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1 Gennaio 2014: 'Oh giorno nuovo ...pane mai visto, torre permanente!'
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
31 dicembre 2013 11:01
 
 Alla ricerca di una cosa bella da proporre come augurio di Buon Anno (e lo sa Iddio se ne abbiamo bisogno, di auguri!), mi sono imbattuta in una poesia di Pablo Neruda (1904-1973) che mi sembra perfetta proprio per la mistione che esprime tra un concreto realismo e quella profonda simpatia per il creato, per gli esseri umani e le loro opere, che contraddistingue il poeta cileno. La poesia si trova nel Terzo Libro delle Odi, del 1957, e si intitola Ode al primo giorno dell’anno. Eccola qui nella sua forma integrale. Non ha bisogno di commenti (solo di ricordare, per capire il tripudio di “gelsomini aperti” verso la fine della composizione, che il primo dell’anno in America Latina cade d’estate).





Ode al primo giorno dell’anno

Lo distinguiamo dagli altri
come
se fosse
un cavallino
diverso da tutti
i cavalli.
Gli adorniamo
la fronte
con un nastro,
gli posiamo
sul collo sonagli colorati,
e a mezzanotte
lo andiamo a ricevere
come se fosse
un esploratore che scende da una stella.

Come il pane assomiglia
al pane di ieri,
come un anello a tutti gli anelli;
i giorni
muovono le palpebre
limpidi, tintinnanti, passeggeri,
e vanno a letto nella notte buia.

Vedo l’ultimo
giorno
di questo
anno
sopra un convoglio, diretto alle piogge
del lontano arcipelago cobalto,
e l’uomo
della locomotiva,
complessa come un orologio del cielo,
che abbassa gli occhi
sull’infinita
striscia dei binari,
sui lucidi manubri,
sopra i veloci ingranaggi del fuoco.

Oh conduttore di treni
scatenati
verso stazioni
nere nella notte,
questa fine
d’anno senza moglie e senza figli
non è uguale a quella di ieri, di domani?
visto dalle rotaie
e dalle maestranze
il primo giorno, la prima aurora
d’un anno che comincia,
ha il medesimo ossidato
colore del treno di ferro:
e lungo il cammino
salutano le persone,
le vacche e i villaggi,
nel vapore dell’alba,
senza sapere
che quella
è la porta dell’anno,
la porta d’un giorno
scosso
da campane,
adornato di penne e di garofani.

La terra
non lo sa:
accoglierà
questo giorno
dorato, grigio, celeste,
lo dispiegherà in colline,
lo bagnerà
con frecce
di trasparente
pioggia,
e poi lo avvolgerà
nel suo tubo,
lo conserverà nell’ombra.

Così è: eppure
piccola
porta della speranza,
nuovo giorno dell’anno,
sebbene tu sia eguale agli altri
come i pani
a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire,
a sperare.
Ti collocheremo
come una torta
nella nostra vita,
ti accenderemo
come
un candelabro,
ti berremo
come
se tu fossi un topazio.

Giorno dell’anno
nuovo,
giorno elettrico, fresco,
tutte
le foglie escono verdi
dal tronco del tuo tempo:

incoronaci
d’acqua,
di gelsomini
aperti,
di tutti i profumi
vistosi,
sì,
anche se sei
soltanto
un giorno,
un povero
giorno umano,
la tua aureola
palpita
sopra tanti
cuori stanchi,
e tu sei
oh giorno nuovo,
oh nuvola in arrivo,
pane mai visto,
torre
permanente!

(da: Pablo Neruda, Poesie, trad. di Dario Puccini, Sansoni, Firenze 1962, pp. 576-579)

 
 
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