicz, co-presidente della Civil Society Convention, che rappresenta 80 associazioni nel continente. 

Per la delegata della società civile non aiutano nemmeno le decisioni prese dai governi nazionali sui 27 rappresentanti dei cittadini di propria nomina. Alcune di queste figure sarebbero troppo contigue al mondo della politica, come l’ungherese Kinga Joó, ora vice-presidente dell’associazione nazionale delle famiglie numerose e membro del Comitato economico e sociale europeo. È sorprendente la scelta del governo italiano, che in un panorama fatto di volti giovani e poco noti al grande pubblico, ha inserito la professoressa Paola Severino, vicepresidente dell’università Luiss Guido Carli e ministro della Giustizia del governo Monti.
Anche Elisa Gambardella, presidente di Arci Bruxelles e membro di Civil Society Convention, esprime qualche perplessità sulla Conferenza: «Mi aspettavo una maggiore rappresentanza del mondo associativo, che ha un contingente piuttosto ridotto». La sua valutazione complessiva sull’evento rimane positiva, ma è troppo presto per giudicare e le sessioni plenarie sono solo la punta dell’iceberg.

L’aspetto cruciale, spiega, sarà la gestione dei nove gruppi di lavoro, che sono composti dai partecipanti alla Conferenza e si occuperanno ognuno di un macrotema: cambiamento climatico, salute, economia, geopolitica, valori e diritti, transizione digitale, democrazia europea, migrazione, istruzione&cultura. «È importante capire chi li presiederà e come funzioneranno concretamente, perché da qui usciranno gli indirizzi per le riforme».

Soprattutto, la difficoltà più grande sarà uscire dalla «bolla di Bruxelles», considerato anche che la piattaforma è stata utilizzata in queste settimane perlopiù da addetti ai lavori o conoscitori del mondo comunitario, mentre altrove la partecipazione rimane bassa. Da questa sfida di inclusione passa il futuro: sicuramente quello della Conferenza, probabilmente dell’Europa.

(Vincenzo Genoverse su Linkiesta/Europea del 21/06/2021)
 
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