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Se anche la giustizia è minore. Dal caso Firenze
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Articolo di Stefano Fabbri
25 gennaio 2025 14:26
 
 È vero: il crollo delle nascite e l’inverno demografico faranno pure sentire il loro effetto.
Ma non è un motivo sufficiente perché quel comparto delicatissimo della giustizia che si occupa di minorenni possa contare in Toscana su un numero di magistrati neanche pari alle dita di una mano: tre, come ha spiegato ieri il capo della Procura dei minori Roberta Pieri su queste pagine nell’intervista rilasciata a Antonella Mollica.
Può darsi che qualcuno lo giudichi il numero perfetto, ma è una cifra che fa rabbrividire rispetto agli altri dati indicati dalla magistrata riguardo sia all’aumento del numero dei reati, sia alle decine di fascicoli che ogni settimana arrivano sul suo tavolo.
In Toscana come altrove, il quadro ci fa capire come ci sia stata e continui ad esserci una sottostima del lavoro degli uffici giudiziari chiamati ad affrontare particolari criticità — vale per la giustizia minorile, ma anche per quella di sorveglianza — e quanto essi rischino sempre più di essere considerati come qualcosa di secondo piano.
La controprova?
Le toghe della Procura dei minori fiorentina sono la metà di quelle previste in pianta organica.
Vuol dire che chi ha disegnato l’assetto degli uffici giudica che sei persone possono bastare ad affrontare la mole crescente di incombenze, oggi gestita con il sistema delle applicazioni, a turno, di magistrati di altre Procure.
È la risposta di emergenza ormai assurta a sistema ma che difficilmente può assicurare la necessaria continuità. 
Il bello (si fa per dire) è che ciò emerga alla vigilia dell’inaugurazione dell’anno giudiziario e nella fase più calda di un dibattito pubblico sulla giustizia che, ahimè, è completamente assorbito dalla discussione sulla separazione delle carriere obiettivo del governo Meloni.
Pare che vi sia un destino «cadetto» di questi settori dell’amministrazione giudiziaria, ovvero un equivoco che si trasforma in retropensiero per cui gli uffici diretti da magistrati come la dottoressa Pieri si chiamino «dei minori» perché, in fondo, sono meno importanti dei maggiori, cioè della giustizia che riguarda i grandi, gli adulti.
Tutto mentre l’attenzione e la cura nei confronti dei cittadini più giovani dovrebbe essere portata al livello massimo a causa della tempesta perfetta determinata dall’incrocio di diverse emergenze, sulle cui origini sarebbe inutile e maldestro tentare di rubare il lavoro a sociologi e antropologi, ma che hanno dimensioni sotto gli occhi di tutti.
Vistosi buchi neri dei quali l’intero tessuto sociale, a cominciare dalla scuola, dovrebbe interessarsi in modo più profondo: la difficilissima gestione dei minori non accompagnati; la crescita di comportamenti violenti, armati e di gruppo tra i giovani e i giovanissimi; gli effetti di una pandemia che ci siamo lasciati alle spalle solo dal punto di vista epidemiologico, ma non quanto alla consapevolezza della perdita di anni importantissimi nella crescita.
Al momento la risposta a questi fenomeni è stata l’aumento delle pene e l’introduzione di nuovi reati. Scelte che, al di là della loro efficacia, sono destinate a mettere ulteriormente sotto stress le strutture giudiziarie, chiamate ad un’opera di supplenza dell’incapacità di creare e finanziare sistemi di accompagnamento che riducano il rischio.
Primo tra tutti quello della recidiva. Per i ragazzi resta dunque una giustizia figlia di un dio minore.
Minore come loro.
Non può permetterselo una città che, come ha ricordato Roberta Pieri, deve ancora fare i conti con il fantasma degli abusi nella comunità del Forteto.
E ancora di più non può permetterselo la Firenze degli Innocenti e che ha sempre vantato attenzione ai bambini e agli adolescenti.


(articolo pubblicato su Corriere fiorentino - Corriere della Sera del 25/01/2025)

 
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