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Appunti per rilanciare il turismo del futuro
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Articolo di Redazione
31 agosto 2020 8:25
 
Mai più come prima! Questo è il grido di chi teme che il post-covid possa riportare nel turismo la stessa, identica situazione del pre-covid, l’over-tourism. Certo, è paradossale che questo dibattito emerga mentre le città imputate di over-tourism sono deserte di turisti. Non è però tempo sprecato, perché la situazione precedente non era soddisfacente per vari motivi e vorremmo rivedere nel post-covid qualcosa di meglio.

Siamo in questo momento dominati da una strana mistura di emozioni senza filtro, di palingenesi fondate sul mito della purezza, di “soluzioni” senza analisi alle spalle o senza quel minimo di conoscenza che sarebbe da aspettarsi. Allora, dapprima vediamo di capire il fenomeno dell’over-tourism (che sostanzialmente e sistematicamente riguarda le tre maggiori città d’arte italiane e poche altre occasionalmente) e poi faremo un’ipotesi su come avere, con formule innovative, più turisti e residenti ancora felici.

Talvolta per capire i fenomeni bisogna cominciare dalle basi, e nel nostro caso dal dove dormire. Non si è turisti se non si dorme in un’altra città. Quest’assunzione dovrebbe essere pacifica. Allora com’è stato possibile che in dieci anni (o anche meno) si è passati dal problema di non avere abbastanza turisti a quello di averne troppi? Ci si chiede: dove dormono? visto che l’offerta alberghiera è rimasta uguale. Vediamo qualche numero. In Italia nel 2009 c’erano quasi 34mila alberghi (per quelli precisi, 33.967), a fine 2019 (purtroppo nel 2020 chissà quanti ne resteranno aperti…) gli alberghi erano 32mila (per i soliti precisi, 32.730). Perciò sono addirittura diminuiti. Però non è il numero degli alberghi l’indicatore più significativo, ma sono le camere. Vediamo allora le camere. Dieci anni fa c’erano in Italia 1 milione di camere (per i medesimi di prima, 1.088.080); alla fine del decennio sono cresciute di appena 4mila e 600. Dove dormono? Lasciamo perdere campeggi, alloggi extra-alberghieri e quant’altro, perché abbiamo già la soluzione.
Tutto l’eccesso (se vogliamo parlare di eccesso) di turismo sta negli affitti brevi. Prendiamo airbnb, ma dovremmo allargare il campo anche ad altri soggetti, nel 2008 c’erano in tutta Italia appena 52 appartamenti in offerta, nel 2009 solo 457, adesso sono 340mila! Se qualcuno vuole sapere dove nasce l’over-tourism, questi dati dovrebbero svelare il mistero.

Troppo generale? Allora vediamo le città “imputate”: a Roma (provincia) in dieci anni gli alberghi sono passati da 1.365 a 1.649, mentre su airbnb da zero sono arrivati a 29mila case; a Milano gli alberghi sono addirittura diminuiti (da 697 a 668), ma il listing di airbnb è arrivato oltre 17mila; a Firenze sono solo due alberghi in più, ma gli appartamenti arrivano a oltre 8mila; a Venezia c’è lo stesso numero di alberghi da dieci anni, ma ci sono 6mila appartamenti in più. Ancora dubbi su cosa è costruito l’over-tourism?
Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta della capacità produttiva e non del numero effettivo dei turisti. Allora vediamo anche questi: dieci anni fa il numero complessivo delle presenze turistiche (cioè il numero di notti spese negli alberghi) è stato di 246milioni, dopo dieci anni è cresciuto a 280milioni, vale a dire circa l’1 per cento all’anno, davvero troppo poco per poter parlare di over-tourism. È evidente che la crescita sta dall’altra parte e che non sia registrata dalle statistiche ufficiali. Abbiamo così capito qual è il fondamento dell’over-tourism.

