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Nuova frontiera delle coltivazioni. La capacità autofertilizzante
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Articolo di Primo Mastrantoni
20 aprile 2024 15:11
 
Durante un viaggio nell’America del Sud nel 1803, il naturalista tedesco Alexander von Humboldt si rese conto che, sulle desertiche aree costiere del Perù, le piante concimate con le deiezioni degli uccelli crescevano lussureggianti.  Ne portò alcuni frammenti in Europa e dall'analisi risultò che il guano - prodotto dalla decomposizione degli escrementi degli uccelli - era un eccezionale fertilizzante, migliore di quelli fino ad allora. Questo concime naturale contiene, infatti, azoto, fosforo e potassio: proprio i nutrienti di cui i vegetali hanno bisogno per crescere.

Veniva già impiegato nelle civiltà precolombiane Mochica e Inca dalla cui lingua, il quechua, proviene il nome wanu, “concime”. 

Nel XIX secolo, prima dell'avvento dei fertilizzanti chimici, il guano fu una componente rilevante del commercio tra la sponda dell'Oceano Pacifico dell'America Meridionale e l'Europa. Questo concime ha una qualità superiore al classico letame utilizzato in agricoltura e i terreni europei - sfibrati da secoli di utilizzo - ne avevano una grande necessità per rispondere alle esigenze nutritive della popolazione in forte aumento. L'epoca d'oro del guano terminò agli inizi del 1900 quando la chimica prese il sopravvento con la produzione del fertilizzante azotato artificiale.

Per duemila anni si è pensato che l'efficacia dei concimi fosse data dalla componente organica. Solo nel XIX secolo il chimico tedesco Justus von Liebig scoprì che le piante si nutrono di sostanze minerali e inorganiche, le quali hanno bisogno  di azoto che stimola i cloroplasti responsabili del processo di fotosintesi fondamentale per la vita degli organismi vegetali. Era una scoperta rivoluzionaria, difficile da accettare perché non si capiva come le piante potessero assorbirlo soltanto dal terreno, pur vivendo in un'atmosfera (l'aria) contenente azoto per il 78% della sua composizione. 

In uno studio, pubblicato sulla rivista scientifica "Science" e ripreso da "Nature", i ricercatori dell'Università di California, Santa Cruz (Usa), hanno scoperto che alcune alghe sono in grado di fissare l'azoto atmosferico grazie a una minuscola ma fondamentale struttura cellulare: un organello che può trasformare  l'azoto in una forma utile per la crescita cellulare. La struttura, chiamata nitroplasto, consente di assorbire autonomamente l'azoto.
"E' noto che la fissazione dell'azoto avviene solo nei batteri e negli archea (batteri antichi)",afferma il professor Jonathan Zeher, coautore dello studio. La specie di alga esaminata è il primo fra gli eucarioti - organismi dotati di un nucleo a cui appartengono piante e animali – che capta l'azoto.  Dall'analisi genetica risulta che alghe e batteri siano entrati in simbiosi circa 100 milioni di anni fa. Da questa relazione origina il nitroplasto. E' fondamentale che questa particolare struttura possa essere trasmessa alle successive generazioni. Il team di ricercatori ha scoperto che il nitroplasto si divide in due prima che lo faccia l'alga, trasferendosi così alle nuove piante.

La scoperta ha il potenziale per cambiare l’agricoltura offrendo la speranza che un giorno le colture possano essere progettate per assorbire l’azoto dall’aria, producendo in modo autonomo il proprio fertilizzante. 

(Articolo pubblicato sul quotidiano LaRagione del 20 Aprile 2024)
 
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