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Saldi. Invece di abolirli, alcuni, che ancora contano, continuano a farsi e farci male
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Comunicato di Vincenzo Donvito
29 dicembre 2019 13:47
 
  Coi SALDI alle porte (2 gennaio per Sicilia e 4-5 gennaio per tutte le altre regioni), non sono pochi che si stanno ponendo una domanda assennata: che roba è? A ragion veduta, considerato che i prezzi scontati si trovano sempre, ovunque, in qualunque periodo dell’anno, con alcune punte in periodi particolari che la grande distribuzione mondiale (non certo una qualche istituzione) ha deciso che debbano essere concentrate, e non a caso tutti questi periodi vengono promossi con la dizione della lingua internazionale per eccellenza, l’inglese: single day, black fryday, black week, black monday, etc.
Chi si pone questa domanda lo fa perché ha l’impressione di vivere in una società un po’ strana, tra il vintage, il conservatore e l’assurdo. Quella di chi insiste sui SALDI e i sui periodi canonici in cui dovrebbero essere effettuati.

Le cronache locali dei media in questi giorni si stanno ponendo il problema e fanno parlare associazioni di commercianti ed istituzioni locali. Le prime si lamentano per cercare di difendere i piccoli commercianti che, ovviamente, sono schiacciati da questo tipo di mercato; le seconde (le istituzioni) riescono solo a ricordare che ci sarebbero delle multe per chi (praticamente) fa SALDI prima dei periodi di legge e che queste multe (troppo basse: mediamente un migliaio di euro) andrebbero invece comminate in modo proporzionale al fatturato di chi viola le norme (1).

Una discussione e un confronto, per l’appunto, vintage. Una trama di un film ambientato negli anni 60, 70 e 80 del secolo scorso, quando i grandi magazzini erano solo Upim e Rinascente e Standa e Coin, mentre i negozi, grossomodo a conduzione singola, erano ancora i punti di riferimento del commercio. Solo che non siamo nel secolo scorso ma nel 2019-2020 dove i piccoli negozi o sono iper-nicchie di qualità o non sono, e nel ben mezzo di tutto, ha sempre maggior peso la vendita online tramite Internet.

Triste l’insistere delle associazioni di commercianti che poi, magari, si lamentano anche del fatto che sono sempre meno i negozi che le scelgono come rappresentanti della categoria. Decisamente assurdo e pericoloso l’insistere degli amministratori: quale sarebbe il loro piano politico commerciale con la difesa di un bastione di conservazione che si sgretola alla sola vista di un consumatore medio? Consumatore che non si capisce perché dovrebbe andare ad acquistare un prodotto a 100 quando, solo distogliendo un po’ lo sguardo, lo trova identico al costo di 50.

Il mondo cambia. Firenze, Roma e Milano (per esempio) sono molto diverse da un secolo fa, e se consideriamo l’evoluzione tecnologica, scientifica e umana che ha caratterizzato questi ultimi decenni (2), in questi ultimi cento anni i passi che sono stati fatti sono come minimo paragonabili a quelli di 3-400 anni andando indietro dalla metà del secolo scorso. Un progresso che non può trovare riscontro anche nelle norme e nei modi. Che se avviene altrimenti, lo iato tra amministrazione ed economia, tra amministrazione e attori dell’economia (produttori, commercianti e consumatori), diventa anacronistico e pericoloso. Pericoloso perché fa venir meno il rapporto di convenienza e fiducia che gli amministrati dovrebbero avere nei confronti degli amministratori.

Le nostre associazioni di commercianti e in nostri amministratori sostengono che altrimenti si farebbero morire le piccole attività commerciali…. Ma a parte le nicchie, che sembra abbiano ancora un loro mercato, non è possibile altrimenti: forse qualcuno (per fare un esempio estremo ma che spiega bene il concetto e la pratica) ha da ridire sul fatto che non esistono più i maniscalchi per cambiare i ferri delle zampe dei cavalli? I maniscalchi sono morti di fame? No, hanno cambiato, così come gli utenti dei vari servizi non usano più le carrozze trainate dai cavalli ma quelle coi cavalli-vapore.

Crediamo che la capacità politica degli amministratori (di ogni livello, non secondario quello nazionale e comunitario) stia proprio in questo: nel garantire la transizione da un’economia ad un’altra, da un commercio ad un altro. E magari facendolo con una certa attenzione, visto che spesso gli stessi amministratori che in modo vintage difendono i piccoli commercianti sono gli stessi che rimangono inerti di fronte alla concentrazione economica, commerciale e culturale dei superdominanti tipo GAFA (Google, Amazon, Facebook e Apple), e con loro gli entranti cinesi con calibri sempre maggiori.

Qui un nostro recente articolo in materia

1 – Assessore regionale della Toscana
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