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No TAV, pecorelle e cattivi maestri
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Articolo di Alessandro Gallucci
1 marzo 2012 10:42
 
Quello della TAV è diventato l’ennesimo pasticciaccio all’italiana: è utile, è inutile, quanto costa? Chi lo sa? Tra quanti ne parlano davvero pochi, tra chi ne fa pane della polemica e della lotta quotidiana, probabilmente nessuno. Non è importante, anzi allo stato dell’arte a poco servirebbe saperlo; o meglio, forse servirebbe per voltare pagina. Ma non si vuole e non si deve. Insomma non conta ciò che è giusto ma vale solo farsi sentire e guai ad essere molli. Bisogna urlare, essere perentori, provocatori: si deve prendere una posizione netta sull’argomento. Essere intransigenti e manichei diventa doveroso; diversamente si dimostra d’avere scarso nerbo. Si perde di credibilità. Gli esempi non mancano, la gara a chi la spara più grossa, ahinoi, è aperta. Tre le parole che sintetizzano al meglio la situazione: ripugnanza, ipocrisia e fastidio.
Ripugnanza: “disgusto, ribrezzo e, in genere, forte avversione risalente a ragioni fisiche o spirituali” (Dizionario enciclopedico Treccani). E’ quello, c’è da credere, che molti avranno provato a leggere il sondaggio, lanciato sul quotidiano “Libero”, su Abbà, il manifestante folgorato ed in stato comatoso: “se l’è meritata?” chiedevano. Domanda dell’immancabile, ennesimo inutile sondaggio poi modificata, per le proteste del web, in “se l’è cercata?”. Eppoi lo scontato titolone provocatorio de “Il Giornale” “Solo un cretinetti”. Domande e giudizi lapidari, volti più a sfamare le necessità di un pubblico sempre più desideroso del clamore rispetto allo spunto di riflessione. Probabilmente c’era da chiedersi cosa –nonostante tutti i ricorsi, i sit-in, le manifestazioni– spinge una persona a comportamenti dalle conseguenze così rischiose: la necessità di affermare in ogni modo una propria ragione o, l’obnubilamento della ragione che porta all’affermazione di gesti sconsiderati? Ma che domande sarebbero, queste? Mediaticamente fa molto più effetto esporre il corpo d’un moribondo al colpo di grazia.
Ipocrisia: “simulazione di buoni sentimenti, di buone qualità e disposizioni, per guadagnarsi la simpatia o i favori di una o più persone” (Dizionario enciclopedico Treccani). E’ quello che, m’è venuto in mente a leggere “Il buongiorno di Gramellini” su “La stampa” di ieri. Nella sua reprimenda quotidiana il giornalista se la prende con i suoi colleghi di “Libero” e de “Il Giornale” per gli strilli lanciati dalle loro colonne, rei di aver calcato troppo la mano, dimenticando la pietà e lasciandosi andare ad un chiacchiericcio da bar. Giusto. Peccato però che allo stesso chiacchiericcio -ho pensato- lo stesso giornalista appena due mesi fa, in modo più o meno provocatorio, s’era lascito andare vaneggiando una “megliocrazia” dove il diritto di voto è concesso dietro superamento di apposito esame. In molti, allora come ora, hanno elogiato le parole di Gramellini. Basta vedere la sua pagina Facebook per farsene un’idea. Gli stessi molti che, per loro cultura politica, davanti alle immagini di piazzale Loreto pensano che in fondo Mussolini se l’è cercata. Perché la pietà vale a correnti alternate. La cultura della legalità e dei diritti, di chiunque essi siano, necessita di eccezioni. Davanti a queste reazioni a cosa pensare se non all’ipocrisia?
Fastidio: “senso di molestia per cosa che dispiace o che mal si sopporta” (Dizionario enciclopedico Treccani). E’ quello che si prova a guardare il video del manifestante che tratta un carabiniere come lo sgherro di un qualunque potente di turno. Fastidio che diventa frustrazione a leggere dei giornalisti picchiati, pare per vendetta, per aver ripreso la scena: perché comunque la si pensi la censura e l’intimidazione restano le armi migliori anche di chi tale si crede e vuol apparire, questa volta lui, come un cane bastonato. Questo stesso fastidio, non ci vuole molto a comprenderlo, è ampiamente bilanciato da una mal celata soddisfazione di tanti. Perché il manicheismo imperante impedisce di fare una distinzione tra chi porta una divisa come Spaccarotella o Raciti, e tra chi, come Cucchi e Giuliani, gli abusi della divisa ha subito. Il calderone dev’essere unico perché è la dottrina del pensiero unico antagonista che lo impone: ACAB.
Sarebbe meglio leggere di altre cose: di come si vorrebbe fermare un’opera con una manifestazione tipo la marcia del sale o di come si possa fermare una contrapposizione ormai cieca e con poco senso. Ancora, però, non si vende il giornale del giorno dopo.
 
 
 
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