Un film che da esattamente cinquanta anni è lo specchio di questo Paese e delle sue due grandi componenti ovvero il Furbo e il Serio. Il Furbo – o se si preferisce il Cialtrone – millanta, accattona, rumoreggia, ha solo una prospettiva miope davanti a lui, vedendo a pochi metri anzi a pochi minuti di distanza. É tendenzialmente stupido nel senso che ha inutili e banali certezze, convinto che dubbi e domande siano segno di debolezza, un po’ come l’educazione ma altrettanto convinto che tutti gli altri siano fessi, senza rendersi conto che spesso quello pigliato per fesso – magari con classe e discrezione – è proprio lui.

Il Serio o se si preferisce l’Affidabile – vive invece di dubbi, di paure per l’ignoto, l’incerto, utilizzando la sua intelligenza come unica bussola. Decide certo ma prima ci pensa su e parecchio, poi una volta deciso diventa difficile fermarlo. Non a caso Bertrand Russell a suo tempo aveva espresso chiaramente il concetto che gli stupidi hanno certezze mentre gli intelligenti hanno domande, conseguendone quindi che gli stupidi finiscono per governare il mondo al posto degli intelligenti. Forse non é sempre così ma certo é che capita spesso.

Anche in questo, Il capolavoro di Dino Risi – interpretato magistralmente da Gassman, Trintignant e da Lancia Aurelia in arte B24 – è definitivo. Sarà infatti quello che negli Usa chiamerebbero l’Earnest a lasciarci la pelle mentre lo Wiseguy gasmaniano, costretto finalmente alla realtà dalla Realtà, finisce per balbettare scuse pietose e alibi improbabili. Eravamo lì, con questi due eterni archetipi italiani, ben prima del film – un vecchio classico furbo come Badoglio valga per tutti – e siamo lì, siamo ancora lì. Non riusciamo in alcun modo a schiodarci da lì, Dio forse sa perchè.
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