Vediamo allora com’è possibile ricomporre il quadro, cioè avere più turisti in maniera ordinata. L’over-tourism non è la conseguenza del superamento di un’astratta soglia numerica, ma è la conseguenza dell’incapacità a governare i flussi. Si vorrebbe un turismo meno vorticoso, perciò con permanenze medie più lunghe; inoltre, c’è da rispondere a una nuova esigenza, messa in evidenza dall’epidemia, di uno smart working che, una volta “smaterializzato”, cioè scisso da una sede fissa, può essere una nuova fonte di soggiorno ibrido turistico (per la località) e lavorativo (per i contenuti), di cui molte destinazioni potrebbero giovarsi. In fondo, non piacerebbe a tutti trovarsi il luogo prediletto per lavorare?
È vero che questo fenomeno riguarda un segmento piccolo della domanda (i lavoratori che hanno un reddito alto e hanno solo bisogno di un computer e di una buona connessione a internet) ma avendo una diffusione globale, potrebbe riservare buoni numeri. Non è una grande frontiera che si apre, ma di una buona nicchia, sì. Come organizzare allora la crescita della permanenza media? Lavorando sulla struttura e sull’organizzazione dell’offerta. Gli alberghi hanno storia, radici, e una funzionalità che è sperimentata da secoli, perciò sono perfettamente adatti allo scopo: avere servizi e ottime localizzazioni per godere al meglio della città. Bisogna trovare il loro complemento, non la loro sostituzione. Gli appartamenti e le case sono il loro complemento, perché possono ospitare persone che pernottano per molti giorni, o per periodi ancora più lunghi.

Se le case avessero questa specializzazione, quella di ospitare proprio le persone che hanno in programma di soggiornare per un periodo abbastanza lungo di tempo, diventerebbero il perfetto complemento del soggiorno alberghiero. E per farlo non serve nessuna normativa complicata e non c’è nessuna montagna da scalare, ma basta applicare una piccola regola (per altro già applicata in qualche città estera) di impedire affitti inferiori alla settimana o almeno ai cinque giorni. In sostanza, avremmo due mercati, quello alberghiero, che non subirebbe così una concorrenza asimmetrica (di chi offre lo stesso tipo di servizio, ma senza gli obblighi di legge e le garanzie per il consumatore) e quello degli affitti brevi, che sarebbero davvero tali, in quanto presuppongano una permanenza non di un solo giorno. In questo modo avremmo città più ordinate, i dati statistici rispecchierebbero la realtà e, soprattutto, aiuterebbero a far crescere un nuovo tipo di turismo che vive la città come residente.
Il mondo post-covid, e il turismo non meno degli altri settori, ha bisogno di creatività per uscire bene da questa crisi paurosa.
Bisogna esercitare l’intelligenza per offrire qualcosa che sia ancorato a due principi fondamentali: la libertà di scelta (i turisti, gli ospiti, non sono sacchetti di biglie che si possono lanciare da ogni parte, ma sono soggetti consapevoli che hanno un’infinità di offerte tra cui scegliere e sceglieranno secondo la loro scala di preferenze, e non perché qualcuno glielo imporrà) e la “spinta gentile”, cioè la creazione di meccanismi sottili di incentivi e disincentivi che portino le scelte autonome a (magicamente) conformarsi alle attese delle destinazioni.

Le stesse destinazioni dovranno specializzarsi secondo il tipo di pubblico che vorranno, o meglio che vorrebbero attrarre. Non è più il tempo dello stesso prodotto che va bene per tutti. La differenziazione dei consumi è davanti ai nostri occhi da decenni, per non pensare che non si applichi anche al turismo. Ogni destinazione deve cercare la sua vocazione e quanto più piccola è, tanto più dovrà specializzarsi, e anche quelle grandi è meglio intenderle come grandi contenitori di nicchie, piuttosto che destinazioni one-size-fits-all. La differenziazione sta avvenendo nei fatti e fondamentalmente oggi si basa sul reddito e sulla distanza geografica, ma ci sono altre variabili che ancora devono “scendere in campo”, come l’età (il marketing generazionale); il livello educativo (il marketing identitario) e la psicologia (il marketing psicografico). Ogni destinazione pensi bene a quali tipologie si può meglio rivolgere, e a quali identità, anzi a quali tribù le caratteristiche della destinazione siano più adatte.
Inventino, le destinazioni, la loro singola proposta: unica, rara, che non sia solo determinata dalle caratteristiche geografiche, ma da quelle culturali, di stile di vita e di identità prevalenti degli ospiti. L’Italia è diversissima, ogni luogo ha il suo genio, ogni comunità il suo stile, il suo linguaggio. Questa nel futuro sarà la caratteristica più importante di ogni destinazione, quella che ne determinerà il carattere, cioè il mercato potenziale.

Allora davvero potremo rispondere al “mai più come prima”, con un “adesso non è più come prima”. Applichiamoci, con intelligenza, con il pensiero necessario, e anche con qualche norma piccola che, da sola, può determinare il corso delle cose più di mille e mille evocazioni a un futuro che si immagina sempre, ma non si costruisce mai.

(articolo di Antonio Preiti, pubblicato su Linkiesta del 31/08/2020)
 
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