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Il protezionismo commerciale del Comune di Firenze. Contro il futuro
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Comunicato di Vincenzo Donvito
30 dicembre 2020 12:52
 
 Rilanciare commercio e identità. Questo ha spinto Palazzo Vecchio a decidere, con applicazione graduale da oggi al 2023, che nei mercati del centro storico si potranno vendere solo prodotti fiorentini, toscani e italiani.
La pandemia ci dice che il Pianeta è uno solo, e agendo altrimenti si continua a farsi male. Sui vaccini, per esempio, tutto è connesso: è determinante che si vaccini un fiorentino come l’ultimo dei disgraziati del più disgraziato dei Paesi (disgraziati che lavorano anche grazie ai nostri prodotti e mercati e/o emigrano).
Sempre il Pianeta, nonostante gli accordi di Parigi di cinque anni fa per la riduzione dell’effetto serra, siamo in alto mare. Le conseguenze disastrose sono in tutti i rapporti locali, nazionali ed internazionali sui cambiamenti climatici più o meno reversibili: territori che cambiano (con l’aggiunta anche delle guerre), più migrazioni umane, soprattutto verso Paesi più ricchi… e dove non c’è chiusura dei confini che possa tenere.

Ma Firenze decide che è obbligatorio vendere solo i propri prodotti, quelli toscani e italiani.

Chissà cosa dirà in merito l’Antitrust sulla libertà di circolazione delle merci. E cosa dirà l’Unione Europea le cui norme dicono il contrario, e che per attuarle dispensa soldi che anche Firenze, con le accise, invia a Bruxelles; soldi che anche Firenze poi usa.

Quindi: lezioni del coronavirus, dell’ambiente, nonché impegni verso le proprie istituzioni (Ue) dicono il contrario di quello che hanno deciso a Palazzo Vecchio.
In piazza della Signoria sembra utile e carino dare spazio al Km-zero di qualunque cosa e renderlo obbligatorio. E’ utile e necessario promuovere le proprie economie, ma l’obbligo … E Firenze (la sua storia docet) fuori del mondo la vediamo male, nel presente e nel futuro. Non si è pensato a cosa accadrebbe per le merci fiorentine se altrettante città europe e mondiali decidessero per questo protezionismo?
Per cui, oltre che credere alla unicità della propria economia, occorrerebbe anche ragionare da statisti.
 
 
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