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Contratti a distanza e diritto recesso. Corte di Giustizia: al venditore i costi della spedizione originaria
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Osservatorio legale di Claudia Moretti
14 maggio 2010 12:48
 
La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con sentenza del 15 aprile 2010, nella Causa C-511/08, ha emesso una pronuncia interpretativa delle norme relative ai contratti a distanza, ed in particolare della direttiva n. 97/7/Ce che ha dato origine, prima alla nostra legge 185/1999, poi alle norme di cui agli artt. 50 e seguenti dell'attuale codice al consumo (D.lgs. 206/2005).
Si tratta di una pronuncia importante, perche' ribadisce il dettato della normativa europea, imponendo e accollando al venditore i costi della spedizione originaria della merce acquistata con contratto a distanza nei casi di ripensamento da parte dell'acquirente.
La questione pregiudiziale e' stata sollevata dalla suprema corte federale tedesca, che ha ipotizzato un conflitto fra la norma interna e la direttiva su citata, laddove consente al venditore di chiedere all'acquirente un forfait a titolo di spese di consegna del bene, alla conclusione del contratto di acquisto a distanza e al momento del recesso/ripensamento.
La Corte richiama quale disposizione applicabile l'art. 6 comma 1 della direttiva citata secondo cui: "le uniche spese eventualmente a carico del consumatore dovute all'esercizio del suo diritto di recesso sono le spese di spedizione dei beni al mittente".
Con tale norma, la direttiva sembra lasciare spazio alle normative interne, per disciplinare la materia con oneri di spedizione a carico dell'acquirente recedente, ma solo in relazione ai costi di restituzione della merce che non si intende acquistare e non anche, invece, quelli per la consegna all'acquirente.
Il ragionamento articolato dal governo Tedesco che ha preso le parti dei professionisti e' il seguente: il costo di consegna del bene corrisponde all'esigenza di supplire alla distanza fra l'acquirente e il bene acquistato, che si trova in possesso del venditore al momento della conclusione del contratto. Cio' renderebbe detto costo estraneo al regime di protezione del consumatore perseguito con la direttiva. In altre parole, fuoriuscirebbe dall'ambito dei costi presi in considerazione dalla direttiva.
Secondo la Corte, invece cosi' non e'. Nella sentenza si chiarisce, invece, che nessuna spesa e' accollabile al consumatore, che si trova in posizione di debolezza nei confronti del professionista, in quanto non ha visionato la merce prima di acquistarla. Per questo e' escluso che detti oneri siano a lui attribuiti e che, in caso di recesso non siano integralmente rimborsabili. Non solo, ma a ben vedere, la logica secondo cui sono ripartiti i costi della mancata transazione a distanza (spese di consegna al venditore, spese di restituzione all'acquirente recedente), rappresenta, secondo la Corte, un buon equilibrio logico-giuridico e anche economico. Infatti, cosi' come al consumatore saranno accollate le conseguenze pecuniarie della sua scelta di recesso, altrettanto accadra' al venditore per la sua scelta di conservazione e gestione merci: l'addebito delle spese di consegna, infatti, sono controbilanciate dai risparmi che egli realizza non dovendo gestire magazzini e negozi o altri locali commerciali.
Ci pare dunque assodato, secondo quanto previsto dall'art. 67 comma 3 del D.lgs 206/2005, e alla luce di quanto previsto interpretativamente da questa pronuncia, che laddove un venditore attribuisca, contrattualmente o meno, un costo per la consegna dei beni su cui un consumatore ha esercitato il diritto di recesso, commette una violazione di legge e detta clausola potra' essere annullata e disattesa.
 
 
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